Ue ora: Gruppo di Visegrád, campioni di euroscetticismo
Più discordanze che consonanze nei risultati delle elezioni europee nei Paesi del Gruppo di Visegrád, Polonia, Ungheria, Rep.Ceca e Slovacchia. Eccone una rapida carrellata.
Polonia: i sovranisti davanti agli europeisti
In Polonia,il più grande dei Paesi del Gruppo di Visegrad, si profilava il testa a testa fra il partito governativo PiS (Diritto e Giustizia) e la coalizione Ke che unisce i principali partiti d’opposizione europeisti. Alla fine hanno prevalso le tendenze sovraniste del PiS che ha ottenuto il 45,6% dei voti contro il 38,3% dei suoi diretti avversari. In campagna elettorale, il partito di governo aveva promesso, a scopo propagandistico, di dare luogo a sostegni economici a beneficio delle famiglie e alla riduzione della pressione fiscale.
Da notare che l’esecutivo polacco ha in comune con quello ungherese, un atteggiamento particolarmente ostile nei confronti delle norme dell’Ue. Entrambi i Paesi sono stati minacciati di applicazione dell’Articolo 7 per politiche considerate una minaccia per lo stato di diritto e quindi non in linea con i principi su cui si basa l’Unione europea. In virtù della vecchia amicizia esistente fra i due Stati e del comune impegno a fare prevalere il principio della piena sovranità nazionale, il premier ungherese Viktor Orbán aveva chiesto e ottenuto a suo tempo, al Parlamento ungherese, di sostenere Varsavia nel confronto con l’Ue e ora si aspetta altrettanta solidarietà da parte polacca nel dibattito che ci sarà per valutare il caso rappresentato dall’Ungheria, ampiamento illustrato dal dossier di Judith Sargentini e approvato dal Parlamento europeo lo scorso settembre.
Ungheria, vittoria di Orban a mani basse
Come da previsioni dlla vigilia, il Fidesz di Viktor Orbán vince a mani basse sugli altri partiti ungheresi che hanno partecipato al voto europeo. Con oltre il 52% dei consensi migliora il risultato di cinque anni fa e ottiene un seggio in più rispetto ad allora, arrivando a 13 deputati al Parlamento europeo. Per il primo ministro ungherese, la figura politica di maggiore spicco del Gruppo di Visegrad, quella del suo partito è una vittoria epocale.
In calo di consensi sia i socialisti dell’Mszp in coalizione con Párbeszéd (Dialogo) sia Jobbik, che perdono qualche seggio e si fanno sopravanzare da Dk (Coalizione Democratica, centro-sinistra), il partito dell’ex premier socialista Ferenc Gyurcsány, e da Momentum, partito di recentissima fondazione che ottiene due seggi, più del previsto. L’impegno assunto da Jobbik per dare di sé un’immagine di partito di destra ma moderato, rispetto ai suoi trascorsi estremisti, non ha prodotto i risultati sperati. Alcuni suoi membri l’hanno lasciato per fondare un nuovo soggetto politico che si chiama Mi Hazánk (La nostra Patria, MH), che critica Jobbik per essersi staccato dalla sua matrice radicale e aver abbandonato la lotta in difesa dei valori nazionali. Alle europee MH ha ottenuto il 3,33% dei voti.
Salta all’occhio l’affermazione di Momentum, partito giovane anche per composizione anagrafica, di ispirazione liberale e anti-orbaniano. Viene dai fermenti della società civile e si impegna a rinnovare la politica. Il suo quasi 10% va oltre le aspettative della vigilia. Ora si attendono le mosse di Orbán nell’Assemblea di Strasburgo: si ritiene possibile una sua alleanza con Matteo Salvini e Marine Le Pen, ma probabilmente il premier non ha del tutto rinunciato a un riavvicinamento al Ppe da cui il suo Fidesz è sospeso a tempo indeterminato. Ci si aspetta che, da buon attendista, resti ad osservare lo sviluppo degli eventi prima di prendere decisioni sul piano delle possibili alleanze. Quel che è certo, al momento, è che il suo partito continua a egemonizzare la scena politica nazionale.
Slovacchia, la Čaputová e il suo partito vincono ancora
In Slovacchia si conferma il buon momento della neopresidente Zuzana Čaputová, il cui partito liberale di centro-sinistra, Ps-Spolu, ha prevalso al voto, superando lo Smer-Sd, forza politica socialdemocratica dell’ex premier Robert Fico. Il successo della Čaputová alle presidenziali era stato salutato con favore e sollievo dagli europeisti slovacchi e non, ed è la prova della voglia di cambiamento esistente nel Paese, soprattutto dopo l’assassinio del giovane giornalista Ján Kuciak e della sua fidanzata.
La Čaputová, 45 anni, avvocatessa impegnata sul fronte dei diritti umani e della lotta alla corruzione e sostenitrice di un approccio alla politica più in linea con i valori dell’Ue, si muove in controtendenza con gli altri leader del Gruppo di Visegrad e rappresenta una speranza per le tendenze politiche anti-sovraniste. Il dato preoccupante del voto slovacco è l’avanzata dell’ultradestra rappresentata dal partito L’Sns, il quale, alla luce del voto europeo, risulta essere il terzo del Paese con il 12% dei voti. Da notare che nel 2014 aveva ottenuto poco meno del 2%.
Repubblica Ceca: un voto frammentato
Nella Repubblica Ceca il voto europeo ha visto prevalere Ano 2011, il partito del primo ministro Andrej Babiš, che ottiene il 21,2% dei voti. Si registra invece la crescita dell’Ods, il principale partito dell’opposizione, fondato dall’ex presidente euro-scettico Václav Klaus. Tre seggi vanno ai Pirati, formazione politica paragonata da alcuni ai Cinque Stelle; tre anche ai centristi di Top 09, Stand ed Sz, uno ai comunisti, due ai cristiano-democratici del Kdu-Čsl.
C’è da notare che la Repubblica Ceca risulta essere il Paese del Gruppo di Visegrad più euro-scettico. E i dati di Eurobarometro mostrano che i cittadini cechi sono tra i più scettici, all’interno dell’Ue, nei confronti delle Istituzioni di Bruxelles. Si sa inoltre che nel Paese è tuttora aperto il dibattito sull’uscita dall’Ue, anche se, secondo diversi sondaggi, la metà della popolazione ammette che l’ingresso nell’Ue ha prodotto vantaggi per la Repubblica Ceca. Se l’opinione pubblica ceca non sembra in generale molto incline all’europeismo, una parte della leadership politica nazionale non è da meno: gli esempi di maggior rilievo sono offerti dal premier Babiš che mostra apprezzamento per le politiche di Orbán e dal presidente Miloš Zeman che ha atteggiamenti anti-immigrazione e anti-islamici.