Venezuela: ruolo Russia e il nuovo confronto internazionale
La crisi del Venezuela, ridimensionata l’attenzione mediatica, ci dà l’opportunità d’una riflessione più attenta e pacata sugli equilibri della geopolitica e sui campi d’azione dei suoi attori. In questi mesi, mentre i legami tra Mosca e Caracas progressivamente si intensificavano e rafforzavano, Washington decideva, con pretestuosa evidenza, di rompere le relazioni con Caracas, fino all’adozione di azioni di guerra economica.
Durante la Guerra Fredda, l’Unione Sovietica si era sempre mossa con cautela e mai pubblicamente nei ‘quartieri’ altrui; oggi, a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, la Russia è – senza alcun disagio – tecnicamente e materialmente in Venezuela; cosa inimmaginabile qualche tempo fa.
Si assiste all’arrivo di aerei militari russi in Venezuela a sostegno di Nicolás Maduro, mentre Washington è in prima persona, impegnata con Juan Guaidó in un’azione di regime change. James Hershberg, professore di Storia e Relazioni Internazionali alla George Washington University, definisce la presenza russa in Venezuela “assolutamente insolita”, ma essa non è né percepita né considerata allarmante nelle relazioni tra Washington e Mosca.
Cambia il modello di competizione globale
La crisi venezuelana conferma la mutazione dello schema di confronto nella competizione globale: il modello basato sulle “sfere di influenza” si riduce notevolmente, mentre diventa centrale il modello della “partita internazionale”.
Donald Trump con la dottrina dell’utilità, sdogana il concetto a-valoriale di “interesse” che diventa “interesse nazionale” e per tanto mutevole e asimmetrico. A cambiare è la strategia di espansione: non più frontale, ma vettoriale, con contese che si aprono in uno scacchiere geopolitico asimmetrico.
La Siria, la Libia e ora il Venezuela sono tante partite internazionali, tutte logicamente funzionali ai nuovi vettori d’espansione ed alle nuove condizioni d’equilibro. Ma con quali differenze?
Le partite possono avere una logica di breve–medio periodo o di lungo periodo, a seconda della visione strategica sottesa: la prima di complessiva espansione economica e diplomatica, la seconda di mera speculazione politica o geo-strategica. Nel primo caso, ne deriveranno indiscutibili vantaggi nella concentrazione delle ricchezze e nelle condizioni di potenza.
La strategia di interesse di Trump
Il cambio di rotta di Trump in Libia, con il via libera al generale Haftar, già sostenuto dalla Russia, sconfessando precedenti accordi internazionali, rappresenta perfettamente il nuovo modello di relazioni a geometrie d’interesse variabile, che si compone e scompone su base unicamente a-valoriale.
Sul Venezuela non va sottovalutata, nell’impostazione di Trump, una componente essenzialmente speculativa in termini elettorali, di costruzione del consenso sia in termini di distrazione dell’opinione pubblica che in termini di ricompattamento ‘ultracons’.
Del resto, gli Stati Uniti hanno sempre comprato il petrolio venezuelano – sempre -, nonostante l’autonomia energetica loro garantita dallo shale oil e la trentennale ostilità chavista, preservando le quote di importazione e la filiera di raffinazione di un petrolio di rara e gran qualità, extra pesado, adatto a lavorazioni importanti come l’asfalto.
La nuova dimensione persuasiva della Russia
Altro elemento di analisi è la nuova dimensione diplomatica e pervasiva della Russia, che lavora su più livelli; quello tecnologico, sia nella industria bellica che nella cyberwar; e quello ‘reputazionale’, costantemente alimentato dagli ottimi apparati di informazione e contro-informazione. Per avere un termine di paragone, si deve tornare indietro fino agli Anni Sessanta per un’ analoga competizione globale, paritaria sotto il profilo tecnologico, di prestigio e di persuasione.
I rapporti tra Mosca e Caracas iniziano con Hugo Chavez, che ridisegna il profilo strategico del Paese sul piano sia politico che militare: la Repubblica bolivariana diventa una potenza regionale.
La cooperazione tecnico-militare ha riguardato soprattutto la modernizzazione dell’aeronautica con il programma Sukhoi, fino all’ultima commessa del 2015 del caccia multiruolo Su-30MK2, e la costruzione di un efficace sistema di difesa aerea, costituito principalmente dalla tecnologia S-300VM, capace di intercettare tutti i tipi di bersagli, missili o aerei in un raggio di 200 chilometri.
Secondo un rapporto del Washington Office on Latin America (Wola), Maduro possiede un potenziale bellico dieci volte più potente del Panama di Manuel Noriega. Ovvio che, porovocazioni a parte, l’ ‘opzione intervento’ non è mai stata sul tavolo, mentre i continui appelli di Guaidó alla Fab (Forza Armata Bolivariana) ad abbandonare Maduro e le pressioni esterne hanno intaccato solo minimamente la coesione dell’impianto chavista.
Se la struttura bolivariana, ovvero l’unione civico-militare che tiene insieme istituzioni ed economia, è rimasta pressoché intatta, oltre al consenso emozionale al chavismo (spesso volutamente dimenticato nelle analisi), dietro c’è anche l’importante esposizione di Mosca che, soprattutto attraverso la cooperazione tecnico-militare, ha lavorato tanto e bene per preservare l’unità e la fedeltà delle forze armate.
Gli errori di Guaidó
Il fallimento dell’insurrezione del 30 aprile con un’azione ‘pasticciata’ e di scarsa credibilità ha spostato gli equilibri della contesa a favore di Maduro. Per la prima volta entra nel vocabolario della crisi la parola ‘golpe’, che nella legittimità del diritto internazionale ha un solo significato: sconfitta.
“Juan Guaidó è una persona simpatica, ma il suo modo di raggiungere il potere ha creato il caos in Venezuela. Ora spetta solo ai venezuelani risolvere la situazione”: così parlò Vladimir Putin a margine del Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo (Spief 2019, 7 giugno). La sufficienza con cui Putin ha declassato Guaidó – mai il leader russo si era espresso in questi termini – traduce la sottile soddisfazione del raggiungimento di una condizione di vantaggio dopo il fallito ‘golpe’.
Fino ad allora la partita si era mossa in un quadro di reciproca credibilità: sia nella ricerca del consenso interno e sia sotto il profilo della legittimazione diplomatica internazionale. L’impegno di Mosca nella crisi è stato costante, deciso e competente, unendo strategia sul campo e supporto internazionale, coltivando l’attesa e la frustrazione dell’avversario, fino all’errore. Con tutta evidenza, Guaidó non ha avuto uguale supporto.