Spagna: Sánchez senza numeri, si avvicina l’ora X
L’investitura di Pedro Sánchez a presidente del governo spagnolo sarà votata nel Congresso il 23 luglio: in prima battuta sarà necessaria la maggioranza assoluta di 176 voti; in seconda, 48 ore dopo, sarà sufficiente la maggioranza semplice. Ma in questo momento, il leader socialista non ha i numeri per passare neppure nel secondo dei casi. A quella data saranno trascorsi già tre mesi dalle elezioni politiche di aprile vinte dai socialisti, successo confermato nelle successive elezioni europee che hanno fatto del Psoe il primo partito della famiglia socialista europea.
Tanto che Sánchez ha concordato la data dell’investitura da Strasburgo, dove stava negoziando per conto del gruppo socialdemocratico i vertici dell’Unione europea, intento a riconquistare alla Spagna quella visibilità internazionale perduta nell’epoca di Mariano Rajoy. Alla fine, però, l’asse franco-spagnolo si è mostrato inconsistente ed è prevalso il solito patto franco-tedesco, nuovo solo nel genere, nel segno del più tradizionale liberismo economico. Tuttavia, la conquista per il suo ministro degli Esteri Josep Borrell dell’incarico di Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea, ha fatto dire a Sánchez che “la Spagna è tornata in campo”.
Un governo di cooperazione con sostegno esterno a geometria variabile
Finora, il presidente incaricato, che dispone di soli 123 voti propri, ha fatto appena un giro di consultazioni, ha invocato l’astensione di Popolari e Ciudadanos e ha incontrato Pablo Iglesias solo un paio di volte, in modo cordiale ma infruttuoso. Nonostante i 42 voti voti di Unidas-Podemos siano fondamentali per costruire, assieme all’astensione di altri, la maggioranza utile alla sua elezione, l’intesa a sinistra non procede, perché nel Psoe sembra essere prevalsa l’idea di un governo di minoranza con il sostegno esterno a geometria variabile, anche se in un rapporto preferenziale con la formazione viola.
La formula proposta da Sánchez è quella di un “governo di cooperazione”, che consisterebbe in un’intesa programmatica tra i due partiti e la presenza di Podemos solo nelle seconde file del governo. Questa posizione, presente fin dal giorno successivo il 28 aprile, si è andata rafforzando tra i socialisti col tempo, col pretesto del risultato delle elezioni autonomiche e municipali di maggio celebrate assieme alle europee, che ha mostrato un’ulteriore riduzione di consensi a livello territoriale per Podemos, con la perdita di diverse delle città che nel 2015 rappresentarono l’onda del cambio.
Ma Podemos rivendica un governo di coalizione, progressista e plurale per rispondere alle priorità del Paese, come hanno indicato i risultati elettorali. E non sembra disponibile a una soluzione differente. Anche davanti alla minaccia di un ritorno a elezioni a novembre. Perché Sánchez ha già detto di voler essere eletto presidente non oltre il mese di luglio.
La prospettiva di nuove elezioni
Dal 23 luglio, infatti, comincia a correre il tempo di due mesi, passati i quali senza che nessun candidato sia investito presidente le camere si sciolgono automaticamente e si convocano nuove elezioni entro un tempo stabilito. Come successe nel 2016, quando Sánchez provò senza successo a farsi eleggere da Ciudadanos e Podemos e ci volle poco meno di un anno per avere di nuovo un governo a guida popolare. Per quanto sembri incredibile, a oggi uno scenario elettorale in autunno non si può escludere.
E’ probabile che in una nuova consultazione a guadagnarci sarebbero socialisti e popolari, i primi riconquistando voti alla loro sinistra, i secondi ricompattando la destra; tanto più in un momento di crisi interna a Ciudadanos per la fuoriuscita di quadri e dirigenti, dopo l’abbandono/cacciata di Manuel Valls per avere favorito con i suoi voti l’elezione di Ada Colau a sindaca di Barcellona. Ma non si può confidare che la mobilitazione della sinistra contro l’estrema destra si manterrebbe così alta in un nuovo confronto elettorale come lo fu in aprile.
I negoziati, le posizioni e il ruolo delle autonomie
Ad ogni modo, ora ci sono tre settimane per sbloccare la situazione e negoziare un’intesa. E se il leader di Ciudadanos Albert Rivera, impegnato nella conquista della guida della destra, dice che non parteciperà alla prossima consultazione del presidente incaricato, il presidente del Pp Pablo Casado offre solo i pochi voti dei suoi deputati in Navarra, se il Psoe evita di ottenere la presidenza della Comunità autonoma con il sostegno degli indipendentisti baschi di Bildu.
Iglesias scrive una lettera aperta a Sánchez sul quotidiano La Vanguardia, esortandolo a concretizzare l’ipotesi di un governo di coalizione, impegnandosi a riconsiderare la sua proposta nel caso in cui questo governo non dovesse avere la fiducia del parlamento. Esquerra Republicana de Catalunya si dice disponibile a non bloccare un’ipotesi di governo a guida Sánchez, mentre i deputati di Junts per Catalunya non hanno ancora raggiunto una posizione definitiva.
D’altronde, in Catalogna tutto procede a fatica, in attesa della sentenza del processo contro la leadership indipendentista che si è concluso nella prima metà di giugno. Le accuse di ribellione, sedizione, disobbedienza e distrazione di fondi pubblici, confermate dal pubblico ministero e dall’avvocatura dello Stato, non depongono per un verdetto leggero. L’indipendentismo si è ritrovato a Strasburgo il giorno della costituzione dell’europarlamento per protestare per l’assenza degli eurodeputati Carles Puigdemont e Toni Comín, in esilio, e Oriol Junqueras, in carcere. Eletti da oltre due milioni di cittadini europei, ma cui lo Stato spagnolo ha impedito di partecipare alla sessione inaugurale.