Energia: l’Ue accelera su decarbonizzazione; e l’Italia?
Gli Stati membri dell’Ue accelerano sui temi della decarbonizzazione, proprio alla vigilia del Consiglio europeo del 20-21 giugno, che affronterà la questione dei cambiamenti climatici in vista del vertice sull’Azione per il Clima convocato dalle Nazioni Unite per il 23 settembre 2019. L’incontro di giovedì rappresenta, infatti, l’ultimo appuntamento disponibile per i governi europei sottoscrivere la Strategia a lungo termine per il 2050 – pubblicata dalla Commissione nel novembre 2018 – prima del vertice di New York voluto dalla segretario generale dell’Onu António Guterres. Ma il Consiglio europeo rappresenta anche un’opportunità per testare la volontà e l’ambizione dell’Ue in materia di decarbonizzazione, e soprattutto per comprendere chi tra gli Stati membri si porrà alla guida di questo processo di grande rilevanza strategica.
La guida europea
Oltre ai Piani nazionali energia e clima (Pniec) al 2030, presentati in bozza alla fine del 2018 e da sottomettere in versione definitiva entro il 2019, i meccanismi di governance definiti nell’ambito dell’Unione dell’energia richiedono agli Stati membri anche la definizione di strategie nazionali di lungo periodo con orizzonte al 2050. Queste, partendo dalla Strategia a lungo termine dell’Ue che punta a un’Europa a impatto climatico zero al 2050, definiranno le traiettorie identificate dai governi per raggiungere la neutralità climatica nei tempi previsti da Bruxelles.
Si tratta di livelli di ambizione difficilmente immaginabili solamente qualche anno fa, quando l’obiettivo della riduzione delle emissioni all’80-90% sembrava già un risultato straordinario, ma resi quantomai necessari dall’acuirsi della minaccia climatica su scala globale e dalla proiezioni per nulla rassicuranti dell’ultimo rapporto “sul riscaldamento globale a 1.5°” pubblicato dall’Ipcc. Nonostante la forte guida della Commissione su questo dossier, il raggiungimento del nuovo obiettivo sarà chiaramente vincolato agli sforzi messi in atto dagli Stati membri, che saranno chiamati ad allineare le loro politiche al 2030 con il più generale target di neutralità climatica previsto per l’orizzonte temporale al 2050.
Verso una convergenza?
Negli ultimi mesi l’Ue è apparsa fortemente divisa su questo dossier, con un gruppo di Paesi più progressisti e ambiziosi in tema di decarbonizzazione contrapposto a una frangia – composta soprattutto da paesi dell’Europa centro-orientale capitanati dalla Polonia – decisamente meno propensa a sottoscrivere sin da ora impegni al rialzo. La frattura si era già materializzata lo scorso maggio, quando un non-paper su ‘Il Clima per il futuro dell’Europa’, firmato da un totale di otto Paesi capeggiati dalla Francia – Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna e Svezia -, incoraggiava i capi di Stato e di Governo riunitisi al Vertice di Sibiu a porre la questione climatica al centro dell’Agenda Strategica Europea 2019-2024. Significativa l’iniziale assenza dal gruppo dei virtuosi di Italia e Germania, i due principali Paesi manifatturieri europei, il cui peso ‘energetico’ nel contesto europeo ha un chiaro impatto sull’ambizione del blocco in materia.
Proprio in extremis, alla vigilia del vertice di Bruxelles di giovedì e venerdì, Roma e Berlino si sono aggiunte al gruppo dei favorevoli insieme ai governi britannico, greco, sloveno e slovacco, nonché alla Finlandia che sta per assumere la presidenza di turno. Un segnale importante, quello mandato da Italia e Germania, che non solo consolida un’unità di intenti all’interno dell’Ue in tema di decarbonizzazione, ma che al contempo dà all’Europa la spinta necessaria ad affrontare la tematica sul piano globale. Con soltanto l’8% delle emissioni globali, l’Unione non può infatti accontentarsi di fare bene i compiti a casa propria, ma deve ergersi a guida di un processo multilaterale che coinvolga i grandi emettitori del presente (Cina e Usa in primis) e che intercetti quelli del futuro. Già dal meeting di New York, a settembre.
Implicazioni per l’Italia
Fortunatamente l’Italia – nonostante la titubanza iniziale – si presenterà al Consiglio europeo di Bruxelles al fianco della maggioranza dei Paesi virtuosi sul fronte della decarbonizzazione. L’unica collocazione possibile per un Paese – peraltro candidatosi ad ospitare la prossima Cop26 – in linea con gli obiettivi europei al 2020, e – nonostante alcune debolezze del Pniec presentato alla Commissione in materia di misure e policies attuative – generalmente all’avanguardia sui temi low-carbon, come dimostrato anche dalla scelta di uscire dal carbone entro il 2025, primo fondamentale passaggio nel processo di decarbonizzazione del settore elettrico.
Ora la sfida per governo e stakeholders è quella di definire un collegamento tra gli obiettivi al 2030 e quelli (in un certo senso radicali) per il 2050, il tutto garantendo quei criteri di stabilità e sicurezza necessari per il funzionamento dei settori energetico e industriale, e più in generale per la sostenibilità socio-economica a livello nazionale. La neutralità climatica al 2050 rappresenta infatti una sfida non banale, con costi iniziali non irrilevanti, soprattutto per un Paese industrializzato come l’Italia. E l’unico modo per affrontarla è provando a cavalcarne con saggezza le opportunità, guidando una transizione tecnologica e industriale in senso low-carbon.
Se in alcuni settori, come nella generazione elettrica o nell’housing, la transizione al 2050 sembra potenzialmente raggiungibile grazie all’integrazione di rinnovabili, batterie e stoccaggi, efficienza energetica, demand/response e digitalizzazione, in altri settori – come quello dei trasporti a medio/lungo raggio e della manifattura pesante (ed energivora) – lo scenario appare oggi più incerto. La maturazione di nuove tecnologie (si pensi ad esempio all’idrogeno e ai biocombustibili) e la definizione di nuovi processi e nuove procedure – ad esempio per la produzione industriale – giocheranno un ruolo fondamentale nel raggiungimento di questi obiettivi.
Questo scenario apre una grande opportunità industriale per l’Italia. Lanciare – in prospettiva 2050 ma con l’obiettivo di ‘monetizzarne’ i benefici ben prima – una vera e propria trasformazione in senso low-carbon del suo tessuto economico. Sviluppando (o rafforzando) filiere industriali funzionali non soltanto al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di metà secolo, ma che assicurino al Paese un primato tecnologico e di know-how su scala continentale e globale.
Dopo avere perso alcune sfide (ad esempio quella della manifattura dei pannelli solari), ed essere in grave ritardo su altre (accumuli e stoccaggi), è giunta l’ora di definire una politica industriale che intercetti i sacrosanti impegni climatici definiti a livello europeo e globale. E trasformare la lotta al cambiamento climatico, da costo, in opportunità per il Paese e i suoi cittadini.