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Vertice pre-elezioni europee

Ue: Sibiu, un’agenda progressista per la politica estera

8 Mag 2019 - Nicoletta Pirozzi, Vassilis Ntousas - Nicoletta Pirozzi, Vassilis Ntousas

Il Vertice informale di Sibiu in Romania di giovedì 9 maggio arriva in un momento cruciale per l’Unione europea. Inizialmente pensato come l’occasione per celebrare i successi della Commissione Juncker e per mostrare un’Ue a 27 più forte e coesa dopo la Brexit, il Summit di Sibiu sarà probabilmente qualcosa di molto diverso. Il Regno Unito non ha ancora lasciato l’Unione e anzi ha ufficializzato che parteciperà alle prossime elezioni europee del 26 maggio, mentre le difficoltà delle istituzioni e i rischi di frammentazione legati al successo delle forze nazionaliste ed euroscettiche persistono, disegnando un quadro politico deteriorato rispetto a quando questa Commissione si insediò cinque anni fa.

Ambizioni di promozione dell’Ue dalla Strategia Globale all’Agenda strategica
Questo non significa che l’incontro di Sibiu e i prossimi mesi fino al cambio della guardia ai vertici delle istituzioni europee non offrano importanti opportunità per il rilancio dell’agenda dell’Ue. Se la bozza di agenda strategica 2019-2024 che i leader si apprestano ad “adottare all’unanimità” al Summit di Sibiu offre delle indicazioni, queste vanno senz’altro nella direzione di un’accresciuta ambizione nella promozione dell’Ue nel mondo. Le nuove priorità europee rompono un tabù istituzionale durato a lungo e individuano in una politica estera più efficace e coesa il fulcro delle risposte che i cittadini si aspettano da Bruxelles. Questo è il risultato non soltanto del crescente intreccio tra quello che succede dentro e fuori i confini dell’Unione, ma anche della consapevolezza che la politica estera ha smesso di essere il dominio privilegiato delle élites europee, coinvolgendo le preoccupazioni e le attenzioni anche dei cittadini.

La Strategia Globale dell’Unione europea presentata dall’alto rappresentante Federica Mogherini nel 2016 ha sicuramente contribuito a questa evoluzione. Lanciata pochi giorni dopo il referendum sulla Brexit, la Strategia si poneva l’obiettivo di elevare l’ambizione dell’Unione a livello internazionale, sottolineando il carattere transnazionale e trasversale delle minacce che dobbiamo fronteggiare, ma presentando anche un piano strategico complessivo per la risposta europea.

In particolare, la Strategia ha segnato un cambio di passo nell’approccio alla sicurezza, intesa sempre di più come risultante di dinamiche interne ed esterne, ha incoraggiato un approccio integrato alle crisi e ai conflitti, centrato su accresciute capacità militari europee, ha insistito sulla necessità di proteggere ma anche di riformare il sistema multilaterale e la governance globale, ha promosso un maggiore coordinamento tra le politiche esterne dell’Unione, dal commercio alla cooperazione allo sviluppo alla politica energetica, e dei suoi Stati membri. I risultati della sua attuazione sono stati parziali – e come avrebbe potuto essere altrimenti viste le sfide che l’Unione ha dovuto fronteggiare in questi anni, dalla questione migratoria al terrorismo? –, ma progressi significativi sono stati realizzati, soprattutto nel settore della sicurezza e della difesa.

Dieci raccomandazioni IAI/Feps per un cambio di passo
Ma ora, con la consultazione elettorale e la riconfigurazione istituzionale alle porte, è importante non soltanto non perdere a Sibiu lo slancio di questi progressi, ma anche alzare ulteriormente l’asticella. Questa non è vana ambizione ma pura realpolitik, poiché l’Europa rischia non soltanto la marginalizzazione a livello internazionale, ma anche di perdere la capacità di avere un posto al tavolo dei negoziati, strangolata tra i nuovi giganti mondiali.

Questo implica una serie di riforme per rilanciare l’azione internazionale dell’Ue. Ma quali? Un paper redatto congiuntamente dall’Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma e dalla Foundation for European Progressive Studies (Feps) di Bruxelles offre dieci raccomandazioni per un cambio di passo e di approccio nella politica estera europea, in un’ottica genuinamente progressista, per andare oltre il business as usual che troppo spesso caratterizza le dinamiche europee. A cominciare dall’adozione di nuovi meccanismi decisionali che permettano di superare l’ostacolo dell’unanimità e decidere a maggioranza qualificata anche nel settore della politica estera e di sicurezza.

La riflessione in corso sull’autonomia strategica dell’Unione non può però limitarsi al settore della difesa e deve prendere in considerazione anche altre aree cruciali della sua azione esterna, da quella energetica a quelle commerciale ed economica. Anche l’approccio al sistema multilaterale deve cambiare, con l’Ue che diventa baluardo della governance globale e portavoce di riforme avanzate e lungimiranti, partendo dagli ambiti in cui l’Europa è un esempio da seguire come quelli climatico e digitale.

L’approccio integrato alla gestione dei conflitti nei Paesi vicini e meno vicini deve essere affiancato da un rafforzamento dell’architettura della difesa europea. In particolare, bisogna lavorare per la creazione di un Consiglio dei Ministri della Difesa, presieduto dall’alto rappresentante e supportato dall’Agenzia europea della Difesa, con la Commissione europea che garantisca risorse finanziarie adeguate allo sviluppo delle capacità europee e una commissione ad hoc del Parlamento europeo che assicuri la legittimità democratica delle decisioni.

Finanziare le ambizioni dell’Ue significa anche destinare più fondi del prossimo bilancio pluriennale 2020-2027 alle sue politiche esterne e alla cooperazione internazionale, resistendo alle tendenze di securitizzazione che interessano sia la cooperazione allo sviluppo che la gestione delle migrazioni. Nella proiezione globale dell’Unione, l’Africa deve diventare una priorità e trasformarsi da un vicino turbolento a un vero partner per la realizzazione di interessi strategici comuni, dalla democrazia all’educazione al commercio. In generale, l’eredità della Strategia Globale va preservata nei suoi elementi costruttivi e innovativi, sollecitando il prossimo alto rappresentante – in collaborazione con le altre istituzioni e gli Stati membri – a condurre una riflessione simile e aggiornare la visione strategica dell’Ue.

Per tutto questo serve però prima di tutto maggiore unità interna, un maggiore coinvolgimento dei governi nazionali nella realizzazione dell’agenda europea e strumenti politici e finanziari per convincere gli esecutivi più reticenti, applicando la logica della condizionalità sul territorio europeo così come l’Ue fa con i suoi partner.