Ue: futuro di Visegrád, alleanza dai piedi di argilla
Fondato nel 1991 dai governi dell’allora Repubblica Cecoslovacca, della Polonia e dell’Ungheria per far fronte in maniera congiunta alle trasformazioni sociali, economiche ed istituzionali richieste dal processo di integrazione europea, il Gruppo di Visegrád (V4) – tornato di recente protagonista a Bruxelles in occasione dei negoziati sulle euro-nomine – è sostanzialmente costituito da Paesi con identità, trend economici ed ambizioni politiche spesso diverse.
Dal punto di vista economico, nel 2018, la Slovacchia – l’unico dei V4 ad essere anche membro dell’Eurozona – ha registrato una crescita del Pil del 4,1%, l’Ungheria del 4,9%, la Polonia del 5,1% mentre la Repubblica Ceca solo del 2,9% (a fronte di una crescita del 4,4% nel 2017). Anche il livello di disoccupazione mostra andamenti diversi. A Praga si attesta attorno al 2,2%, a Varsavia al 3,9% e a Budapest al 3,7%. A Bratislava, invec,e è quasi al doppio, al 6,5%, anche se nel 2017 era all’8,1%. Pure i dati sulla produttività del lavoro mostrano un divario nella regione. La Slovacchia e la Repubblica Ceca registrano trend più alti rispetto agli altri due membri del V4, che sono ampiamente al di sotto della media europea. Inoltre, il numero di persone a rischio povertà è più basso in Repubblica Ceca (13,3%) ed in Slovacchia (18,1%) rispetto alla Polonia (21,9%) e all’Ungheria (25,6%), che è l’unico Paese a superare la media europea del 23,5%.
D’accordo sui migranti, divisi in politica estera
Se si analizzano le posizioni politiche dei quattro in maniera più approfondita, non è sempre facile trovare una sintesi. Ciò che ha accomunato i V4 nel corso degli ultimi anni sono state proprio le posizioni prese sulla questione migranti, la retorica anti-immigrazione ed il rifiuto di accettare le politiche di ricollocamento e redistribuzione dei richiedenti asilo proposte dalla Commissione europea; motivo per cui Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca sono state oggetto di apertura di una procedura di infrazione per la mancata implementazione dei meccanismi di ricollocamento. Ma non la Slovacchia, che di fatto ha accolto un numero, seppure esiguo, di richiedenti asilo.
In politica estera, tutti i Paesi del Gruppo di Visegrád sono sostenitori della Nato, temono le ripercussioni economiche e politiche della Brexit – che secondo loro porterà ad una concentrazione di potere nelle mani della Germania – e sostengono gli Stati Uniti. Tuttavia, già il ruolo della Russia, ad esempio, li divide. Per la Polonia, Mosca è una minaccia regionale e nazionale. Invece, per l’Ungheria, la Slovacchia ed in parte la Repubblica Ceca, la Russia potrebbe essere un ottimo partner commerciale. Per questo motivo i tre hanno sempre criticato le sanzioni, che a dir loro danneggiano i mercati nazionali.
L’anomalia slovacca
Al di là della politica estera, oggi questa alleanza di comune interesse potrebbe essere messa a repentaglio dai trend politici interni ai quattro Paesi. Di fatto, la Slovacchia, dopo l’omicidio del giornalista Ján Kuciak nel febbraio 2018, gli scandali di corruzione e le dimissioni del primo ministro Robert Fico e del suo ministro dell’interno Robert Kaliák, è l’unico membro dei V4 ad avere una presidente della Repubblica europeista, la neoeletta Zuzana Čaputová, insediatasi un mese fa dopo aver ottenuto il 58% dei voti con una campagna politica all’insegna del cambiamento. In quelle stesse settimane, la coalizione liberale ed europeista formata dai partiti Slovacchia Progressista (la formazione della neo-presidente) e Spolu si è imposta alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, ottenendo il 20,11% dei voti e 4 seggi.
Nonostante il governo della Slovacchia resti nelle mani del partito di sinistra Smer-SD dell’ex premier Fico, guidato oggi dal premier Peter Pellegrini, proprio queste due vittorie elettorali sembrano aver segnato uno spartiacque tra Bratislava e il resto dei Visegrád – e in particolare con Polonia e Ungheria -, dove invece, nel corso delle elezioni europee, i partiti al governo e la loro retorica euroscettica hanno trionfato.
Diversità di vedute sul futuro dell’Europa
Le divisioni più grandi riguardano in effetti proprio il rapporto con l’Unione europea. Già dal summit di Bratislava dell’ottobre 2016, i V4 ambiscono a presentarsi ai tavoli europei con una posizione comune in materia di futuro dell’integrazione europea. Questo di fatto non è mai avvenuto. Polonia e Ungheria sostengono che ogni ambizione federale debba essere abbandonata e, invece che un “salto in avanti”, l’Unione europea debba fare un salto indietro, concentrandosi su un’agenda limitata, relativa al mercato unico e alla sicurezza.
D’altro canto, Slovacchia e Repubblica Ceca non sono dello stesso avviso. Il governo di minoranza ceco guidato da Andrej Babiš non ha una visione coerente della politica europea ma tende ad appoggiare un approccio meno ostile verso l’Unione europea e soprattutto verso la Germania. Infatti, proprio come Bratislava, anche Praga teme che sostenere un approccio intergovernativo, come quello caldeggiato da Varsavia e Budapest, possa portare ad un diktat dei paesi dell’Europa occidentale sui Paesi dell’est, riducendone il peso politico e la possibilità di contare di più sullo scacchiere europeo.
In questo frangente sono proprio i due Paesi più piccoli del gruppo, la Slovacchia e la Repubblica Ceca, a porre seri interrogativi sul futuro del V4. Se fu proprio la necessità di ottenere una maggiore visibilità a Bruxelles e nell’arena globale a spingere questi Paesi a fare fronte comune, creando un piattaforma politica attraverso la quale perseguire i propri interessi nazionali, oggi la situazione sembra essere cambiata. Quando si tratta di futuro dell’Unione europea, il gruppo Visegrád sembra essere poco conveniente a Slovacchia e Repubblica Ceca. Da alleanza nata per affrontare il processo di integrazione europea, il V4 potrebbe essere vanificato proprio dalla diversità di vedute in materia, trasformandolo da V4 a V2, ed indebolendone così sia il peso politico sia la capacità di azione del blocco centro-orientale a livello europeo.
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