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Il Trattato di non proliferazione nucleare

Disarmo: Npt verso la conferenza del cinquantenario

25 Giu 2019 - Alessandro Pascolini - Alessandro Pascolini

Il Trattato contro la proliferazione delle armi nucleari (Npt) è il fondamentale strumento internazionale per regolare le problematiche dell’energia nucleare, proibendo l’accesso di nuovi Paesi alle armi nucleari, richiedendo il disarmo nucleare e promuovendo le applicazioni nucleari pacifiche. Entrato in vigore nel 1970, è quasi universale, mancando solo cinque adesioni: Corea del Nord, India, Israele, Pakistan e Sud Sudan.

L’Npt, unico nella giurisdizione internazionale, ammette una disparità di diritti e doveri fra le parti, distinguendo Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti (Nuclear-weapons states – Nws) dai rimanenti Paesi (Non-nuclear-weapon states – Nnws): tale discriminazione è in principio solo temporanea, richiedendo l’articolo VI il disarmo nucleare, ma di fatto si sta perpetuando nel tempo e costituisce la causa principale delle difficoltà del Trattato stesso, all’avvicinarsi del suo 50° anniversario.

Le conferenze di revisione dell’Npt
Ogni cinque anni l’Npt prevede una conferenza per “esaminare il funzionamento del Trattato al fine di accertare se le finalità del suo preambolo e le sue disposizioni si stiano realizzando” e proporre suggerimenti per rafforzare il controllo dell’energia nucleare militare e civile.

Nel corso degli anni è andata diminuendo l’attenzione alle applicazioni pacifiche non direttamente legate alla produzione di materiale fissile e l’Npt è essenzialmente considerato come bilancia fra disarmo e non-proliferazione. Di fatto le conferenze di revisione sono sempre state caratterizzate dallo scontro tra Nws e Nnws, i primi insistendo su condizioni più strette e maggiori garanzie di non proliferazione, i secondi ribadendo gli obblighi riguardo al disarmo nucleare.

Poiché in queste conferenze ogni decisione, compresa l’agenda dei lavori, richiede l’unanimità di consensi, il più delle volte non si concorda un documento finale, specie in occasione di gravi tensioni politiche. La conferenza del 2015 ha visto insanabili e irriducibili contrapposizioni sulla maggioranza dei punti in esame e si è conclusa senza un documento condiviso; diventa ora particolarmente delicata la conferenza del 2020, in preparazione della quale si sono svolti tre comitati preparatori, l’ultimo (PrepComIII) lo scorso maggio, con la partecipazione di 150 membri su 191 e di numerosi osservatori dalla società civile.

Le difficoltà del III comitato preparatorio
Il PrepComIII avrebbe dovuto produrre un rapporto condiviso con raccomandazioni per la conferenza del 2020, ma, pur senza raggiungere i livelli di scontro del 2015, non si è trovato un accordo sui principali argomenti discussi.

I lavori e il clima generale hanno risentito gravemente dei recenti sviluppi negativi: la generale modernizzazione delle armi nucleari, la cessazione del trattato sui missili a gittata intermedia (Inf), l’incerta estensione del trattato New Start, il ritiro unilaterale americano dall’accordo Jcpoa sul programma nucleare iraniano con l’inasprimento del contrasto fra Usa e Iran (espresso in duri scontri durante i lavori del comitato) e lo stallo sulle armi nucleari della Corea del Nord. La questione cruciale è la mancanza di prospettive per il disarmo nucleare, senza alcun sviluppo negli ultimi 10 anni.

Il PrepComIII ha visto incancrenirsi le contrapposizioni già emerse nella precedenti conferenze e nuovi scismi all’interno di organizzazioni e alleanze, in particolare a seguito del trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw), non ancora in vigore ma sostenuto da 120 Paesi e avversato dai Nws e da loro alleati. Nel PrepComIII questa dicotomia si è duramente riproposta, con divisioni anche all’interno dell’Unione europea, della Collective Security Treaty Organization e di altri raggruppamenti continentali.

Le divisioni all’interno degli Nws
Gli Nws sono giunti con proposte divergenti sull’approccio al disarmo e durante i lavori si sono scambiati accuse e attacchi sui contenziosi aperti. Con vari distinguo, Cina, Francia e Gran Bretagna rimangono legate a un approccio al disarmo basato su passi successivi, come definiti nelle conferenze del 2000 e del 2010.

La Russia ha ribadito invece che le armi nucleari le sono necessarie per rispondere a specifiche minacce esterne e che occorre legare il disarmo nucleare a un “disarmo generale e completo”, basato sul principio di “sicurezza indivisibile”, minacciata da fattori destabilizzanti e da sviluppi di nuove armi convenzionali.

Gli stati Uniti hanno liquidato il processo a passi successivi verso il disarmo proponendo la “creazione di un ambiente per il disarmo nucleare” (Cend) per affrontare le “motivazioni fondamentali di sicurezza che hanno reso necessaria la deterrenza nucleare”; solo comprese queste motivazioni sarà possibile creare condizioni che possano favorire il disarmo. La Cend  interferisce con progressi concreti e misurabili nella realizzazione degli impegni di disarmo già concordati; e la proposta americana non ha trovato seguito fra tutti gli alleati, fedeli al processo a passi incrementali.

Ulteriore terreno di scontro il problema della creazione di una zona denuclearizzata nel Medio Oriente, per cui nel 2010 era stata decisa una conferenza preparatoria, mai convocata per i contrasti fra Israele (col sostegno americano) ed Egitto; ora in sede Onu (con la contrarietà di Israele e Usa) è ripartita l’iniziativa per una conferenza da tenersi entro il 2019, processo che certamente influirà sui lavori del 2020.

Le raccomandazioni controverse
Una prima bozza di “Raccomandazioni alla Conferenza del 2020” è stata giudicata dalla maggioranza dei Paesi inadeguata, formalistica e silente sui punti cruciali; una seconda bozza, particolarmente incisiva sui temi del disarmo, ha trovato l’opposizione decisa dei Nws e di Paesi occidentali; il presidente del comitato, l’ambasciatore malese Syed Hussin, ha quindi deciso di presentare la seconda bozza come personale documento di lavoro.

Il PrepComIII ha comunque concordato alcuni punti procedurali che agevoleranno i lavori della prossima conferenza, in particolare la presidenza affidata al diplomatico argentino Rafael Mariano Grossi e l’agenda dei lavori. Grossi prevede di contattare nei prossimi mesi non solo i Paesi parte, ma anche organizzazioni non governative, il mondo della ricerca e dell’industria nucleare, per preparare al meglio i lavori della conferenza.

Purtroppo le ampie divergenze che dividono la comunità internazionale e i duri contrasti fra le potenze nucleari sui problemi critici della sicurezza internazionale e il controllo degli armamenti rendono estremamente deboli le prospettive di una proficua conferenza di revisione nel 2020 e la stessa sopravvivenza dell’Npt è esposta a gravi rischi se non migliorerà il clima mondiale e non si attenueranno le continue provocazioni politiche e militari in troppi contesti estremamente delicati.