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Retroscena di due golpe mancati

Venezuela: la fretta di Leopoldo, fatale a due riprese

14 Giu 2019 - Riccardo Pareggiani - Riccardo Pareggiani

La crisi del Venezuela analizzata dal punto di vista degli attori interni. In particolare di uno, Leopoldo Lopez Mendoza. La sua carriera politica ha inizio nel 2000: siamo a Chacao, il più piccolo ma il più ricco dei cinque municipi che compongono ‘El Distrito Capital’, l’area metropolitana di Caracas. Da sempre, Chacao, è uno dei bastioni della opposizione al governo di Hugo Chávez. Il giovane attivista anti-chavista, classe 1971, arriva alla ribalta della politica venezuelana conquistando la carica di sindaco, con una vittoria schiacciante alle elezioni municipali di quell’anno. La svolta successiva arriva nel 2004, quando Leopoldo viene rieletto, ottenendo riconoscimenti nazionali ed internazionali per il suo operato come sindaco. La sua notorietà si estende, a quel punto, anche al di fuori dei confini venezuelani.

La parabola politica fino a nemico pubblico ‘numero uno’ del chavismo
Leopoldo Lopez Mendoza è, sin dalla nascita, un soggetto predestinato a essere il nemico pubblico numero uno della Rivoluzione Bolivariana e di Chavez. Il suo albero genealogico annovera numerosi ministri dei governi ante-Revoluciòn, è figlio del direttore de El Nacional (quotidiano indipendente di Caracas) e nipote, per parte di madre, di un ex ministro del governo di Romulo Betancourt. E non si può poi scordare la discendenza diretta con Simòn Bolivar. Basta aggiungere alcune informazioni sulla sua formazione ed il quadro è completo: studente presso il Kenyon College in Ohio e laurea ad Harvard.

Nel 2000 fonda, con Julio Borges, Enrique Capriles e Carlos Ortiz, ‘Primero Justicia’, una formazione nata nelle università, che, per la sua visione cristiano-umanistaanti-socialista, si frappone da subito alla parabola chavista del socialismo democratico.

Oltre a vincere le elezioni del 2004 e a fregiarsi di numerosi riconoscimenti, Leopoldo Lopez si rende protagonista di vari eventi controversi, che lo connotano pubblicamente come un personaggio autoritario e molto ambizioso. Il che lo porta all’isolamento politico e produrrà una diaspora da parte di suoi alleati e compagni di sempre. Nel 2006 si stacca da ‘Primero Justicia’ a causa di una frattura con Borges e gli altri. Si apre una divisione talmente amplia che Leopoldo Lopez è costretto a ricreare la sua base e a ricostruire un proprio, credibile, capitale politico attirando sopratutto i giovani della cosiddetta ‘Generaciòn del 2007”’ quella da cui provengono anche Freddy Guevara e Juan Guaidò. Dal 2006 Leopoldo Lopez diventa, ufficialmente, il nemico pubblico numero uno di Chavez, venendo interdetto dai pubblici uffici fino al 2014.

La fretta cattiva consigliera
L’11 aprile 2002 il Venezuela si sveglia con le strade stracolme di manifestanti. Gli stessi, più molti altri, che avevano preso parte il giorno precedente allo sciopero generale indetto da Federcamara, Confederacion de Trabajadores de Venezuela, l’oppositore Pedro Carmona Estanga e, ovviamente, Capriles e Lopez.

La mattina del 12 aprile 2002 Henrique Capriles e Leopoldo Lopez ordinano l’arresto di Ramon Rodriguez Chicin, il neo-ministro dell’Interno del Governo Chavez. Una decisione che irritò gli alti ranghi del regime chavista, pur in procinto di disertare, e le sfere militari chaviste e fece andare storto, nelle ore successive, tutto il golpe. Con il neo-presidente Pedro Estanga Carmona già insediato e riconosciuto da vari Paesi tra cui Usa, Spagna e alcuni dell’Osa, il golpe ebbe un esito del tutto inaspettato.

Nel 2009 l’Ambasciata degli Usa a Caracas emise un dispaccio confidenziale, nel quale, dopo conversazioni con alti dirigenti di ‘Nuevo Tiempo’ (il partito fondato da Lopez dopo la sua uscita da ‘Primero Justicia’), lo si indicava come una figura altamente divisiva per l’opposizione.

Leopoldo Lopez torna alla ribalta internazionale il 12 febbraio 2014 quando, dopo un ordine di arresto emesso dal Tribunale Supremo di Giustizia e in una situazione nel Paese insostenibile, scoppiano ovunque grosse manifestazioni. A Caracas le proteste vengono ‘encabezadas’ proprio da Leopoldo, che credeva che la “forza contundente” della piazza sarebbe bastata a scalfire il granitico sistema militare venezuelano. La conta delle vittime fu alta. Gli errori del 2002 e del 2014 saranno ripetuti anni dopo.

Le differenze tra 11 aprile 2002 e 30 aprile 2019
Quali sono stati i fattori che hanno reso l’azione del 30 aprile, quando Guaidò e Lopez appaiono insieme a un manipolo di soldati, un autentico disastro? Uno dei primi fattori sottolineato da molti analisti è che nel 2002 la diaspora venezuelana non aveva ancora raggiunto i livelli di oggi. I quattro milioni di venezuelani oggi in  fuga erano, per la maggior parte, ancora nel Paese. Questo ha reso la presa delle piazze molto complicata. Il simbolo della débacle è stata l’immagine di Guaidò, che, con Leopoldo Lopez già al sicuro nell’Ambasciata del Cile, arringa la folla dal predellino di un’auto non con uno, ma con due megafoni in mano.

Secondo, come anche sottolineato in un articolo di Nicola Bilotta su AffarInternazionali.it, l’appoggio dei militari è apparso da subito insufficiente, impreparato e sprovvisto di tattica e logistica. Il video che lancia la ‘Operacion Libertad’ viene fatto apparentemente all’interno di una base aerea di piccole dimensioni, La Carlota, nel settore sud di Caracas. Si scoprirà che il gruppo si trovava all’esterno della base e risulta subito chiara la scarsa forza militare dei golpisti : tra i 20 ed i 40 uomini, tre blindati e tre mitragliatrici. Si sperava nella gente, nel popolo (letteralmente alla fame, o in esilio), che riempisse le piazze e che inducesse i militari a rompere le fila della Revolucion e a ricomporre quelle della Costitucion (cosi citava un volantino consegnato dai manifestanti alla polizia in tenuta anti-sommossa).

Nicolas Maduro, il presidente eletto, non si è esposto subito, ha atteso di capire quale fosse la reale entità della rivolta, di fare la conta degli amici e dei nemici. Ma la macchina della repressione, quella si, è stata attivata, a prescindere e immediatamente.

Praticamente i manifestanti, con in testa Guaidò, non si sono mai mossi dalla Plaza Altamira, punto d’incontro dal quale il corteo sarebbe poi dovuto avanzare attraversando da ovest a est la capitale, per arrivare alla fine del percorso al palazzo presidenziale di Miraflores. Stessa dinamica del 2002.

La fretta di Leopoldo anche in questo caso ha ridotto le poossibilità di successo del golpe. I membri delle forze armate di Maduro implicati nella ribellione non hanno visto di buon occhio la liberazione del ‘nemico pubblico numero uno’. Questo li ha portati a tirarsi indietro all’ultimo minuto e a spegnere i cellulari la mattina della Operacion Libertad. Uno degli elementi più indicativi della scarsa organizzazione è la rapidità con cui lo stesso Leopoldo Lopez si è rifugiuato prima nell’ambasciata del Cile (di cui, da più di un anno, è ospite Freddy Guevara), poi in quella spagnola .

Ulteriore tassello poco chiaro alla vicenda è la mancata attivazione dei disertori rifugiati in Colombia. Molti si chiedono perché i quasi 600 soldati che passarono il confine tra fine febbraio e inizio marzo non siano stati utilizzati. Il motivo che si adduce è lo scarsissimo appoggio alla ribellione dei comandi strategici. Non potendo contare sui comandanti dei maggiori distaccamenti militari, disponendo dell’appoggio dei pochi venezuelani dissidenti rimasti e senza il sostegno degli Usa ad andare avanti, Guaidò ha dovuto fermare il golpe, che in tre giorni ha fatto cinque vittime e numerosi feriti.

I 15 punti e il cammino verso la Norvegia
Quello che viene fuori nei giorni successivi al tentato golpe è uno stretto intreccio tra l’entourage di Maduro e l’opposizione, con cui era già stato formalizzato un documento in 15 punti. Il testo prevedeva un salvacondotto per Maduro, per farlo dignitosamente uscire dal Venezuela, e una serie di garanzie per esponenti del regime che da anni siedono a fianco del presidente.

Il piano è saltato anche per la distanza tra le due anime del golpe stesso. Leopoldo Lopez tendeva al rovesciamento del regime, Guaidó a una ‘transizione’.

Nei giorni successivi al golpe mancato, il governo di Maduro ha iniziato la caccia ai membri dell’opposizione: numerosi deputati sono stati costretti a rifugiarsi in ambasciate (due sono in quella italiana: Mariela Magallanes e Amerigo de Gracia) e c’è stato il rocambolesco arresto di Edgar Zambrano, vice-presidente della Asemblea Nacional.

Isolato e con poca forza, considerando che ormai l’appoggio degli Stati Uniti e della Colombia si è affievolito, Guaidó deve scendere a patti con l’oligarchia madurista. Trapela la notizia di accordi presi in Norvegia a fine maggio per la fine della ‘usurpazione’ con un governo di transizione, in cui quasi certamente non ci sarà il suo mentore Leopoldo Lopez Mendoza.