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Il percorso a ostacoli verso la democrazia

Kazakhstan: dopo il voto, una chiave di lettura della transizione

14 Giu 2019 - Enrico Mariutti - Enrico Mariutti

La recente tornata elettorale in Kazakhstan può essere un punto di svolta, non solo per il Paese, ma per l’intera regione centro-asiatica. Il Kazakhstan, infatti, è uno snodo geopolitico di grande rilevanza, il pivot in cui si incontrano gli interessi delle grandi potenze, in quella che può essere definita l’ennesima riedizione del Grande Gioco descritto due secoli fa da Arthur Conolly.

In mezzo a questa fitta rete di interessi strategici, economici, commerciali e culturali c’è un Paese di quasi 3 milioni di chilometri quadrati con meno di 20 milioni di abitanti, tanti giovani e, quindi, grande entusiasmo verso il futuro. Una realtà che dalla caduta dell’Unione sovietica ha preso una direzione diversa rispetto a gran parte delle altre ex repubbliche che convivevano sotto l’ombrello del Cremlino.

Tante contraddizioni nel percorso verso la democrazia
Quando si parla di Kazakhstan, è difficile non incappare in qualche riferimento alla dipendenza dell’economia kazaka dall’esportazione di materie prime. Il sottosuolo del Paese è ricco di petrolio, gas, uranio, carbone, ferro e altri minerali strategici. Un vero e proprio tesoro che, come succede sempre in questi casi, ha condizionato lo sviluppo dell’economia nazionale, disincentivando la diversificazione. Tuttavia, non è altrettanto frequente leggere che il Kazakhstan ha, secondo le stime della Banca mondiale, un livello di disuguaglianze socioeconomiche inferiore alla Danimarca. E un reddito lordo pro-capite di quasi 25.000 dollari a parità di potere d’acquisto.

Sovente si pone l’accento sulla mancanza di libertà di stampa nel Paese ed effettivamente questo è un campo in cui il Kazakhstan deve necessariamente fare dei passi in avanti. Raramente, però, si fa notare che, chiunque abbia una connessione Internet, e quindi più del 75% della popolazione, può accedere a tutti i principali media internazionali, in un Paese in cui l’inglese è ampiamente diffuso tra le élites e il russo è ampiamente diffuso a livello popolare. Immaginare un’opinione pubblica scollegata dal mondo, quindi, è piuttosto difficile.

Senza fare sconti a un Paese che, comunque, deve fare ancora dei passi in avanti prima di definirsi una democrazia compiuta, non si possono chiudere gli occhi su quanto è già stato fatto e si continua a fare. Per esempio, in quanti Paesi senza alcuna tradizione democratica alle spalle il passaggio di consegne tra il padre della patria, colui che ne ha proclamato l’indipendenza, e il suo successore è avvenuto pacificamente? A marzo, Nursultan Nazarbayev ha lasciato il potere dopo 30 anni; e nelle urne del 9 maggio il suo successore ad interim Kassym-Jomart Tokayev è stato eletto nuovo presidente.

Arresti e denunce di irregolarità
I media internazionali, presenti con centinaia di inviati nelle principali città del Paese, hanno denunciato disordini durante le consultazioni e circa 500 arresti. I video che circolano sul web mostrano piccoli gruppi di manifestanti – poche centinaia di individui – scontrarsi con gli agenti in tenuta antisommossa nei pressi dei seggi elettorali.

La pruderie con cui si stanno commentando le scene in cui gli agenti spintonano o trascinano i fermati, perciò, non può che avere un retrogusto di ipocrisia ricordando le violenze brutali che hanno accompagnato due anni fa le elezioni catalane (durante le quali furono arrestati 460 attivisti) o anche, semplicemente, il pestaggio di Stefano Origone, il giornalista di Repubblica che una ventina di giorni fa – durante una manifestazione pacifica – la Polizia italiana ha mandato in ospedale con 30 giorni di prognosi.

D’altra parte, il rapporto preliminare dell’Osce – che ha effettuato il monitoraggio delle operazioni di voto – ha sollevato dubbi sulla regolarità delle elezioni, in controtendenza, però, rispetto alle valutazioni della rappresentanza permanente nel Paese, che ha monitorato la campagna elettorale e ha espresso un giudizio nel complesso positivo sullo svolgimento del confronto tra i candidati. È prudente, quindi, attendere il rapporto definitivo dell’Organizzazione, che elaborerà i dati ricevuti dagli osservatori. Sarà fondamentale, infatti, capire che tipo di irregolarità sono state rilevate (brogli o deficit organizzativi) e in quali seggi sono state registrate (periferici e quantitativamente marginali o centrali e quantitativamente significativi), dato che circa la metà degli osservatori non ha riportato irregolarità.

Mentre i mass-media internazionali – alla perenne ricerca di scoop e notizie sensazionali – soffiano sul fuoco, c’è il rischio che si perda di vista il punto centrale della questione, che invece è ben chiaro a studiosi e analisti, come dimostrano i tanti articoli usciti sulle più prestigiose riviste specializzate del mondo all’indomani delle dimissioni dell’ex presidente Nazarbayev.

Il ruolo dell’Europa, tra Mosca e Pechino
Il Kazakhstan sta affrontando un percorso. Per chi è nato e cresciuto in una democrazia matura può sembrare un processo contraddittorio e incomprensibilmente lento ma non bisogna dimenticare che gli esempi più riusciti di democratizzazione si sono dispiegati su orizzonti generazionali.

D’altra parte, l’humus sociale è probabilmente uno dei più favorevoli al mondo ma il contesto regionale è deprimente: il Paese più democratico con cui confina il Kazakhstan è la Russia.

Proprio per questo motivo l’Occidente, e in particolare l’Unione europea – al momento l’unico grande blocco politico che continua a confidare nel soft power – non devono commettere l’errore di chiudere la porta in faccia al Kazakhstan. Non sarebbe solamente una reazione sprezzante ma anche poco lungimirante, dato che consegnerebbe il Paese alla sfera d’influenza di Mosca o di Pechino.

L’Ue deve, perciò, continuare a supportare la transizione democratica in Kazakhstan, senza sconti ma anche senza isterismi. Nell’interesse della popolazione kazaka ma anche di quella europea, che ha smarrito da tempo il senso di cosa ci stia a fare l’Europa nel mondo. Le istituzioni europee hanno bisogno anche di sfide come questa per riqualificarsi agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.