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Verso il Vertice di Parigi a luglio

Kosovo: si riaccendono le tensioni tra Belgrado e Pristina

10 Giu 2019 - Tommaso Meo - Tommaso Meo

È bastata un’operazione della polizia kosovara contro il crimine organizzato per fare riaffiorare il conflitto latente in corso da anni tra la Serbia e la sua ex provincia e fare lievitare le tensioni. Delle 19 persone arrestate nel nord del Kosovo il 28 maggio, 10 erano poliziotti serbi e questo ha provocato l’immediata reazione da parte di Belgrado, oltre che della minoranza serba nel Paese.

Quattro agenti e due civili sono rimasti feriti negli scontri avvenuti durante e dopo il blitz. Nel paese di Zubin Potok, non lontano da Mitrovica, alcuni cittadini hanno eretto delle barricate per impedire alla polizia di passare. E’ stato ferito e poi arrestato un membro russo della missione Onu in Kosovo, Unmik, di nome Mikhail Krasnoshchenkov che, secondo gli investigatori e il governo, aveva tentato di intralciare le operazioni.

Operazioni di polizia e schermaglie politiche
Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha parlato di un’offensiva per intimorire la minoranza serba del Kosovo, facendo riferimento a una sproporzione ingiustificata nell’origine etnica degli arrestati. Vučić ha fornito dati diversi da quelli ufficiali parlando di 23, tra serbi e bosniaci, in custodia. Ha anche aggiunto che “le forze serbe sono pronte a difendere da ogni attacco la minoranza nel Paese”, alzando le tensioni e i toni dello scontro politico.

Da Pristina le autorità kosovare hanno minimizzato. L’operazione, hanno fatto sapere il presidente Hashim Thaci e il ministro degli Esteri Beghjet Pacolli, non ha costituito una minaccia per i serbi ed è servita a sgominare una rete di traffici e corruzione. Il raid, dicono i vertici kosovari, non è minimamente in relazione con la morte di Enver Zymberi, poliziotto kosovaro ucciso otto anni fa, né con le indagini sull’assassinio del politico serbo-kosovaro Oliver Ivanovic, avvenuto lo scorso anno.

Il colonnello Vincenzo Grasso, portavoce della Kfor, le forze a guida Nato di stanza nel Kosovo, ha fatto sapere che le autorità di Belgrado erano state preventivamente informate degli arresti di martedì, contrariamente a quanto sostenuto da Vučić.

Un conflitto latente che s’è riacutizzato
Il braccio di ferro, verbale, tra Serbia e Kosovo è solo l’ultimo episodio di un conflitto latente che nel’ultimo anno ha visto riacutizzarsi le tensioni. Il Kosovo, paese a maggioranza albanese, dichiaratosi unilateralmente indipendente dalla Serbia nel 2008, non è riconosciuto ufficialmente da Belgrado. In Europa anche SpagnaGrecia, Cipro, Romania, Slovacchia non riconoscono il piccolo Stato dei Balcani. La Serbia continua da anni a rivendicare la sovranità sulla sua ex provincia autonoma e a farsi garante degli interessi e della sicurezza della minoranza serba che vive ancora in Kosovo.

I rapporti tra i due Paesi sembravano destinati a una definitiva composizione quando, l’anno passato, sono iniziati i negoziati per uno scambio di territori. La Serbia avrebbe acquisito la zona nord del Kosovo, in cui si trova anche Mitrovica, a maggioranza serba; mentre il Kosovo avrebbe annesso la valle di Preševo, abitata in gara parte dalla comunità albanese.

I colloqui erano appoggiati dall’Ue, per cercare una stabilizzazione nella regione. Non sono mancate però le critiche: uno scambio di territori di questo tipo avrebbe avuto l’effetto di rendere etnicamente omogenei i due Stati, oltre a fornire un precedente applicabile in altri Paesi della regione, a partire dalla Bosnia. I negoziati sono poi naufragati per i veti incrociati di Serbia e Kosovo: la prima chiede la rimozione dei dazi sui suoi prodotti; il secondo pretende il riconoscimento della propria sovranità da tutta l’Ue e, ovviamente, dalla Serbia.

Dai politici, olio e acqua sul fuoco
Negli ultimi giorni a complicare i già difficili rapporti tra i due governi e ad alzare le tensioni ci si è messa anche il primo ministro serbo Ana Brnabic, che in un discorso ha fatto riferimento agli albanesi del Kosovo come a persone “irrazionali”, “il peggior tipo di populisti”, e gente che “esce letteralmente dai boschi”. Le frasi, giudicate razziste, le sono valse l’interdizione a vita dal Kosovo, per bocca del ministro degli Esteri Pacolli.

Il più intenzionato a porre fine alle diatribe sembra al momento Vučić: «Abbiamo perso il controllo sul Kosovo”, ha dichiarato, “ed è arrivato il momento di giungere a un compromesso, altrimenti la reazione da parte albanese sarà quella di attaccare i serbi». Al di là della propaganda e dei toni nazionalisti che il presidente usa generalmente parlando del Kosovo, emerge una reale necessità di stabilizzazione e non di congelamento del conflitto.

Questa seconda ipotesi darebbe, secondo il presidente, il potere agli albanesi del Kosovo di scongelare le tensioni a piacimento, per i propri interessi. Vučić non è entrato nel dettaglio sul possibile compromesso, ma sembra convinto che Pristina non voglia continuare un dialogo. A questo punto, a voler interpretare le sue parole, una mossa significativa e realistica dovrebbe farla l’Unione europea. Il prossimo passo, intanto, è il vertice di Parigi del primo luglio, a cui parteciperanno i leader dei due Paesi, insieme a quelli di Germania e Francia, e in cui si parlerà della ripresa dei negoziati