Ue: nomine; Letta, risultato positivo, rischi erano enormi
“Nelle nuove nomine Ue, il metodo che è stato utilizzato rappresenta sicuramente un passo indietro. Ha ridato forza al Consiglio europeo e ai governi ed è stato poco trasparente”, dice ad Affarinternazionali Enrico Letta, docente universitario, uomo politico, ex presidente del Consiglio. “Dopo di che, i rischi che si correvano erano enormi e il risultato, in termini di persone scelte, è tutto sommato positivo”. Dal 2015, Letta dirige la Paris School of International Affairs dell’Università SciencesPo di Parigi e, recentemente, è stato nominato presidente dell’Association of Professional Schools of International Affairs (Apsia) che ha sede a Washington.
La settimana scorsa sono stati designati quanti – donne e uomini – dovrebbero ricoprire i vertici delle istituzioni europee. È soddisfatto da queste nomine?
E. Letta – Lo considero un bicchiere mezzo pieno in una situazione che era potenzialmente di crisi. Il rischio di ritrovarci in un cul de sac o di dovere chiedere al presidente uscente della Commissione europea Jean-Claude Juncker di rimanere in carica per alcuni mesi era reale. Ci sono alcune ombre, soprattutto sul metodo più che sulle persone, ma il fatto che si sia riusciti, molto rapidamente, a risolvere l’impasse e a trovare un pacchetto complessivo che rende le istituzioni europee subito funzionanti mi sembra una buona notizia. L’equilibrio trovato è assolutamente accettabile e il messaggio di avere due donne a capo delle istituzioni è sicuramente importante. A questo aggiungo il fatto che l’Italia è riuscita in un mezzo miracolo grazie all’elezione di David Sassoli a presidente del Parlamento europeo. Quindi, mettendo tutto insieme, alla fine prevalgono sicuramente gli elementi positivi.
Parlando del metodo, questa volta la procedura degli Spitzenkandidaten non è stata seguita e il Parlamento europeo è stato tagliato completamente fuori. Qual è la lezione da trarre?
E. Letta – Nel 2014 è stato utilizzato un metodo che dava centralità agli elettori e ai partiti politici europei, anche se la centralità del Parlamento europeo era un po’ sovrastimata. Tutto sommato, i partiti europei erano sovrani decidendo il loro candidato alla presidenza della Commissione, poi gli elettori sceglievano e poi il partito che arrivava primo era quello che indicava il presidente della Commissione. Quel metodo lì era un passo avanti, ma non era perfetto; e lo si è visto questa volta, quando i due partiti principali sono scesi di consensi. Immaginare che il candidato del partito che aveva preso il 23 per cento dei voti fosse automaticamente il presidente della Commissione era eccessivo anche secondo me. Non teneva conto della sovranità popolare.
Il Parlamento entra in primo piano se si costruisce, con dei metodi tipici delle democrazie parlamentari, un’alleanza parlamentare e si fa eleggere presidente della Commissione colui che è stato in grado di costruire questa maggioranza parlamentare. Questo sviluppo nella procedura degli Spitzenkandidaten non c’è stato e si è un po’ annullato tutto tornando al vecchio metodo, ovvero ad una specie di conclave dal quale improvvisamente sono usciti cinque nomi, tra cui il presidente del Parlamento che, giustamente, è stato rifiutato e sostituito dalla persona di Sassoli.
Il metodo utilizzato, che ridà forza al Consiglio europeo e ai governi ed è sicuramente poco trasparente, rappresenta un passo indietro. Dopodiché, i rischi che si correvano erano enormi e il risultato, in termini di persone scelte, è tutto sommato positivo.
Andando nello specifico, le nomine di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea e di Christine Lagarde a capo della Banca centrale europea (Bce) confermano il predominio dell’asse franco-tedesco?
E. Letta – Questa partita è sicuramente una vittoria del presidente francese Emmanuel Macron e della cancelliera tedesca Angela Merkel ed è evidente che l’asse franco-tedesco, che era dato per morto, è più vivo che mai. E questo è stato anche un messaggio molto forte per tutti coloro che hanno lavorato contro questo asse, in particolare l’Italia e i Paesi di Visegrad.
Detto ciò, dobbiamo considerare che Macron e la Merkel, per vincere, hanno dovuto imporre candidati dei loro Paesi, cosa che non accedeva da molto tempo. E non è detto che sia un elemento di forza, anzi. La Germania è sempre stata molto forte facendo guidare persone vicine alla Germania che però non erano tedesche. Oggi invece ha sentito il bisogno di avere una leadership tedesca.
In un momento in cui l’Europa è minacciata dall’ascesa dei nazionalismi, la nomina della Von der Leyen a capo della Commissione, è una scelta giusta?
E. Letta – La verità è che nessuno conosce veramente chi è e nessuno è in grado di dire che tipo di presidente di Commissione sarà. In fondo, con Juncker era diverso: tutti sapevano che tipo di presidente sarebbe stato. Certo, rispetto a tutti gli altri presidenti, è l’unica ad avere un focus specifico sulla difesa e ci possiamo aspettare qualcosa su questo. Sul resto, però, credo che nessuno sia in grado di fare previsioni, soprattutto sul rapporto che avrà con il Consiglio europeo. La vera questione è infatti capire se lei sarà un presidente di Commissione che continuerà, nella scia di Juncker, ad avere un’autonomia rispetto al Consiglio o ritornerà, sui passi di Manuel Barroso, ad avere una scarsa autonomia. Questa è la chiave di tutto. Il resto è secondario.
Parlando della Bce, invece, Christine Lagarde sostituirà Mario Draghi. Cosa si aspetta da lei?
E. Letta – Io credo che la Lagarde sia sempre stata attenta ad avere una politica monetaria espansiva, come quella che ha cercato di sostenere Mario Draghi, e quindi ritengo che possa essere un presidente della Bce che asseconderà questa logica. E anche se la sua nomina è stata una sorpresa, è stata molto ben accolta da tanti ambienti che temevano Jens Weideman presidente della Bce. Weideman, che era il candidato di punta, sarebbe stato un disastro completo, che avrebbe diviso l’area dell’euro. Quindi, sicuramente, la Lagarde parte con il plus del pericolo mancato e anche queste cose contano.
Ora per l’Italia si apre la partita del commissario e si parla di un commissario con un “portafoglio pesante”. L’Italia ce la farà?
E. Letta – Non lo so, mi auguro di sì. Conta molto il profilo del candidato commissario italiano, perché oramai si tratta di una vicenda molto politica e, se l’Italia mette in campo un candidato di sfida contro Bruxelles, la vedo difficile. Dovranno fare delle scelte che non siano provocatorie, anche perché potrebbero essere a forte rischio di conferma da parte del Parlamento europeo, che oramai ha una capacità di promuovere e bocciare i singoli. Quindi sono convinto che sia importante il profilo. Credo che sarà fatto. In questa partita anche il presidente della Repubblica ha, giustamente, il diritto di parola, dal momento che si tratta di una materia che riguarda l’intero Paese.