Usa: i guai di Trump con Messico e Canada, nuovo Nafta
Negli ultimi mesi le tematiche del commercio internazionale sono state prioritarie per l’Amministrazione Trump. Il presidente si è concentrato sullo scontro con la Cina, con cui dopo il Vertice del G20 è scattata l’ennesima tregua, ma allo stesso tempo ha cercato di lavorare ad una promessa importante della sua campagna elettorale 2016: riformare il Nafta. Per questo motivo dopo mesi di lavoro diplomatico Usa, Messico e Canada hanno firmato l’Usmca, un nuovo accordo di libero scambio continentale. Nella trattativa, Trump ha riportato delle vittorie, ma potrebbe avere compromesso i rapporti di vicinato.
Prima di parlare del futuro del trattato è necessario vedere in cosa consiste e come si è arrivati alla firma. Il Presidente Trump ha senza dubbio forzato la mano, ha usato la tecnica del ‘divide et impera’ con i suoi vicini, costringendoli ad accettare condizioni sfavorevoli. Questa strategia, se nel breve termine pagherà, nel lungo periodo potrebbe creare un clima aggressivo e un’insicurezza generale che potrebbero convincere Messico e Canada ad attivare misure di “ritorsione”.
Il nuovo accordo e i negoziati per arrivarci
Per capire cosa prevede il nuovo accordo bisogna partire dal Nafta. Il nuovo trattato è infatti molto simile al vecchio, tranne per tre cambiamenti rilevanti. Per prima cosa con le nuove regole perché un’automobile rientri nell’esenzione dai dazi deve avere il 75% delle sue parti fatte al’’interno dei tre paesi, quando prima bastava il 50%. Questo provvedimento è stato fortemente voluto dagli Stati Uniti per proteggere di fatto la propria industria automobilistica nel MidWest.
Nella stessa direzione vanno le altre modifiche, come l’allungamento del copyright da 50 anni a 70 anni dalla morte del detentore del brevetto, l’innalzamento del salario medio a 16 dollari l’ora e l’abolizione dei dazi che il Canada manteneva sul proprio mercato di beni alimentari.
Gli Stati Uniti sembrano aver vinto su tutti i fronti portando a casa un trattato che pare andare tutto a loro favore. I negoziatori statunitensi hanno implementato una tecnica di negoziato che ha lasciato gli altri due Paesi totalmente sorpresi. Le trattative del Nafta erano state sicuramente lunghe e snervanti, ma erano state anche caratterizzate da un clima generalmente disteso. Gli incontri sull’Usmca sono invece stati fortemente caratterizzati da contrapposizioni marcate.
I negoziatori di Trump hanno da subito approcciato gli altri due Paesi sfruttando le divisioni che c’erano tra Messico e Canada e minacciandoli su altri piani. L’apertura del mercato canadese dei prodotti agricoli, in particolare dei latticini, è qualcosa che Washington è riuscita ad ottenere grazie alla minaccia, sostenuta da Città del Messico, dell’abbandono delle trattative e della costruzione di un accordo bilaterale tra Messico e Stati Uniti che avrebbe escluso Ottawa.
Se i messicani avevano pensato di sostenere la strategia di Trump pensando di guadagnarci solamente, hanno dovuto qualche settimana dopo subire la stessa minaccia con Canada e Stati Uniti questa volta uniti. La dirimente questa volta era invece quella del salario minimo. Washington e Ottawa volevano vederlo anche più alto dei 16 dollari finale, ma alla fine il Messico è riuscito ad accordarsi a quel prezzo.
Un clima teso in Nord America
La fine delle trattative è stata di conseguenza condizionata da questo pregresso. Nella sala adibita alla firma, il clima era quanto mai teso e nei mesi successivi non si è migliorato, condizionando la ratifica del trattato e i rapporti diplomatici quotidiani tra i tre Paesi.
La prima difficoltà che si incontrerà sarà sulla ratifica del trattato. Il Messico lo ha già fatto, ma gli Stati Uniti e il Canada ancora mancano all’appello. Trump deve chiaramente affrontare un Congresso a maggioranza democratica alla Camera che vuole ulteriori garanzie dal punto di vista della protezione del lavoro. Il Canada dal canto suo è forse il Paese più colpito da questo accordo e proprio per questo rallenta il più possibile l’iter di ratifica per fare uno sgarbo a Trump.
Nonostante i consigli di abbassare i toni del segretario al Commercio Wilbur Ross, Trump ha deciso di utilizzare ancora nelle scorse settimane la minaccia commerciale contro il Messico. Il president è riuscito a imporre al neo-presidente messicano Andrès Manuel López Obrador di rafforzare le misure di controllo dell’immigrazione, pena l’imposizione di sanzioni.
Nonostante il Paese centro-americano abbia in prima battuta accettato le condizioni, la risposta questa volta non si è fatta attendere. Il ministero del Commercio messicano ha infatti iniziato a studiare un piano di sanzioni contro gli Stati Uniti. Le stime del Brookings Institute affermano che il costo per Washington sarebbe circa intorno ai 28 miliardi di dollari l’anno con un elevatissimo costo occupazionale.
Il danno, per di più, non sarebbe distribuito su tutta l’Unione, ma mirato a danneggiare gli Stati rossi, cioè repubblicani. L’obiettivo del Messico infatti sarebbe quello di imporre misure in modo chirurgico mirando a distretti congressuali e aree a forte maggioranza repubblicana. L’intenzione è chiaramente quella di scatenare una rivolta dei repubblicani del Congresso contro il presidente o di fare spostare la bilancia verso i democratici alle prossime elezioni.
Se il Messico sta valutando questa risposta all’atteggiamento aggressivo di Trump, il Canada non è da meno. Nonostante adesso il primo ministro Justin Trudeau sia invischiato in una difficile campagna elettorale, a Ottawa sono tutti convinti che qualunque sia il risultato alle elezioni di ottobre il prossimo primo ministro sarà una spina nel fianco della Casa Bianca. Questo perché vi sono moltissime intese molto favorevoli agli Usa, ad esempio quella sull’Artico o quella sugli idrocarburi, che i canadesi vorrebbero ridiscutere con un atteggiamento non certo amichevole.