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L'Intervista - Sul 'Deal of the Century'

Medio Oriente: Pickering, ‘accordo del secolo’ molte incognite

21 Giu 2019 - Francesca Caruso - Francesca Caruso

“Gli Stati Uniti hanno perso da un bel po’ di tempo l’occasione di ricreare fiducia e speranza in Medio Oriente. E anche se ci fosse un democratico forte in grado di spodestare Trump ci vorrà molto tempo per tornare nella posizione in cui eravamo 10 anni fa, quando Obama cercava di rimediare all’errore fatale di Bush sull’Iraq”. Per l’ex ambasciatore americano Thomas Pickering, nonostante non ci sappia ancora molto, l’ ‘accordo del secolo‘ di Trump non cambierà le sorti del popolo palestinese. Né tanto meno la posizione degli Stati Uniti in Medio Oriente. Pickering, oltre ad essere stato ambasciatore alle Nazioni Unite dal 1989 al 1992 è stato anche ambasciatore in Israele dall’85 all’88 durante la Presidenza Reagan.

 

Il 25-25 giugno, gli Stati Uniti hanno organizzato un workshop in Bahrain, durante il quale dovrebbero svelare gli aspetti economici dell’ ‘Accordo del secolo’ per la pace israelo-palestinese. Cosa si aspetta da questo incontro?
Pickering – Le indiscrezioni e i sospetti ci dicono che sarà un approccio che sembra tradurre una sorta di sforzo per migliorare le condizioni economiche dei palestinesi, senza però dire molto sulle questioni politiche che sono così importanti per loro. Dal momento che loro non partecipano, rifiuteranno sulla base di ciò che sentiranno dai resoconti della riunione. Questa è la parte che probabilmente non piacerà molto all’opposizione in Israele, mentre invece per la destra farà da cassa di risonanza perché sembrerà che abbiano cercato di trovare un qualche tipo di compromesso. Ora è vero che la riservatezza è stata tale che potremmo essere sorpresi dai dettagli e dall’inclinazione dell’accordo, ma ne dubito davvero.

Che tipo di sviluppi economici ha in mente l’Amministrazione Usa per la Palestina. Crede che questo tipo di approccio possa funzionare?
Pickering – Non lo possiamo sapere. Lavoro, investimenti, commercio, qualche programma sociale potenziale e forse delle attività di cooperazione con Israele che mettano in risalto l’occupazione palestinese sono cose prevedibili se teniamo in considerazione i rapporti e le proposte del passato.

La partecipazione nella conferenza, a livello di attori regionali e internazionali, è ancora poco chiara. Che cosa pensa del fatto che i governi della Giordania, del Marocco e dell’Egitto hanno dichiarato che ci saranno, mentre i palestinesi saranno assenti?
Pickering – Ho la sensazione che questi governi, ognuno per ragioni diverse, si senta in dovere di accettare l’invito per continuare a costruire delle relazioni privilegiate con l’Amministrazione Trump. E soprattutto in vista di una possibile seconda vittoria elettorale di Trump, cosa non fuori da ogni possibilità per il momento. Sarà interessante vedere come reagiranno. Il Marocco e la Giordania hanno delle relazioni di lunga data con e a proposito di Gerusalemme e vogliono mettersi in guardia dal perdere terreno su questo tema. L’Egitto di al Sisi ha avuto un supporto non da poco da Trump e non vuole perdere questo legame, nonostante l’Egitto abbia una posizione dura e di lunga data per quanto riguarda lo stato palestinese e Gerusalemme.

Come abbiamo detto prima, secondo i media, durante il workshop del Bahrain non si parlerà degli aspetti politici del piano americano. Sembrerebbe che ne discuterà in un secondo momento. Che cosa ne pensa di questo approccio?
Pickering – È un modo molto facile per continuare a fare bere ai palestinesi un bicchiere molto amaro a base di qualcosa, che secondo gli artefici del piano, potrebbe rendere il drink più dolce. Se è così, credo che stiano sovrastimando, nonostante uno sforzo abile a venderlo e spingerlo, ciò che presenteranno e la reazione del mondo arabo, e in particolare di quelli che per anni sono stati al fianco dei palestinesi per una questione di fede e di protezione contro una reazione interna ai loro Stati. Il re Salman dell’Arabia Saudita ha abbandonato ogni tipo di accordo che non considerava che Gerusalemme doveva essere degli arabi o almeno in gran parte.

Dopo le mosse trumpiane pro-Israele o anti-Iran, molti credono che gli Stati Uniti perderanno (o abbiano già perso) il loro ruolo di mediatore di pace in Medio Oriente. Crede che questo sia vero? Gli Stati Uniti riusciranno mai a riacquisire quel ruolo nella regione?
Pickering . Sta scherzando! Gli Stati Uniti hanno perso da un bel po’ di tempo l’occasione di riporre fiducia e speranza nella regione. E i più recenti cambiamenti dell’ambasciata americana a Gerusalemme, e la loro posizione sul Golan, hanno ulteriormente eroso questa posizione. La distruzione è avvenuta geometricamente; la ricostruzione sarà lineare. E anche se ci fosse un democratico forte che spodesterà Trump ci vorrà molto tempo per tornare nella posizione in cui eravamo 10 anni fa, quando Obama cercava di rimediare all’errore fatale di Bush sull’Iraq. È vero che molti arabi non avranno altra alternativa per cercare di influenzare la prospettiva israeliana, ma dobbiamo fare attenzione a ciò soprattutto se consideriamo la nuova relazione Netanyahu-Putin e il crescente interesse russo – e israeliano! – nella regione.