Ue ora: consultazioni popolari europee fra le più partecipate
Il dato che spicca delle elezioni europee è l’affluenza alle urne. Un netto 50,95% che, raffrontato al misero 42,61% della tornata precedente, fa davvero ben sperare per il futuro politico dell’Unione. Quelle appena svolte si affermano come le quinte consultazioni popolari europee più partecipate delle nove che si sono tenute finora. E, visto che il trend era sempre stato negativo (passando progressivamente dal 61,99% del 1979 al 42,6% del 2014), il recupero di oltre 8 punti percentuali rispetto al minimo storico deve essere visto come un successo assoluto.
I cittadini europei hanno sentito il bisogno di interrogarsi sull’Unione europea
Le ragioni di questo “revirement” sono sicuramente tante e molte scontano specifiche situazioni domestiche. Tuttavia, la principale spinta alle urne è dipesa dalla forte polarizzazione che in molti paesi dell’Unione si è delineata tra partiti euro-scettici da una parte ed europeisti dall’altra. Questa netta contrapposizione ha risvegliato le coscienze europee degli elettori da ambo le parti.
Molto più dell’inesistente dibattito sui temi europei, che, nonostante la loro indiscutibile importanza, sono stati praticamente assenti dalle campagne elettorali nazionali, concentrate ovunque su confronti e parole d’ordine di rigida appartenenza interna. Indipendentemente dalle motivazione e dall’esito finale, un maggior accesso al voto è un segnale importante: i cittadini europei, informati o disinformati che fossero, hanno sentito, più che nel passato, il bisogno di interrogarsi sull’Unione europea e sul suo futuro.
Il paventato assalto alla fortezza non c’è stato. I partiti euroscettici escono da questa tornata elettorale indubbiamente rafforzati, ma molto meno di quanto ci si aspettasse, mentre quelli favorevoli all’Europa tengono. Dalle prime proiezioni, che andranno confermate, la situazione appare immutata rispetto al vecchio emiciclo.
Una delle forze vincenti e in crescita sono i verdi
La compagine dei partiti a favore del rafforzamento dell’integrazione perde qualche pezzo (tra i 30 e 35 deputati), ma mantiene di gran lunga la maggioranza dei 2/3, con oltre 540 europarlamentari su 751 totali. Lo schieramento alternativo, invece, sembra che riesca ad acquistare al massimo una decina di nuovi seggi, non avvicinandosi, però, neppure a quota 200.
Andando più nel dettaglio dello schieramento europeista, la migliore performance l’hanno registrata i partiti che si riconoscono nell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (Alde), che dagli attuali 70 deputati, sembra che crescerà fino a toccare quota 109-110, riconquistando la posizione di terza forza alle spalle dei Popolari Europei (Ppe) e dei Sociali e Democratici (S&D), che invece escono fortemente ridimensionati dalle consultazioni (passando rispettivamente da 214 a 182 seggi – Ppe e da 190 a 147 – S&D). Altra forza vincente è quella dei Verdi, che crescono fino a raggiungere o sfiorare i 70 europarlamentari (dai 50 che ne avevano).
Sul fronte opposto, a crescere di più è il Rassemblement di Europa delle Nazioni e della Libertà (Enl) capitanato da Matteo Salvini, che passa dagli attuali 38 a 58-71 parlamentari (qui è difficile capire quali siano le effettive appartenenze). Perdono, invece, una quindicina di posizioni (da 74 a 59) i Conservatori e Riformisti Europei (Cre), mentre restano al palo o salgono di poco (da 46 a 44/54) i partiti che si riconoscono in Europa della Libertà e della Democrazia Diretta (Eldd).
L’Italia dopo queste elezioni, conferma la sua eccentricità politica rispetto a tutti gli altri
Se dal piano europeo passiamo a quello nazionale possono emergere aspetti particolarmente rilevanti, a seconda del paese sul quale ci si concentra. Un caso d’indubbio interesse riguarda l’Italia. Il nostro paese, dopo queste elezioni, conferma la sua eccentricità politica rispetto a tutti gli altri. L’Italia, infatti, è l’unico Stato dove la maggioranza assoluta dei voti si è espressa a favore di partiti euroscettici (Lega 34,7%, Fratelli d’Italia 6,5% e Movimento % Stelle 17,1%).
Neppure nel Regno Unito della Brexit (Brexit Party al 33,1%, Conservatori al 8,7% e l’UKIP al 3,5%), nella Francia di Marine Le Pen (Rassemblement national al 23,31%) o nella Polonia di Jarosław Kaczyński (Diritto e Giustizia – PiS 45,5%) sono riusciti a fare meglio. Questa condizione pone l’Italia in una posizione obiettivamente difficile se si guarda, in particolare, alle imminenti assegnazioni delle cariche più influenti nelle istituzioni unioniste.
A breve, infatti, attraverso differenti ed insidiose procedure europee, si dovrà decidere chi ricoprirà le funzioni di: presidente del Parlamento europeo, presidente della Commissione europea, presidente del Consiglio europeo, presidente della Bce, alto rappresentante per Esteri e la Pesc. Tanto per cominciare. Tutte posizioni chiave per il futuro dell’Unione e degli Stati membri.
Tra le pecche dell’Italia una cattiva reputazione a livello europeo
L’Italia in questa complicata mano di “poker” sconta almeno tre debolezze. La prima e meno determinate, le deriva da essere un paese che attualmente ha ben tre suoi nazionali ad occupare altrettanti posti di prima grandezza: presidente del Parlamento con Antonio Tajani, presidente della Bce con Mario Draghi e Alto Rappresentante con Federica Mogherini.
La seconda ragione sta nella cattiva reputazione che negli ultimi tempi il nostro governo si è guadagnato all’interno delle stanze che contano della Ue e di altri Stati membri. Il braccio di ferro sullo sforamento del deficit di bilancio, le critiche sulla gestione dell’Unione bancaria europea, la politica muscolare in materia di migrazioni, il completamento del Tav, sono solo alcuni esempi di importanti dossier dove il nostro paese si è impegnato in una strenua quanto controproducente opposizione alle istanze delle istituzioni europee. Infine, l’esito di queste elezioni, che, in base alle affiliazioni politiche di cui si è detto, porterà l’Italia dell’europarlamento (che in buona parte corrisponde a quella governativa) a tentare difficili intese all’interno di gruppi e famiglie politiche, che poco o nulla hanno in comune, se non il fastidio verso le istituzioni ed i vincoli di Bruxelles.
Non a caso, tra i nomi che già da tempo circolano in merito a chi occuperà gli scranni più ambiti dei palazzi europei non compare mai un cognome italiano.