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Si presenta il Deal of the Century

MO: Manama si prepara al Vertice ‘Peace for Prosperity’

11 Giu 2019 - Luca Ciampi - Luca Ciampi

Manama, capitale del regno del Bahrain, ospiterà il 25 e 26 giugno il Vertice ‘Peace for Prosperity’, in cui verrà esaminata la proposta degli Stati Uniti relativa a un’eventuale futura soluzione del conflitto israelo-palestinese, chiamata ‘Deal of the Century’. Al di là degli accordi che emergeranno, l’incontro ha di per sé il merito di rappresentare un evento di portata storica poiché vedrà al tavolo, per la prima volta a livello ufficiale, rappresentanti di Stati arabi e di Israele. Chiaramente contrario al piano è l’Iran, la cui leadership ha giudicato “lesivo dei diritti dei palestinesi” il contenuto dell’iniziativa.

Primo Summit di pace in una capitale araba
Il luogo di svolgimento, Manama, assume un assoluto rilievo simbolico. Per la prima volta, infatti, sarà la capitale di un Paese arabo moderato (a maggioranza sciita, governato da una monarchia sunnita) ad ospitare i negoziati sul tema.

La presenza di rappresentanti del Governo israeliano in un Paese arabo non rappresenta una novità di per sé. Il premier Benjamin Netanyahu, la cui politica è aperta al dialogo con i Paesi arabi moderati, s’è già recato in visita ufficiale in Oman lo scorso ottobre, mentre il ministro per la Cultura e lo Sport, Miri Regev, ha presenziato ad una manifestazione sportiva svoltasi recentemente negli Emirati Arabi Uniti.

Questa però volta sarà diverso. A Manama, l’incaricato del Governo israeliano (fonti locali indicano l’attuale Ministro delle finanze, Moshe Kahlon) rappresenterà il suo Paese per sedersi al tavolo con diplomatici di Arabia Saudita, EAU e Bahrain e gettare le basi di un accordo che potrebbe rivelarsi fondamentale per i futuri equilibri regionali.

Non solo sicurezza e Gerusalemme
Altro aspetto rilevante è l’approccio che distingue l’attuale proposta dalle precedenti, in quanto non è focalizzata esclusivamente sulla sicurezza e sul nodo di Gerusalemme. Stando alle prime indicazioni, infatti, Jared Kushner e Jason Greenblatt (uomini di fiducia del presidente Usa Donald Trump per il Medio Oriente) hanno sviluppato un percorso che condurrebbe – a loro giudizio – a un futuro migliore per il popolo palestinese, attraverso programmi che favoriscano importanti investimenti (l’Fmi vi parteciperà, unitamente ad altri Istituzioni finanziarie globali) nella regione ed a migliorare le relazioni con Israele.

Secondo alcune fonti, il piano che sarà discusso a Manama verrebbe finanziato in gran parte dall’Arabia Saudita e, in percentuale minore, da Unione europea, Cina e Stati Uniti, per un totale di circa 90 miliardi di dollari.

L’allineamento tra Israele e i Paesi arabi moderati
Di fondamentale importanza è anche la tempistica scelta per proporre il nuovo piano. Gli Stati Uniti hanno colto il preciso momento in cui l’allineamento degli interessi di Israele e del mondo arabo moderato pare favorevole a nuovi negoziati di pace. Non è un mistero che oggi Israele, Arabia Saudita, EAU, Bahrain, Egitto e Giordania condividono l’obiettivo di impedire che l’influenza iraniana possa penetrare maggiormente nella regione, avanzando lungo l’asse consolidato Baghdad – Damasco – Beirut – Gaza.

In particolare, l’Arabia Saudita ha i maggiori interessi a difendere la sua leadership nell’area e spinge, quindi, per un avvicinamento sottotraccia (ma non troppo) con Israele, in chiave anti-iraniana. E non solo: Riad sarebbe disposta a farsi carico di gran parte degli investimenti previsti dal piano, ma in cambio chiede un maggiore impegno degli Stati Uniti per aumentare la pressione su Teheran (in parte già manifestatosi con l’uscita dall’accordo sul nucleare, il ripristino e l’aumento delle sanzioni economiche e finanziarie e lo schieramento di nuove unità terrestri ed aeronavali nella regione).

L’assenza annunciata dei palestinesi
L’approvazione del nuovo piano di pace ruota, chiaramente, soprattutto intorno alla posizione che assumerà in futuro l’autorità palestinese, da tempo in crisi per le fratture che dividono Hamas da al-Fatah. Nonostante non siano stati ancora rivelati i dettagli della proposta, è verosimile che un tale ammontare d’investimenti comporti in cambio precise richieste e, quantomeno, il disarmo delle cellule terroristiche operanti a Gaza.

L’Anp, attraverso comunicati ufficiali, ha già reso nota l’intenzione di non partecipare al summit di Manama e di rifiutare, in futuro, qualsiasi ulteriore proposta di pace provenga dagli Stati Uniti che non tenga conto delle aspirazioni politiche del popolo palestinese. Dichiarazioni queste che, però, non considerano le necessità contingenti dello stesso popolo, le cui già precarie condizioni dovranno fare i conti anche con l’annunciato taglio dei fondi destinati all’Unrwa, deciso dall’Amministrazione Usa. È chiaro che il rifiuto palestinese, ad oggi certo, potrebbe essere strumentalizzato in chiave mediatica da Israele e Usa, aumentando l’isolamento dei vertici dell’Anp.

La questione al centro degli equilibri regionali
Il summit di Manama difficilmente metterà fine al conflitto israelo-palestinese, anche per il momento di debolezza politica del premier israeliano, incapace di formare un Esecutivo nonostante la vittoria nelle elezioni di aprile scorso. Peraltro,  i Governi arabi moderati, seppur abbiano finora supportato Ramallah più con comunicati ufficiali che con iniziative concrete, non cambieranno (a livello formale, almeno) la loro visione sul problema e sosterranno ancora il diritto dei palestinesi ad uno Stato indipendente, con capitale Gerusalemme est.

In attesa delle elezioni israeliane fissate a settembre prossimo, molto dipenderà anche dai dettagli del piano, in riferimento in particolare al nodo di Gerusalemme ed ai territori occupati. Ma tale quadro e l’annunciata assenza dell’Anp on sembrano preoccupare eccessivamente i protagonisti dell’evento, in quanto sono tutti convinti che la questione palestinese è oramai inglobata in uno scontro più generale che investe l’intero Medio Oriente.

E una vittoria del presidente Trump, indipendentemente dagli esiti del confronto, sarà quella di essere stato capace di riunire intorno allo stesso tavolo per la prima volta i rappresentanti dei Governi di Israele, Arabia Saudita, EAU e Bahrain in una capitale di un Paese arabo moderato, per compiere insieme un primo importante passo verso una strategia condivisa che punti a contrastare le mire espansionistiche iraniane nella regione.

Per ora, l’Anp e l’intero cosmo palestinese resteranno ad osservare, in attesa di capire le strategie della propria leadership, divisa tra necessità di bilanciare principi e ideologie, da una parte, con pragmatismo e visione storica realistica, dall’altra.