Consiglio d’Europa: riammissione russa e nuova leadership
La sessione di giugno dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo è stata cruciale per due ragioni in particolare. La prima è l’elezione, il 26 giugno, del nuovo segretario generale dell’organizzazione, che a maggio ha compiuto 70 anni. Si tratta del ministro degli Esteri della Croazia, Marija Pejčinović Burić che, con 159 voti su 268, ha superato l’altro candidato, l’omologo belga Didiers Reynders. La Pejčinović Burić sostituisce il segretario uscente Thorbjørn Jagland, ex primo ministro norvegese. Il mandato del segretario generale è di cinque anni e, oltre a rappresentare i 47 Stati membri, è “responsabile della pianificazione strategica e della gestione delle attività e del bilancio” che per quest’anno ammonta a 437 milioni di euro.
La seconda ragione è l’adozione, lo stesso giorno, di una risoluzione, approvata con 116 voti a favore, 62 contro e 15 astenuti, che stabilisce la riammissione della Russia e dei suoi delegati nell’Aula di Strasburgo, dopo la diserzione due anni fa in segno di protesta per aver subito la rimozione del diritto di voto decretata dopo l’invasione russa del territorio ucraino della Crimea. La decisione è rilevante sia dal punto di vista politico sia da quello economico, dato che la sospensione della Federazione russa e dei suoi parlamentari ha comportato il mancato versamento della quota russa al bilancio dell’istituzione. In gioco vi erano quindi la sopravvivenza e la natura stessa del Consiglio d’Europa, il cui scopo è quello di proteggere i diritti umani di oltre 800 milioni di cittadini.
Nonostante la netta maggioranza dei voti espressi a favore della riammissione della Russia, la discussione che ha preceduto il voto è stata lunga ed impegnativa, soprattutto per l’ostruzionismo, piuttosto inusuale in seno a quest’Assemblea, esercitato dai conservatori dei Paesi vicini o confinanti con la Russia e dai britannici.
Il significato del ritorno della delegazione russa
La risoluzione 2292, oltre a ristabilire le credenziali della Federazione russa, sancisce anche un principio fondamentale. Il testo afferma che nel caso occorra sanzionare un Paese ciò non deve avvenire attraverso la rimozione del diritto di voto e delle prerogative parlamentari dei rappresentanti di quel Paese. La via deve essere un’altra. L’affermazione di questo principio ha indotto i diciotto parlamentari della Duma russa a far ritorno a pieno titolo a Strasburgo.
Il che significa poter tornare a discutere e ingaggiare un confronto su determinati problemi che l’Assemblea parlamentare giudica come abusi o violazioni dei diritti umani commessi dalla Federazione russa.
Una questione a cui hanno prestato attenzione i senatori e membri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa Roberto Rampi, italiano, e André Gattolin, francese, il primo appartenente al gruppo socialista e il secondo al gruppo liberale, ed entrambi iscritti al Partito Radicale Transnazionale. A Radio Radicale, Roberto Rampi ha detto: “Eravamo di fronte a una scelta che riguardava la natura del Consiglio d’Europa: dovevamo stabilire se questo è il luogo del soft power in cui si discute, ci si confronta, ci si divide, ci si contamina e in cui si tenta con la forza della persuasione di cambiare le cose, oppure se è il club dei bravi, dei migliori, dal quale ogni volta ad ogni passo escludiamo questo o quel Paese perché non si è comportato bene in questa o quella circostanza”. Effettivamente, l’istituzione preposta alla protezione dei diritti umani e dello stato di diritto difficilmente può esercitare la sua pressione su chi non fa parte di essa.
André Gattolin ha aggiunto: “Ho incontrato diversi rappresentanti di Ong ucraine, georgiane e di altri Paesi, in particolare sulla questione delle sparizioni forzate, e non ho avuto critiche rispetto alla mia scelta di votare a favore della risoluzione. Sanno che il Consiglio d’Europa e la Corte europea dei diritti dell’uomo sono tra gli ultimi di una serie di strumenti a cui poter ricorrere per far rispettare lo stato di diritto. È evidente quindi il contrasto tra la posizione dei politici e quella degli attivisti per i diritti umani. Naturalmente non andremo a incidere subito sulle politiche repressive della Russia ma possiamo aiutare il ripristino dello stato di diritto e la popolazione russa. Possiamo continuare a sostenere chi fa inchieste, chi si batte per il rispetto dei diritti fondamentali”.
Opposte chiavi di lettura del voto
Contrasto che trova conferma nelle parole strumentali dei detrattori di questa istituzione, in particolare di uno dei membri della delegazione della Federazione russa, che non ha perso tempo a presentare al pubblico russo il ritorno in Assemblea come l’accettazione da parte della stessa dell’annessione della Crimea. Il 26 giugno stesso infatti, il parlamentare russo Leonid Slutsky ha affermato che il ritorno è stato “un primo passo significativo verso il riconoscimento della Crimea come territorio russo da parte dei Paesi del Consiglio d’Europa”. Il delegato ucraino Leonid Yemets ha pubblicato su Facebook una dichiarazione delle delegazioni estone, georgiana, lettone, lituana, polacca, slovacca e ucraina in cui si afferma invece che “il Consiglio d’Europa sta perdendo la fiducia delle persone che difende”.
Una dichiarazione, quest’ultima, che sembra non dare il giusto peso a quanto richiesto il giorno seguente, giovedì 27 giugno, dalla plenaria dell’Assemblea con il rapporto Zingeris, ovvero la riapertura delle indagini in Russia sull’assassinio del leader dell’opposizione russa Boris Nemtsov, ucciso a colpi di pistola a due passi dal Cremlino nel febbraio 2015.
Novità per il coordinamento fra Assemblea parlamentare e Comitato dei ministri
Infine, occorre sottolineare un elemento di novità non affatto secondario, scaturito dalla vicenda della sospensione russa: approvando il rapporto De Sutter, il 24 giugno, Assemblea parlamentare e Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa hanno stretto le relazioni coordinando maggiormente il rispettivo lavoro. Sembrerebbe un costo in termini di riduzione dell’indipendenza dell’Assemblea, ma la logica dell’Assemblea parlamentare non è quella di un Parlamento tradizionale.
Il Consiglio d’Europa non è uno Stato con un potere esecutivo e uno legislativo. Comitato e Assemblea esercitano due forme di rappresentanza, il primo rappresenta i governi e il secondo i Parlamenti, il che rende sensata la decisione di accrescere il lavoro comune. Per di più, fino ad oggi, il Comitato dei ministri è rimasto piuttosto sordo rispetto alle iniziative dell’Assemblea parlamentare. Aumentando il coordinamento con il Consiglio, la riforma De Sutter offre l’opportunità all’Assemblea parlamentare di aumentare il proprio peso. È quantomeno auspicabile, per chi crede nella promozione dei diritti umani e dello stato di diritto.
Foto di copertina © Benoit Doppagne/Belga via ZUMA Press