Migranti: le tre riforme della politica dell’Ue necessarie
Il 26 maggio si sono tenute le elezioni europee. L’esito di queste consultazioni va ad aprire nuovi scenari nel Parlamento europeo (e anche nella Commissione europea) che influenzeranno quello che sarà il futuro dell’Unione. In questo contesto è importante interrogarsi su quali saranno le decisioni che il nuovo Parlamento andrà a prendere e quali problematiche dovrà fronteggiare. E, di particolare rilevanza, è comprendere come la nuova Assemblea deciderà di muoversi sulla questione migratoria, un aspetto di crescente importanza per il futuro dell’Ue, cui i parlamentari uscenti non sono riusciti a dare una risposta sostanziale e dove abbiamo individuato tre riforme da attuare.
Questa prospettiva assume un ulteriore rilevanza se pensiamo agli sviluppi politici negli Stati europei, dove posizioni ostili al fenomeno migratorio si stanno diffondendo e rafforzando. Questo è testimoniato, ad esempio, dalle misure atte al restringimento dei flussi e dall’adozione di provvedimenti restrittivi per il conferimento dello statuto di rifugiato (come ben dimostrato dal ‘decreto sicurezza’ adottato in Italia).
L’incapacità di trovare un accordo condiviso
La questione migratoria e le difficoltà dell’Unione europea a farvi fronte sono emerse chiaramente già a partire dal 2015, quando, davanti al costante aumento dei flussi diretti verso l’Europa, l’Unione si è divisa, non riuscendo a fornire una risposta comune. Da una parte c’erano Paesi come la Germania e l’Italia che spingevano verso una politica umanitaria (basti pensare alla creazione della missione marittima Mare Nostrum da parte del governo Letta già nel 2013 o all’apertura dei confini da parte della Germania per consentire l’ingresso ai migranti bloccati lungo la cosiddetta rotta balcanica nel 2015). Dall’altra c’erano Paesi come l’Ungheria, la cui risposta ai flussi è consistita nell’erezione di barriere lungo i propri confini.
In questo contesto, l’Unione provò a portare avanti una propria politica, esemplificata dalla creazione di un Meccanismo di Ricollocamento volontario dei migranti. Tuttavia, la mancanza di volontà politica da parte degli Stati nella sua applicazione portò al fallimento di questo strumento. L’Unione ha inoltre cercato di attuare riforme dei suoi vecchi dispositivi, come ad esempio il regolamento di Dublino sull’esame delle richieste d’asilo. Tuttavia, l’Ue non è stata in grado di accordarsi sulla modifica, portando così ad uno dei più importanti fallimenti dell’Unione in quest’ambito (come ammesso dallo stesso commissario europeo Dimitris Avramopoulos il 4 dicembre 2018).
Tre riforme necessarie per il futuro della politica migratoria europea
A cinque anni dall’emergere della questione migratoria, poco è stato fatto per trovare una vera soluzione a livello europeo. Il Parlamento che andrà ad insediarsi ai primi di luglio dovrà gestire una situazione molto complicata. Come già detto, ci sono almeno tre importanti riforme da attuare.
In primo luogo, è fondamentale attuare una riforma del Regolamento di Dublino. Una delle principali difficoltà della questione migratoria può essere infatti ricondotta a questo regolamento e al principio di ‘primo ingresso’ secondo cui il Paese d’ingresso sul suolo europeo dei richiedenti asilo deve farsi carico delle loro domande. Questo principio ha prodotto un effetto negativo durante i periodi di flussi più elevati, portando cinque Stati, fra cui l’Italia, a gestire il 72% delle richieste di asilo a livello europeo, come messo in evidenza da un rapporto del Parlamento di Strasburgo.
Dublino, dunque, non funziona: è un ingranaggio che fa inceppare la macchina europea, costringendo alcuni Paesi a dovere gestire da soli la situazione. In questo senso è fondamentale riformare il principio di primo ingresso, accompagnandolo ad un sistema di ridistribuzione dei richiedenti asilo su base europea.
Questa fondamentale riforma sarebbe facilitata se accompagnata da una seconda riforma, quella di Frontex, inglobando nelle sue competenze le missioni di Ricerca e Soccorso (in inglese Sar), che vengono attualmente svolte da organizzazioni espressione della società civile (le Ong), le quali stanno subendo un pesante processo di criminalizzazione da parte di diversi governi europei per via del loro operato.
Conferire a Frontex questa competenza avrebbe svariate conseguenze. Innanzitutto, contribuire a rendere più trasparente lo svolgimento di queste operazioni (riducendone di conseguenza le opposizioni); in secondo luogo, ricondurre l’ambito d’azione nel Mediterraneo sotto lo scrutinio delle Istituzioni europee, cosa che non avviene con l’attuale operazione Sophia (essendo questa un’operazione militare); infine, come già accennato sopra, fare venire meno il principio di ‘primo ingresso’ previsto da Dublino. Delegando infatti queste operazioni a un’agenzia europea (il cui staff proviene dai Paesi Ue), sarebbe più facile spingere per una distribuzione su base europea delle persone tratte in salvo, creando in questo modo un vero meccanismo di solidarietà tra gli Stati membri.
Infine, ed è la terza riforma, è fondamentale che l’Unione aumenti i fondi allocati per la questione migratoria. Al momento, infatti, solo una minima parte del budget europeo (circa l’1,6% nel periodo 2014-2020) viene destinato all’immigrazione e all’asilo. Un più forte sostegno economico potrebbe portare al rafforzamento di agenzie come l’Ufficio europeo di Sostegno per l’Asilo (Easo), contribuendo a rafforzare l’azione dell’Ue in quest’ambito. Il che consentirebbe, inoltre, di aumentare le capacità dell’Unione di fornire un migliore supporto agli Stati membri e di rafforzare, nello stesso tempo, l’efficacia dell’azione dell’Ue.
Le riforme qui elencate non sono le uniche possibili. Esse rappresentano, però, importanti tasselli per andare a costruire una vera politica europea sul tema dell’immigrazione e dell’asilo. Questo aspetto è fondamentale anche per evitare di proseguire il processo di esternalizzazione che l’Ue sta mettendo in atto con i Paesi terzi, un processo che pone sostanziali dubbi per le condizioni inumane e in piena violazione dei diritti umani che i migranti devono subire. Una situazione che l’Ue non può accettare e che si può superare solo con una maggiore integrazione della sua azione in questo campo.