Ue ora: nuovo Parlamento e futuro della difesa comune
Le ultime elezioni europee avranno un impatto limitato ma non marginale sulle prospettive di un’Europa della difesa, o meglio di una maggiore cooperazione e integrazione in ambito Ue nel campo militare e, soprattutto, industriale. La probabile maggioranza parlamentare composta da popolari, socialisti e liberali agirebbe in continuità con le recenti iniziative Ue in questo campo, ma tale azione dovrà adattarsi ad un quadro politico in divenire sia negli Stati membri sia a Bruxelles.
Il Parlamento europeo non è un attore molto importante nel settore della difesa, che rimane sostanzialmente intergovernativo con un forte ruolo degli stati membri e quindi del Consiglio. Dal 2016 in poi è però cresciuto il peso della Commissione europea, in quanto responsabile del Fondo Europeo di Difesa (European Defence Fund – Edf) che dovrebbe investire 13 miliardi di euro nel settennato 2021-2027 per la ricerca tecnologica ed il co-finanziamento dello sviluppo di capacità militari nazionali. Proprio sui regolamenti dell’Edf, il Parlamento ha avuto nell’ultimo biennio una certa voce in capitolo, in quanto si tratta di finanziamenti provenienti dal bilancio generale Ue su cui ha competenza. Questa dinamica potrebbe auspicabilmente portare ad un maggiore focus degli europarlamentari sulla difesa attraverso la creazione di una commissione dedicata, come esiste nei Parlamenti nazionali, dove considerare adeguatamente in chiave europea i risvolti politico-strategici, militari e industriali del nuovo e crescente slancio Ue in questo campo.
Inoltre, i gruppi parlamentari in via di formazione giocheranno un ruolo indiretto nella scelta, o perlomeno conferma, dei membri della nuova Commissione europea. Poiché per la prima volta nella storia dell’Ue è in cantiere una “Direzione Generale Difesa”, eventualmente con un suo commissario di riferimento, stavolta tale mandato politico riguarderebbe anche il campo militare e la relativa industria. Se consideriamo poi che tale “DG Defence” potrebbe gestire anche gli ingenti co-finanziamenti Ue per le attività spaziali europee, dall’intrinseca natura dual-use civile e militare, si tratta di un potenziale portafoglio di spesa importante per la politica industriale in settori ad alta tecnologia e strategici per la sicurezza dell’Ue e dei suoi stati membri.
La difesa europea secondo popolari, socialisti e liberali
Per comprendere pienamente come i risultati delle ultime elezioni possano influenzare le prospettive dell’Europa della difesa è utile guardare anche ai manifesti elettorali delle principali famiglie politiche europee. Se è vero che vi sono divergenze, su questo come su altri temi, tra partiti politici attivi in Paesi diversi, è altrettanto vero che tali distinzioni sono alla fine riconciliabili in una sfera più ampia, quella dei gruppi parlamentari europei, che canalizza il processo decisionale a Bruxelles e Strasburgo.
Il programma del gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D) ha calcato la mano sulla necessità di un migliore coordinamento degli sforzi a livello multilaterale, sia tra gli Stati membri attraverso una messa in condivisione delle risorse, sia al fine di non duplicare gli sforzi compiuti dalla Nato in qualità di massimo garante della sicurezza internazionale a livello euro-atlantico.
Approccio simile da parte del Partito popolare europeo (Ppe) che, come dichiarato in maniera esplicita da alcuni suoi leader, crede nella visione di una difesa europea verso cui muoversi negli anni a venire, ma al tempo stesso vuole mantenere un forte ancoraggio transatlantico per la sicurezza dell’Europa.
Più ambiziosa sulla difesa europea è l’Alliance of Liberals and Democrats for Europe (Alde), che ha dedicato ben dodici pagine del suo programma al tema, sostenendo la centralità di nuove iniziative come la Pesco per aumentare le sinergie in termini capacitivi tra gli Stati membri, e portando così l’Unione ad ergersi ad attore chiave sul piano della sicurezza internazionale. La convergenza, in un rinnovato gruppo parlamentare, dell’Alde e del movimento Renaissance del presidente francese Emmanuel Macron, convinto sostenitore dell’autonomia strategica Ue in questo campo, conferisce maggiore peso politico al rassemblement anche sul dossier difesa.
Le (op)posizioni di Verdi, conservatori, sovranisti e sinistra europea
Diversa e più articolata è la posizione dei Verdi – fra gli acclamati vincitori delle europee in molti Stati membri – su questo tema. L’orientamento politico-culturale di molti politici e attivisti dei movimenti ambientalisti in Europa è distante se non scettico rispetto alla difesa, tuttavia il loro slancio europeista potrebbe in qualche modo riconciliare alcune posizioni con la prospettiva di una difesa europea.
Dall’altro lato dello spettro politico, i partiti di destra riuniti nel gruppo Conservatori e riformisti europei (Ecr) sono sensibili ai temi della difesa, e al tempo stesso ben disposti verso il rafforzamento delle capacità militari dell’Unione e dei suoi Stati membri per il contrasto alle minacce esterne. Generalmente, invece, molti partiti sovranisti, pur con un orientamento piuttosto favorevole verso Forze armate e industria della difesa, interpretano anche questo ambito in chiave prettamente di sovranità nazionale e quindi anti-Ue.
Un parlamento a favore della difesa europea…
Tirando le somme, l’aritmetica che emerge dal nuovo Parlamento europeo è abbastanza ben disposta verso l’Europa della difesa. Infatti, Ppe, S&D e Alde raggiungerebbero da soli la maggioranza assoluta con 435 seggi su 751, mantenendo quindi una forte continuità con l’approccio seguito dalle istituzioni Ue nella precedente legislatura.
In particolare sul dossier difesa, tale blocco potrebbe contare su un atteggiamento tutto sommato benevolo sia dal gruppo Ecr (59 eurodeputati), sia da buona parte dei 69 parlamentari Verdi.
All’opposizione di una maggiore cooperazione e integrazione europea nel campo della difesa si collocherebbero invece il gruppo sovranista Alleanza europea dei popoli e delle nazioni (Eapn, erede dell’Enf, 58 seggi), e quello Europa della Libertà e della Democrazia Diretta (Efdd, 54 parlamentari), per quanto le posizioni tra i partiti e movimenti all’interno di tali raggruppamenti siano parzialmente diverse, su questo come su altri temi. Il totale dei circa 112 eurodeputati in vario modo e misura euroscettici non sembra comunque costituire un gruppo abbastanza corposo e coeso da forzare un arresto del processo di costruzione di una difesa europea, neanche considerando la concomitante opposizione al riguardo, per opposti motivi politico-culturali, da parte del gruppo della Sinistra Unita Europea (GUE/NGL, 39 seggi).
…in un’Europa nel complesso più sovranista
Se la configurazione aritmetica del nuovo Parlamento europeo permette di guardare positivamente al futuro dell’Europa della difesa, occorre cogliere un quadro politico più ampio in cui emergono istanze diverse e contraddittorie. Infatti, il ruolo crescente della Commissione europea aumenta il peso del livello comunitario nel settore della difesa proprio quando molti governi, da Varsavia a Roma passando per Budapest e Vienna, privilegiano maggiormente il livello nazionale o perlomeno intergovernativo. Il fatto che ieri il principale fautore di un “esercito europeo” abbia raccolto in patria un consenso di appena il 22,4% per il suo partito Renaissance, inferiore a quello dell’opposizione nazionalista francese, ricorda quanto la dimensione nazionale continui a contare per i popoli europei, e non possa essere sottovalutata nell’integrazione Ue.
Lanciarsi verso un “esercito europeo” e/o “comunitarizzare” malamente la difesa rischia di creare forti tensioni, nonché aspettative poi tragicamente disattese, in un campo peculiare e molto delicato in cui sono in gioco le vite di decine di migliaia di militari europei impegnati all’estero, la sicurezza e stabilità dell’Europa di fronte all’aggressività russa e alla minaccia del terrorismo di matrice islamica – nonché la direzione di industrie strategiche per la difesa operanti nell’Ue. D’altro canto, non proseguire nel processo di cooperazione e integrazione intrapreso con la Strategia globale dell’Unione europea, Pesco ed Edf, investendovi le adeguate risorse, non significherebbe ridare sovranità agli stati europei, ma piuttosto porre i loro interessi nazionali e la sicurezza dell’Europa alla mercé di potenze globali di dimensioni continentali e con diverse visioni del mondo, con cui ogni Paese europeo da solo non può reggere il confronto.
Occorre quindi in questo settore trovare il giusto equilibrio tra le varie istituzioni Ue coinvolte, in particolare Commissione, Consiglio, Parlamento, European Defence Agency ed EU Military Committee; il giusto equilibrio tra Bruxelles e le capitali nazionali, inclusa quella Londra da tre anni in un travaglio Brexit dagli esiti incerti ma fondamentali per l’Europa della difesa; e tra l’integrazione europea e la coesione transatlantica, quest’ultima incarnata e protetta dalla Nato in tempi difficili per i rapporti con Washington. Un equilibrio che dovrebbe riflettersi nella configurazione della DG Difesa, nel profilo del suo commissario di riferimento, e nella gestione istituzionale e politica dei prossimi passi quanto a Edf e Pesco.
Alla luce delle elezioni europee il necessario ma delicato percorso vero l’Europa della difesa ha bisogno di costruire all’interno dell’Ue un consenso a 360°, dai partiti conservatori a quelli progressisti, nei governi più nazionalisti così come nelle componenti più atlantiste delle società europee. Avanti adagio, tutto si tiene.