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Von der Leyen-Michel-Borrell-Sassoli-Lagarde

Ue: nomine, in una ‘old Europe’ the Empire strikes back

3 Lug 2019 - Riccardo Perissich - Riccardo Perissich

Non è stato un bello spettacolo, quello delle nomine ai vertici delle Istituzioni europee, ma alla fine abbiamo una quasi soluzione. “Quasi” perché mancano ancora alcuni importanti passaggi al Parlamento europeo. Il primo dato che salta agli occhi è il ritorno del famigerato asse franco-tedesco di cui molti avevano decretato l’avvenuta irrilevanza e forse la sparizione. Il risultato, completato oggi con l’elezione di un socialista italiano, David Sassoli, alla presidenza del Pe, è molto “old Europe”.

La logica di ritrovare l’intesa franco-tedesca
Del resto lo era anche il cosiddetto “compromesso di Osaka” sulle nomine, che prevedeva l’olandese Frans Timmermans alla testa della Commissione europea  e aveva una più spiccata configurazione beneluxiana. Bisogna dire che le due proposte di nomine, pure molto diverse, rispondevano a una logica simile: quella di ritrovare l’intesa franco-tedesca, ma anche il consenso di altri importanti attori come la Spagna e il Benelux.

Solo il nucleo dei paesi favorevoli a più integrazione può infatti sperare di tirare l’Ue fuori dalle secche in cui si trova. Resta da vedere se avrà l’energia per farlo e soprattutto se saprà affrontare alcuni problemi esistenziali: la conclusione della Brexit, il problema italiano e le difficoltà dell’ancora incompiuto allargamento a Est, in particolare verso i Paesi di Visegrad. Da questo punto di vista non è un male che una personalità tedesca, proveniente da un paese definito “egemone riluttante”, oltre a tutto ministro della Difesa, si assuma una responsabilità esplicita. Non possiamo quindi che rallegrarci. Ovviamente gli interrogativi sono numerosi, a cominciare dalla scarsa esperienza europea di Ursula von der Leyen e dalla scarsa dimestichezza con la politica monetaria di Christine Lagarde, le due nuove “signore dell’Europa”.

Il dibattito italiano pervaso da francofobia e germanofobia
È quasi divertente pensare alla persistente francofobia e germanofobia che pervade il dibattito italiano. Dopo avere decretato la fine dell’asse franco-tedesco, è apparsa poi la curiosa teoria secondo cui la carta Timmermans sarebbe stata giocata al solo scopo di farla fallire e arrivare alla spartizione delle cariche principali.

Come se Emmanuel Macron e Angela Merkel, due statisti già non fortissimi a casa loro, avrebbero potuto affrontare due giorni di isolamento e cocenti sconfitte sul fronte delle nomine al solo scopo di estrarre all’improvviso un piano B accuratamente celato.

Il comprensibile malumore del Parlamento europeo e il ritorno della politica
I problemi seri sono comunque altri. Il primo è il comprensibile malumore del Pe per la non presa in conto del sistema degli ‘spitzenkandidaten’. La lezione da trarre è più complessa. Le istituzioni dell’Ue traggono la loro legittimità da due canali paralleli e molto diversi: da un lato i governi espressione delle democrazie nazionali, dall’altro il Pe espressione diretta dei cittadini europei. I due canali non sono facili da conciliare. In passato hanno prevalso i governi. Nel 2014, per un fortunato concorso di circostanze, il Pe.

Le vicende di questa tornata esprimono la grande difficoltà di trovare una sintesi. Questa volta hanno piuttosto prevalso i governi, ma è bene notare che il negoziato è stato anche largamente politico. La politica, nel senso dei partiti, è entrata nel gioco e sarà impossibile espellerla. Possiamo prevedere che la prossima tornata nel 2024 vedrà uno scenario ancora diverso e il gioco continuerà finché l’Ue non avrà trovato un equilibrio istituzionale stabile.

Del resto, la fluidità della politica europea è tale, come pure la fragilità degli attuali gruppi politici, che non saremmo sorpresi se alla fine della legislatura la configurazione del Pe fosse diversa da quella attuale. Nell’immediato, il malumore dei socialisti e dei verdi per le nomine è comprensibile, come lo sarebbe stato quello del Ppe in caso di successo della “formula Timmermans”. Resta da vedere se si spingeranno fino a sabotare l’accordo. I verdi, spesso tentati da gloriose sconfitte, potrebbero cadere nella trappola; i socialisti dovrebbero essere più accorti.

Il risultato potrebbe essere di spingere il Ppe a qualche accordo con alcuni sovranisti: prospettiva sicuramente effimera e incompatibile con la ritrovata intesa franco-tedesca, ma molto dannosa nell’immediato. Il buon senso dovrebbe spingere invece i quattro partiti ad accordarsi su alcuni punti programmatici su cui vincolare le istituzioni. Lo stesso vale per i governi che hanno dominato il gioco. Non sto parlando di grandi programmi, ma di punti fermi. Le turbolenze dell’economia e della politica internazionale ci dicono che il futuro, più che programmi richiederà capacità di reagire agli avvenimenti. Ciò implica una capacità di reazione rapida e di immaginazione che non sono proprio nel Dna dell’Ue. Ci siamo però riusciti al momento della crisi dell’euro negli anni 2011/’12, poi al momento della crisi ucraina e infine per far fronte a Brexit. Le prove che ci attendono saranno forse ancora più difficili.

I grandi sconfitti, “affari loro”?
I grandi sconfitti di questa operazione sono i sovranisti e i paesi Visegrad che sono riusciti a impallinare Timmermans solo per dover ora fare i conti con quella che è stata definita “la squadra più federalista dai tempi di Delors”. Il risultato è anche una cattiva notizia per i più accesi sostenitori di Brexit in Gran Bretagna. Nei due casi, si è tentati di dire “affari loro”.

Infine c’è l’Italia. La ragione per cui abbiamo deciso di bocciare il candidato in assoluto meglio disposto verso l’Italia ( intesa come Paese) per poi aderire a un palese accordo franco-tedesco, restano per me un mistero. Certo, abbiamo provvisoriamente evitato l’infrazione. Ma questo, grazie alla marcia indietro del governo, sarebbe probabilmente successo comunque. Conte ha dichiarato che “avremo un commissario”; ci mancherebbe, è nel Trattato! Sarà forse anche un vice-presidente. Avrà un “portafoglio pesante”? Resta da vedere. La concorrenza, il commercio? Se il/la prescelto/a fosse espressione dell’attuale maggioranza, sarebbe come mettere Dracula alla testa dell’Avis. La ciliegina sulla torta è che c’è sì un presidente italiano del PE … ma è dell’opposizione. L’amara conclusione è che l’anomalia italiana resta intatta. Verrebbe da dire anche in questo caso “affari loro”. Purtroppo se sei italiano non te lo puoi permettere.