MO: Manama, Piano Marshall o mossa anti-Palestina
Piano Marshall per il Medio Oriente o mossa per cancellare la Palestina? E’ questo il quesito sul quale si stanno interrogando analisti e specialisti della Regione, alla fine della conferenza economica che l’Amministrazione Trump ha organizzato il 25 e 26 giugno a Manama, in Bahrain. Sul tavolo del ‘Peace and Prosperity forum’, voluto da Jared Kushner, genero e consigliere del presidente Donald Trump, un piano di 50 miliardi per la Palestina con 28 miliardi destinati ai territori palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, 7,5 miliardi alla Giordania, 9 miliardi all’Egitto e 6 miliardi al Libano.
I contenuti del piano
All’interno del piano, verranno finanziati 179 progetti di sviluppo economico, tra cui 147 per la Cisgiordania e Gaza, 15 per la Giordania, 12 per l’Egitto e 5 per il Libano. I progetti includono, tra l’altro, infrastrutture, acqua, energia, telecomunicazioni, turismo e strutture sanitarie. Decine di milioni di dollari verrebbero accantonati per diversi progetti intesi a creare collegamenti più stretti tra la Striscia di Gaza e il Sinai egiziano attraverso servizi, infrastrutture e commercio. Le linee elettriche dall’Egitto a Gaza sarebbero potenziate e ripristinate per aumentare il flusso di elettricità.
Il piano propone inoltre di esplorare modi per utilizzare meglio le zone industriali egiziane esistenti per promuovere gli scambi tra Egitto, Gaza, Cisgiordania e Israele, ma non identifica le zone, oltre a evocare la possibilità di sfruttare i giacimenti di gas nello spazio marino di Gaza.
Un primo passo verso l’ ‘opportunità del secolo’. Ma i palestinesi…
Kushner, nel suo discorso introduttivo, ha parlato di questo forum solo come “il primo passo”. “Per essere chiari, la crescita economica e la prosperità per il popolo palestinese non sono possibili senza una soluzione politica duratura ed equa al conflitto, che garantisca la sicurezza di Israele e rispetti la dignità del popolo palestinese”, ha detto il genero di Donald Trump, che ha anche definito il piano di pace per il Medio Oriente “l’opportunità del secolo” piuttosto che “l’accordo del secolo”. “Il mio messaggio diretto ai palestinesi è che – ha affermato Kushner -, nonostante quello che vi hanno detto quelli che hanno fallito, il presidente Trump e questa Amministrazione non hanno rinunciato a voi”.
Ma non ha mai parlato della soluzione a due Stati, così come non fa Trump. Ed è proprio questo il punto, il motivo per il quale la Palestina ha boicottato e chiesto di boicottare il forum, oltre che farE scendere in piazza manifestanti in tutta la Cisgiordania, a Gaza e finanche in Libano. Durante il forum, infatti, non si è assolutamente entrato nel merito della questione politica dell’area, in particolare della soluzione a due stati tra Israele e Palestina, discussione senza la quale, secondo i vertici di Ramallah, non ha senso andare avanti.
Le presenze dei Paesi arabi e i problemi dei palestinesi
Diverso da quello del presidente Abu Mazen e dei palestinesi, invece, l’approccio dei Paesi arabi, alcuni come la Giordania anche molto vicini alla Palestina, che hanno accettato l’invito di Kushner, insieme ad Arabia, Egitto, Marocco solo per citarne alcuni. L’obiettivo era di andare ad ascoltare, senza preconcetti. Soprattutto la Giordania in più d’una occasione ha contestato l’intransigenza palestinese che sta portando lo Stato arabo verso il deficit economico aggravando la situazione già difficile per le sanzioni e i blocchi israeliani.
La preoccupazione di Amman, oltre a una questione economica, risiede anche nella paura di dover accogliere sempre più profughi palestinesi. Il problema economico è serio. La Lega Araba, la settimana scorsa, ha indicato in 700 milioni di dollari l’attuale deficit della Palestina che potrebbe portarla, a breve, al collasso, proponendo un aiuto mensile di 100 milioni. Da diversi mesi, Abu Mazen si rifiuta di ricevere, come previsto dagli accordi, i trasferimenti delle tasse da Israele perché questi li ha decurtati dei soldi spesi per i detenuti considerati terroristi.
“O tutto, o niente”, dice Abu Mazen, che intanto ha decurtato della metà i budget dei ministeri e del 40% lo stipendio dei dipendenti pubblici, che rappresentano la maggioranza degli occupati nel Paese, oltre a ridurre gli aiuti a Gaza sui quali l’enclave basa quasi l’80% del suo Pil. Secondo la Banca Mondiale, nel 2018 la crescita palestinese è stata pari allo zero, uno su tre palestinesi in età lavorativa è disoccupato (quasi il 20% in Cisgiordania e più del 50% a Gaza) e un quarto dei palestinesi vive con meno di 5,50 dollari al giorno. Il pil pro-capite è di 3.500 dollari annui a fronte dei 38.000 in Israele.
L’intreccio tra economia e politica per una pace soddisfacente
Nonostante questo, Abu Mazen non vuole “l’elemosina” israeliana né quella americana. Per Christine Lagarde, direttore del Fondo Monetario internazionale, intervenuta a Manama, “uno degli aspetti veramente buoni del piano è che identifica alcuni dei settori industriali ed economici, che porteranno all’occupazione”. La Lagarde è intervenuta alla cerimonia di apertura del forum sottolineando come il lavoro sia la priorità ma che una “pace soddisfacente” è l’imperativo per la prosperità nell’area. “Si tratta di mettere insieme tutti gli ingredienti. Migliorare le condizioni economiche e attirare investimenti duraturi nella regione dipende in ultima analisi dall’essere in grado di raggiungere un accordo di pace. La pace – ha concluso la Lagarde -, la stabilità politica e il ripristino della fiducia tra tutte le parti coinvolte sono prerequisiti essenziali per il successo di qualsiasi piano economico per la regione”.
Dello stesso avviso è stato anche il sottosegretario saudita Mohammed al-Sheikh, che ha espresso sostegno al piano economico di Washington per i territori palestinesi, affermando che potrebbe avere successo dal momento che include il settore privato e che “c’è speranza di pace”, ribadendo però che non si può prescindere da una soluzione politica che preveda la creazione di due Stati.
Anche l’Onu, attraverso il portavoce Farhan Haq, ha detto che il sostegno economico è importante per la creazione di un ambiente favorevole ai negoziati, ma le sole misure economiche non risolvono i conflitti, ribadendo la necessità di un percorso politico legittimo. Il ministero degli esteri del Bahrein, Kahlid bin Ahmad Al Khalifa, ha sottolineato come l’aiuto economico possa solo essere un inizio, ma senza la discussione politica e la determinazione del popolo palestinese, non si ottiene nulla.
La voce di uomini d’affari palestinesi
Al forum hanno partecipato uomini d’affari palestinesi, anche perché nel Paese non tutti sono d’accordo con la linea intransigente del presidente Abu Mazen, che ha continuato ad augurarsi il fallimento del “piano del demonio”. Mazin Qumsiyeh, autore, tra gli altri, di “Condividere la terra di Canaan: i diritti umani e la lotta israelo-palestinese” e di “Resistenza popolare in Palestina: una storia di speranza ed emancipazione”, è uno dei più critici con il presidente e il governo palestinese, anche perché ritiene che il piano americano non sia niente di diverso dagli accordi di Oslo.
“Già nel 1993 – dice il professore – si è messo il carro (economia sotto occupazione) davanti ai buoi (soluzione politica a due Stati); anzi, i buoi li hanno uccisi. Il linguaggio del piano americano è lo stesso di Oslo, non possiamo lamentarci. Quindi è il momento di ottenere nuovi buoi (una Olp che reclami la sua costituzione in Stato democratico laico), rimuovere la spazzatura che è stata accumulata sul carro e ottenere un nuovo inizio. Non è quindi sufficiente per noi protestare. È tempo di prendere le nostre iniziative. È tempo di una nuovo Olp che rifletta la volontà delle persone e che possa sfruttare il loro straordinario potere”.