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La corsa alla nomination

Usa 2020: democratici, dibattiti e svolta a sinistra

9 Lug 2019 - Lucio Martino - Lucio Martino

Dopo il primo scontro televisivo di una lunga stagione elettorale destinata a culminare nelle elezioni presidenziali del novembre 2020, il principale argomento da tenere in considerazione è quanto grande sia stata la svolta a sinistra effettuata dal Partito democratico ed emersa dai due dibattiti – dieci aspiranti alla nomination per ognuno – e quanto basso sia stato l’interesse dei candidati più moderati a combattere tale svolta.

Saltati gli schemi retorici tradizionali e la corsa al centro
Su molte e diverse questioni, i venti candidati democratici che hanno partecipato ai dibattiti di Miami si sono rifiutati di offrire le rassicurazioni di una volta. I più tradizionali schemi retorici sono semplicemente saltati. Durante il dibattito, tutti o quasi i contendenti, compresi politici di comprovata esperienza quali il sindaco di New York Bill De Blasio e il senatore del New Jersey Cory Booker, sembravano condividere la stessa preoccupazione: quella di non lasciarsi nessuno a sinistra.

Tre dei più importanti candidati, la senatrice della California Kamala Harris, il senatore del Vermont Bernie Sanders e la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, hanno chiaramente manifestato l’intenzione di disfarsi dei piani sanitari privati, per quanto poco più del 10 per cento dell’elettorato sembra condividere una tale decisione. Questo mentre sulla politica d’immigrazione, tutti e venti i concorrenti per la Casa Bianca sono arrivati a prospettare qualcosa di molto vicino a una completa apertura dei confini.

L’intero duplice dibattito si è rivolto a quel 25 per cento dell’elettorato che si percepisce liberale, e ha trascurato ogni altra componente dell’elettorato, a partire da quel 35 per cento di moderati in genere fondamentali per ogni speranza di affermazione elettorale. Cosa questa che ha prestato il fianco alle accuse di quanti intravvedono nel democratico un partito che non risponde più alle esigenze della Nazione, ma ai propri interessi e ai propri collegi elettorali. Con tutta probabilità, la valutazione strategica sulla quale poggia quest’evidente svolta a sinistra è da ricondursi alla convinzione che l’elevato grado di polarizzazione dell’attuale sistema politico statunitense ha quasi cancellato quell’elettorato di centro potenzialmente disposto a votare tanto repubblicano quanto democratico.

L’assenza quasi completa di una reazione moderata
In questo quadro, si spiega la quasi completa assenza di una reazione moderata. La senatrice del Minnesota, Amy Klobuchar, coerentemente con se stessa, avrebbe potuto opporsi, sostenendo che il suo partito non dovrebbe andare tanto a sinistra, ma non lo ha fatto. Il senatore del Colorado, Michael Bennet, ci ha appena provato, ma solo timidamente. Altri due moderati, il deputato del Maryland John Delaney e l’ex governatore del Colorado John Hickenlooper, si sono fatti sentire così poco da esser stati liquidati come irrilevanti nella copertura del dopo dibattito.

Detto questo, non bisogna dimenticare come, in ultima analisi, i dibattiti politici televisivi sono meccanismi di selezione orchestrati in maniera tale da permettere agli elettori di decidere non solo quale visione politica abbracciare ma anche e soprattutto quale candidato eleggere.

Sotto questo punto di vista, l’ex vice-presidente Joe Biden sembra aver molto sofferto lo scontro con la Harris. Biden si è dimostrato impreparato di fronte a un attacco tutt’altro che imprevedibile. Per lui, il prossimo dibattito, in calendario per la fine di luglio a Detroit, è ormai un appuntamento cruciale.

Sanders è uscito sconfitto dallo scontro con Hillary Clinton nel 2016, ma quello che è successo la scorsa settimana ha dimostrato che ha vinto il dibattito ideologico. Anche sulla politica estera, sono diversi i candidati che hanno articolato la sua visione. A Miami ha fatto bene, ha riproposto le sue idee nel suo caratteristico stile, si è scrollato di dosso ogni attacco e non ha fatto nessuna gaffe degna di nota. Eppure, Sanders sembra aver perso almeno un po’ del suo splendore.

Chi scende e chi sale alla borsa della nomination
Per quanto molta dell’attenzione della prima serata si sia concentrata sull’ex ministro per l’edilizia abitativa Julián Castro, la prestazione della Warren è stata particolarmente buona. La Warren si è dimostrata acuta ed energetica, riuscendo spesso a ergersi al di sopra della mischia tanto che nessuno dei suoi rivali è stato in grado di attaccarla.

Non meno interessante si è infine dimostrato il sindaco di South Bend, Pete Buttigieg, con il suo manifesto oscillare tra più campi. Dovesse mai accendersi una battaglia per la direzione politica del partito, Buttigieg potrebbe rivelarsi il candidato in grado di sostituirsi a Biden nel gettare un ponte tra le diverse fazioni del partito.

In attesa del prossimo grande evento televisivo, i giorni a venire riveleranno quanto altri due candidati finora tendenzialmente minori, quali la rappresentante delle Hawaii Tulsi Gabbard e la scrittrice e attivista Marianne Williamson riusciranno a capitalizzare dalla propria partecipazione  ai dibattiti della settimana scorsa. Finora sono le due candidature che più hanno incuriosito l’elettorato, almeno secondo Google Search.