IAI
Intervista a Kornely Kakachia

Georgia: Ue senza strategia per il Partenariato orientale

26 Lug 2019 - Eleonora Febbe - Eleonora Febbe

“Il problema principale è che al momento né l’Unione europea né la Nato hanno un programma preciso per i Paesi del Partenariato orientale”, spiega Kornely Kakachia, direttore del Georgian Institute of Politics e professore di scienze politiche all’Università statale di Tbilisi, intervistato a proposito della conferenza internazionale tenutasi a Batumi l’11 e il 12 luglio per celebrare i dieci anni del Partenariato orientale (Eastern Partnership – EaP).

Durante la conferenza, la presidente georgiana Salome Zourabichvili ha dichiarato che i georgiani vogliono impedire che il processo di avvicinamento all’Ue deceleri e per farlo “Busseremo a tutte le porte e, quando avremo finito di aprirle tutte, saremo ormai membri dell’Unione europea”. Quali sono queste possibili porte?
K. Kakachia – In Georgia siamo coscienti del fatto che al momento l’Unione europea deve affrontare una serie di sfide interne – Brexit, populismo, questione migratoria – e di conseguenza non vi è molto interesse per l’allargamento. Ma la Georgia è in testa tra i Paesi del Partenariato orientale e non vuole perdere tempo. Per questo la presidente, e con lei anche il nostro Istituto, sostiene che la Georgia abbia bisogno di un’integrazione graduale con l’Unione sul modello di alcuni Paesi come Svizzera o Norvegia, che non sono membri Ue ma ciononostante godono di alcuni benefici propri della condizione di Stati membri. Se la Georgia si unisce a un programma, e poi a due, tre, quattro, una volta che il clima politico sarà quello giusto, le discussioni per l’accesso saranno solo una formalità. Si tratta di un processo che sta già avvenendo con la Nato: la Georgia ha inviato soldati in Afghanistan, agendo di fatto come un membro dell’Alleanza Atlantica.

Partenariato orientale
Kornely Kakachia (© Zaza Nikolozishvili – Georgian Institute of Politics)

A Batumi è stato firmato l’accordo “SAFE: EU4 Security, Accountability and Fight Against Crime in Georgia”, che durerà cinque anni e fornirà aiuto finanziario e tecnico a Tbilisi per la lotta alla corruzione e alle minacce ibride. Può essere un esempio di ‘porta’ che è stata aperta?
K. Kakachia – Certamente. La Georgia non è membro di nessuna alleanza militare e ha bisogno di integrarsi in un’organizzazione all’interno della quale può sviluppare una cooperazione nell’ambito della sicurezza. Questo accordo è un passo avanti, ma dipenderà tutto dalla misura in cui l’Ue vorrà coinvolgere Tbilisi in questo tipo di iniziative.

A questo proposito, come inquadrare il discorso del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk a Batumi, particolarmente entusiasta verso la Georgia? C’è veramente la volontà politica da parte dell’Ue di avviare un processo di maggiore integrazione?
K. Kakachia – Non bisogna dimenticare che Tusk è un politico polacco. E l’Ue è divisa in due: da un lato Polonia, Svezia, Paesi Baltici e Europa dell’Est, molto favorevoli a un allargamento; dall’altro Francia, Germania, Italia e altri Paesi che credono che il momento non sia adatto. Anche se Tusk ha parlato come rappresentante dell’Ue, ha fatto un discorso da politico est-europeo, e al tempo stesso non ha preso nessun impegno in nome dell’Europa, limitandosi ad alzare il morale di Tbilisi. La verità è che l’Unione europea vuole interagire con la Georgia, ma da lontano, e né lei né la Nato hanno una strategia chiara per la regione. L’Europa ha ormai esaurito le “carote” che poteva presentare non solo alla Georgia, ma anche a Ucraina e Moldova: firmato l’Accordo di Associazione, abolito l’obbligo di visto… ora a Bruxelles non sanno più cosa fare per prendere tempo senza aumentare la frustrazione di questi Paesi.

Vista questa mancanza di una strategia, come si evolverà l’EaP? Avrebbe senso sviluppare un modello di integrazione differenziata, visto che alcuni Paesi sono più interessati di altri a una maggiore cooperazione con l’Ue?
K. Kakachia – Sarebbe l’idea migliore, ma l’Ue vuole sostenere tutti i Paesi nel Partenariato orientale. Si potrebbe mantenere il Partenariato, ma stringere rapporti più stretti con Moldova, Georgia e Ucraina per prepararli all’accesso nell’Ue, come è stato fatto per i Paesi baltici negli anni Novanta. L’interesse di questi Paesi per l’Europa è maggiore rispetto ad Armenia,Azerbaigian e Bielorussia, e non dovrebbero soffrire per questo motivo, come invece succede ora. Ma al momento il Partenariato è un’organizzazione ambigua e le prospettive per il suo futuro sono poco chiare.

Si parla spesso di come la Georgia potrebbe trarre beneficio dall’ingresso nell’Ue: garanzie di sicurezza contro la Russia, che dal 2008 controlla de facto le province separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud, supporto alla democratizzazione e allo sviluppo economico del Paese. Cosa potrebbe invece offrire Tbilisi all’Europa?
K. Kakachia – Quella georgiana è una civiltà antica, parte dell’Impero romano e di quello bizantino, ma al tempo stesso distinta e originale, e potrebbe offrire questa originalità culturale all’Europa. Ma soprattutto, l’ingresso di Tbilisi nell’Ue cambierebbe le carte in tavola nell’Europa post-sovietica e più in là, in Asia centrale e persino in Medio oriente. Vedere la Georgia, che negli anni Novanta era considerata uno Stato fallito, diventare un normale Paese europeo grazie a un processo di democratizzazione ed europeizzazione potrebbe avere un impatto positivo nella regione, una regione che l’Ue è interessata a stabilizzare. La vicinanza geografica con Iran e Turchia consentirebbe anche a Tbilisi di diventare un luogo di dialogo interculturale e di acquisire il ruolo di mediatore nella regione. Al momento la Georgia è circondata da Paesi autoritari, ma se ciononostante riuscirà a consolidare il suo sviluppo democratico, diventerà un esempio, con grande disappunto della Russia. La Russia non ha veramente bisogno della Georgia, ma una Georgia pienamente democratica ed europea ha il potenziale di influenzare la regione molto più del soft power russo.