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Von der Leyen presidente della Commissione

Ue: UvdL, l’Europa riparte con ambizione dal clima

18 Lug 2019 - Nicolò Sartori - Nicolò Sartori

L’ex ministra della Difesa tedesca Ursula von der Leyen ha incassato martedì 16 luglio la fiducia, seppur risicata, da parte del Parlamento europeo, che l’ha eletta presidente della nuova Commissione europea, affidandole l’incarico di guidare l’esecutivo bruxellese attraverso uno dei periodi più incerti e articolati della storia dell’Unione. Periodo che vede l’Europa sotto l’attacco dei populisti al suo interno, destabilizzata dalla Brexit e da relazioni intricate con Stati Uniti e Russia e indebolita da una crescita economica fragile e dalla perdurante percezione di crisi sul piano migratorio. In questo intricato quadro strategico, il discorso di apertura, carico di ambizione, della neo-presidente all’emiciclo di Strasburgo appare quanto mai significativo. UvdL, che mercoledì 17 luglio ha passato le consegne di ministro della Difesa tedesco a Annegret Kramp-Karrenbauer, delfino designato della cancelliera Merkel, ha infatti identificato i meta-cambiamenti in atto a livello globale, prima tra tutti la questione climatica, come le più urgenti sfide per il futuro dell’Ue.

E ha presentato una serie di ambiziose proposte programmatiche su questi temi cruciali, spesso ancora troppo marginali nel dibattito pubblico. Quella che poteva sembrare una captatio benevolentiae verso gli europarlamentari verdi, ancora in bilico sulla possibilità di supportare la sua candidatura (alla fine non l’hanno votata, nonostante l’enfasi da lei posta sul clima), può e deve diventare il manifesto politico per la trasformazione sostenibile del sistema economico-industriale e del tessuto sociale su scala europea.

Parola d’ordine: ambizione
Livelli di ambizione inaspettati, quelli di Ursula von der Leyen nei confronti del clima e della transizione energetica, sfide epocali che hanno una dimensione globale ma anche forti ripercussioni a livello interno, sul piano economico e sociale. Sebbene infatti l’Europa sia già (e di gran lunga) il leader internazionale nella lotta al cambiamento climatico, gli sforzi intrapresi da Bruxelles – per quanto lungimiranti – non sono ancora sufficienti.

Da qui parte la proposta di von der Leyen sulla carbon-neutrality al 2050, espressa per la prima volta in modo così forte e deciso dai vertici dell’Esecutivo europeo: si pensi ad esempio alla timidezza di Jean-Claude Juncker, predecessore di UdvL, sui target 2030 durante l’ultimo Consiglio europeo. Ed è proprio da maggiori livelli di ambizione al 2030 che ripartirà la neo-presidente, che ha esplicitamente definito la riduzione del 40% delle emissioni insufficiente per raggiungere gli obiettivi europei di lungo periodo. La proposta di abbattere le emissioni di CO2 del 50%, se non 55%, lanciata a Strasburgo – vista da alcuni come un assist ai verdi, ma rivelatasi insufficiente a garantirsi il loro supporto – rappresenta un elemento di forte rottura rispetto alle posizioni assunte della Commissione (e di molti Stati membri) fino ad oggi.

Primo passo, fare i compiti a casa
In termini programmatici, von der Leyen ha lanciato l’ambizioso obiettivo di un Green New Deal su scala europea, con l’obiettivo di trasformare in modo radicale il tessuto economico e industriale europeo. A ciò si aggiunge la proposta di una European Climate Law, focalizzata principalmente alla neutralità climatica al 2050, e il lancio di un Sustainable Europe Investment Plan che faccia leva sul finanziamento pubblico per alimentare gli investimenti privati su scala continentale. Rilevante anche l’obiettivo di rendere green l’attività della Banca europea degli investimenti, trasformandola in una vera e propria climate bank in grado di mobilitare un trilione di euro di investimenti sostenibili.

Accanto agli aspetti economico-industriali, l’approccio della neo-presidente pone l’accento sulla dimensione sociale, dedicando attenzione al concetto della Giusta Transizione, ovvero ad uno schema di sviluppo che tenga in considerazione e affronti quegli effetti e quelle esternalità sul piano socio-economico (cioè squilibri occupazionali  e riconversione dei posti di lavoro; fruibilità servizi energetici) determinate dai processi di trasformazione del mercato energetico.

Azione globale
Con meno del 10% delle emissioni globali di CO2, l’Unione non può certamente pensare di contribuire alla lotta al cambiamento climatico limitandosi esclusivamente ad iniziative – per quanto virtuose – sul piano interno. Anzi, oggi più che mai – anche alla luce dei preoccupanti dati relativi al rallentamento delle rinnovabili e alla crescita delle emissioni su scala globale – è fondamentale che l’Ue consolidi e rafforzi la propria leadership e il suo ruolo di propulsione internazionale nella lotta al cambiamento climatico.

In questo senso, il messaggio della neo-presidente appare chiaro e incoraggiante: spingere le principali economie globali ad incrementare i propri livelli di ambizione entro il 2021. Se da un lato è ovvia la necessità di ingaggiare sul piano negoziale non solo Cina e Stati Uniti, principali emettitori mondiali, ma anche (e soprattutto) India – principale motore della domanda energetica del futuro – e blocco mediorientale, appaiono al momento incerti gli strumenti a disposizione della futura Commissione a tale scopo.

La promessa di introdurre – in controtendenza con la visione della Commissione precedente – una Carbon Border Tax, che prevenga il rischio di carbon leakage ma soprattutto penalizzi le importazioni con un forte impatto climatico, rappresenta sicuramente un prima tentativo di responsabilizzare l’azione dei grandi partner commerciali internazionali. Ma che rischia di portare con sé forti ripercussioni politiche ed economiche, che l’Unione deve tenere in conto ed essere pronta ad affrontare.

Opportunità e sfide del cambiamento
L’ambizione di Ursula von der Leyen sul tema del clima rappresenta, oltre ad un elemento essenziale per provare a salvaguardare la salute del pianeta e dei suoi abitanti, anche una grande opportunità per trasformare profondamente (e in positivo) il tessuto economico e industriale in Europa. L’accelerazione annunciata nel suo discorso, in questo senso, potrà rafforzare il ruolo dell’Unione come motore del cambiamento su scala globale e quindi – magari anche a fronte di costi iniziali non trascurabili – di ottenere un vantaggio competitivo da consolidare a beneficio dei cittadini e delle aziende europei. Il Green New Deal europeo, con il suo obiettivo di plasmare la politica industriale in base ai processi di dercarbonizzaione, intercetta esattamente questa necessità.

Tuttavia, la metamorfosi industriale sostenibile promossa attraverso il Green New Deal va accompagnato da un massiccio sforzo di trasformazione sociale (e, con esso, comportamentale) declinato a livello nazionale, regionale e locale. In questo senso, il richiamo della neo-presidente alla Giusta Transizione centra la necessità di creare meccanismi su scala europea per bilanciare e compensare alcuni degli squilibri e dei costi che verranno molto probabilmente generati nei primi passaggi di questa fase di transizione epocale. Il rischio di un’Unione divisa e a più velocità su questi temi va scongiurato con tutti i mezzi possibili.