Ue: UvdL, l’investitura ‘zoppa’ del Parlamento europeo
Poteva andare peggio. Dei due scenari negativi che si potevano temere, è stato evitato il più negativo: una bocciatura che avrebbe aperto una crisi istituzionale assai pericolosa in seno all’Ue. Ursula von der Leyen (UvdL) è invece stata eletta prossimo presidente della Commissione europea, ma con un modesto margine di voti: 383 rispetto ai 374 necessari, la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto. Dove è l’elemento negativo? Il voto del Parlamento europeo era a scrutinio segreto, quindi sono possibili molte illazioni. Tuttavia, non solo UvdL non è riuscita a superare la soglia psicologicamente importante dei 400 voti, ma sembra plausibile dedurre che le siano mancati più di 70 voti dei tre gruppi parlamentari che avrebbero dovuto sostenerla (i popolari del Ppe, i socialdemocratici dell’S&D e i liberali-centristi di Renew Europe). Sono quindi stati determinanti i voti di partiti che non avrebbero dovuto esserlo, come il M5S italiani e soprattutto i conservatori polacchi (PiS). Ciò significa che si è dissolta la maggioranza ‘europeista’ uscita dalle elezioni del 26 maggio e che ora ce n’è una nuova? Come vedremo è una conclusione affrettata, ma si è comunque creata una situazione non piacevole. Chi ne è responsabile?
Il peccato originale dei governi: avere ‘tradito’ gli Spitzenkandidaten
L’unica certezza che sembra accomunare i parlamentari è che la colpa è dei governi che avrebbero disatteso la procedura democratica degli Spitzenkandidaten, per cui il candidato proposto dal partito maggioritario deve essere designato alla carica di presidente, arrogandosi invece il potere di far uscire dal cappello di una trattativa segreta il coniglio di una candidata ‘sconosciuta’.
L’interpretazione è quanto meno audace. In primo luogo, UvdL non ha esperienza diretta delle istituzioni europee, ma è da anni una personalità politica notissima in Germania e quindi in Europa, pupilla di Angela Merkel e fervente europeista. Inoltre, chi invoca il crimine di lesa procedura tende a dimenticare che essa non è consacrata in nessun trattato, che funzionò nel 2014 solo perché il Parlamento convenne che Jean-Claude Juncker doveva essere il candidato e che non avrebbe accettato nessun altro nome.
Nulla di tutto questo è successo ora. Il primo errore è stato commesso dai popolari, ancora oggi la prima forza politica, che hanno designato un candidato (Manfred Weber) onorevole, ma considerato unanimemente modesto. Inoltre, i cosiddetti partiti europeisti non sono poi riusciti a mettersi d’accordo su nessun altro nome. In queste condizioni, non deve sorprendere che i governi abbiano ripreso l’iniziativa.
Non dobbiamo infatti dimenticare che l’Ue è basata su una doppia legittimità: quella dei cittadini attraverso il Parlamento, ma anche quella dei governi dei Paesi membri. Quanto successe nel 2014 fu importante per ristabilire un migliore equilibrio fra le due legittimità, ma non poteva in nessun modo sopprimerne una a profitto dell’altra. Quanto è successo ci spinge a ricercare una migliore procedura per il futuro, ma questa è un’altra storia. I governi hanno in verità tentato di ammansire il Parlamento puntando su Frans Timmermans, socialista, candidato del partito arrivato secondo alle elezioni. L’operazione non ha però raccolto la maggioranza per motivi che è ormai inutile rivangare.
Il peso della politica interna tedesca e la mossa di UvdL
Anche se i mugugni istituzionali dei partiti erano in gran parte infondati, non deve tuttavia sorprendere che UvdL non sia stata accolta trionfalmente al suo arrivo a Strasburgo. Anzi, all’inizio le cose si erano messe piuttosto male, a causa in parte della sua inesperienza, in parte di pregiudizi, ma anche di una sistematica campagna di denigrazione lanciata dai socialisti tedeschi per motivi di politica interna. All’errore di aggrapparsi a un metodo in sé fragile che avevano essi stessi contribuito a indebolire, i partiti ne hanno poi aggiunto un altro più grave. Avrebbero infatti potuto impegnare la candidata a sottoscrivere un programma comune. In effetti, tentativi in questo senso sono stati compiuti, ma non hanno prodotto risultati. A questo punto, il giorno prima del voto, UvdL ha potuto riprendere l’iniziativa con l’unica mossa sensata: presentare ai partiti il programma che loro stessi si erano dimostrati incapaci di elaborare.
Tutti hanno dovuto ammettere che il testo è ben fatto e abbastanza convincente; pur nella sua inevitabile genericità, è un giusto insieme di retorica europea e di proposte concrete. In verità è un abile ‘compromesso centrista’, nel solco della sola tradizione capace di far progredire l’integrazione europea. Come tutti i compromessi centristi pone ovviamente problemi di compatibilità. Non sarà facile fare funzionare il ‘quadrato magico’ che sta al cuore del programma, composto dalla priorità data all’obiettivo di azzerare le emissioni nette di Co2 per il 2050, dalla necessita di mantenere la crescita e accrescere la competitività, dal’’impegno ad aumentare la giustizia sociale e di mantenere la preferenza europea per un mondo aperto e multilaterale.
Sappiamo anche che un programma elaborato per piacere al Parlamento stenterà in parte a ottenere l’accordo dei governi. Sappiamo, infine, che la realtà sarà più complicata e densa di imprevisti: le istituzioni saranno giudicate più sulla capacità di affrontare questi ultimi che sulla fedeltà ai programmi. Tuttavia, quello presentato da UvdL può costituire un utile quadro di riferimento per quella maggioranza europeista che, dopo le vicende del voto, resta ancora da costruire. È infine opportuno notare che le idee di UvdL presentano una notevole continuità rispetto a quelle della Commissione attuale.
I ‘franchi tiratori’ europei e la debolezza dei ‘partiti europei’
Perché nonostante questo sono mancati tutti quei voti? Le defezioni nel campo di popolari e liberali sono state apparentemente poche. Per avere la risposta bisogna quindi rivolgersi a sinistra, fra i verdi e i socialisti: i primi hanno votato massicciamente contro, i secondi per almeno un terzo. La cosa può sembrare surreale, se si pensa che il programma di UvdL è farcito di ambientalismo e di proposte sociali che non hanno mancato di far arricciare il naso ad alcuni fra i Popolari e sicuramente anche fra i governi.
L’atteggiamento dei verdi si può forse spiegare con l’atavica propensione di alcuni di loro a gloriose sconfitte. Tuttavia ci si sarebbe aspettati più pragmatismo da parte della componente tedesca, piuttosto moderata, ma che forse non ha voluto differenziarsi in questa fase dai cugini francesi e belgi, che si apprestano a cercare di proibire l’installazione delle reti 5G a Bruxelles. Che invece i socialisti tedeschi e altri alleati minori abbiano deciso per il voto negativo, è un’assurdità che fa parte della generale crisi della sinistra europea.
Nulla è ovviamente compromesso e la legislatura ha cinque anni di fronte a sé, ma non è stato un bell’inizio. È però l’indicazione che il concetto stesso di ‘partiti europei’ è ancora vago e in parte inconsistente.
Il gioco dei sovranisti
Di fronte a questa mediocre prova di parte della sinistra, hanno invece giocato bene alcuni sovranisti: quelli ungheresi adeguandosi alle direttive dei Popolari e quelli polacchi, nonostante UvdL sia stata molto chiara su alcuni punti fondamentali e sensibili che riguardano lo stato di diritto e non si sia discostata dalla linea della Commissione attuale. Ciò starebbe a indicare che le classi dirigenti dei Paesi detti di Visegrád sanno di dover evitare rotture drammatiche che la loro opinione pubblica non capirebbe.
Per concludere, una parola sul comportamento degli italiani. Il Pd ha votato a favore, come era prevedibile e consigliabile. A Matteo Salvini non è invece riuscito lo stesso gioco dei sovranisti polacchi e ungheresi. Forse non ne è stato capace, forse è prigioniero della sua alleanza con Marine Le Pen, forse è indebolito da ‘russopoli’. Ciò ha aperto la strada a un voto favorevole del M5S, che si sono così fatti i portavoce della tattica di avvicinamento alle istituzioni inaugurata da Giuseppe Conte e da Giovanni Tria al momento del negoziato sulla procedura d’infrazione. Cosa tutto ciò voglia dire per il futuro, che si tratti del ruolo del prossimo commissario italiano o dell’atteggiamento verso l’Italia di una Commissione a guida tedesca che sembra muoversi abbastanza in continuità con i predecessori, resta interamente da vedere.