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L'intervista al direttore della Luiss Sep

Eurozona: Messori, serve equilibrio fra regole e tutele

8 Mag 2019 - Francesca Caruso - Francesca Caruso

Anche se può apparire paradossale, io credo che un’innovativa area euro avrà bisogno di tutele sociali e spese molto più estese ed efficaci di quanto si è soliti sottolineare e, da questo punto di vista, forme di tassazione, come la web-tax, possono essere una componente di copertura finanziaria importante”. Marcello Messori è professore di Economia e direttore della Luiss School of European Political Economy (Sep). Tra i temi su cui si è maggiormente concentrata la sua ricerca c’è la governance economica europea.

Professor Messori, i sondaggi ci dicono che alle prossime elezioni ci sarà una frenata dei partiti tradizionali rispetto alle forze populiste. Che tipo di riforma della governance economica europea si dovrebbe avviare per frenare i populismi?
Prima di tutto bisogna sottolineare che dopo la crisi finanziaria internazionale e dopo la crisi europea si è aperta una stagione di profonde e rapide trasformazioni della governance economica europea. Nel 2008 nessuno, per esempio, si sarebbe mai immaginato che sarebbe stato avviato un processo di unione bancaria in prospettiva di unificazione dei mercati finanziari europei. Detto questo si è trattato di un processo incompiuto e questa è una delle ragioni per cui i cittadini europei hanno percepito questa evoluzione non tanto come determinante una coesione economico-sociale ma piuttosto come degli interventi dall’alto, che limitavano anche le loro prospettive di crescita nei rispettivi sistemi economici.

Una risposta adeguata sarebbe quindi quella di completare le riforme della governance economica europea uscendo da quella che è stata un po’ la trappola che ha rallentato questo processo, ovvero la contrapposizione tra la richiesta da parte degli Stati membri creditori di ridurre i rischi nazionali  (come per esempio la riduzione del rapporto debito pubblico-Pil nei Paesi ad alto debito pubblico) e la richiesta contrapposta delle fasce deboli dell’Eurozona di condividere il rischio. Molto facile dirlo a parole, cosa più difficile è trovare una soluzione. Io credo che la soluzione possa essere trovata in un equilibrio tra le regole europee – che sono essenziali ma non risolutive – e una convergenza tra i sistemi economici e sociali. La governance europea potrà completarsi e essere percepita come un fattore positivo se e soltanto se verrà percepita come uno strumento essenziale per ridurre le interferenze tra i sistemi economici e sociali degli Stati membri delle loro aree.

Per fare questo le dimensioni del bilancio dell’Unione sono sufficienti?
Assolutamente no. Io sostengo che sia inevitabile progredire nel coordinare le politiche fiscali nazionali fino ad arrivare ad una politica fiscale prevalentemente europea, analoga a quella monetaria. Penso che il rafforzamento del bilancio europeo dell’Ue debba accompagnarsi a questa maggiore armonizzazione della politica fiscale. E penso che tutto questo sia un punto essenziale da sottolineare perché spesso viene richiesto un’espansione del bilancio europeo anche da parte di chi vorrebbe accentuare il carattere nazionale delle politiche fiscali.

Non è possibile concepire un effettivo rafforzamento del bilancio europeo, dotato sempre più di risorse proprie, senza al contempo mirare ad una maggiore armonizzazione e a una tendenziale unificazione delle politiche fiscali. Ma credo anche che per raggiungere questi obiettivi sia opportuno partire dall’area euro. In questo modo, si potrebbe costruire un bilancio per la zona euro nell’ambito del bilancio Ue e forzare l’armonizzazione fiscale fino alla costruzione di un ministro delle finanze europee dell’Eurozona.

Recentemente si è parlato del sussidio di disoccupazione europea. Lei pensa che potrebbe essere uno strumento efficace per creare una maggiore coesione economica e sociale?
Sì, io credo che sarebbe una buona idea creare un meccanismo europeo di assicurazione nei confronti della disoccupazione. Naturalmente questi sono temi delicati perché quasi per definizione ci riportano a quella contrapposizione da cui volevamo uscire: ovvero riduzione del rischio e condivisione del rischio; e uno strumento assicurativo è per definizione una condivisione del rischio. Ma sappiamo anche che è possibile costruire degli schemi assicurativi che danno i giusti incentivi perché la condivisione del rischio non implichi che ci sia una minore convenienza per un Paese di lottare contro la disoccupazione.

Detto ciò, uno schema come quello del sussidio di disoccupazione è essenziale per creare le condizioni per un ulteriore salto in avanti della governance economica europea. Anche perché, occupandosi della disoccupazione, tocca un problema micro-economico. E se noi non troviamo degli elementi di armonizzazione a livello micro-economico non possiamo progredire nel quadro macro.

Concentrandoci invece più sul piano macro, un altro tema importante è stato quello della web-tax. Lei crede che una delle ragioni per un mancato consenso su questa tassa derivi dalla mancanza di un’unione fiscale?
Assolutamente sì. Poiché le politiche di bilancio pubblico sono di competenza nazionale si è creato, sul piano della tassazione, un fenomeno di competizione fiscale tra Stati membri. Questa situazione è estremamente distorsiva ed è, però, molto difficile da arginare. Ma proporre la web-tax senza porsi il problema di una maggiore armonizzazione in materia di tassazione e senza avere strumenti forti di repressione della competizione fiscale distorsiva è un po’ velleitario. Dopodiché credo che la web-tax sia un problema fondamentale, che bisogna tassare le grandi compagnie informatiche, e che possa essere un elemento fondamentale per allentare i vincoli all’ampliamento del bilancio europeo pluriennale e dello stesso bilancio dell’Eurozona.

Recentemente c’è chi ha sostenuto che i ricavi della web-tax potrebbero essere riutilizzati come strumento di redistribuzione sociale…
Questo è un altro tema fondamentale. Una delle grandi scommesse nell’Ue e, in particolare, dell’area euro, è quella di accelerare i processi di innovazione nel mercato unico. In certi ambiti, rischiamo di essere indietro alla Cina o gli Stati Uniti. Ma la conseguenza di questa accelerazione dei processi innovativi comporta anche profondi e costosi cambiamenti sociali. Se per esempio introduciamo processi di intelligenza artificiale è chiaro che elimineremo una serie di posti di lavoro e, le persone colpite, o si sottoporranno a un processo di ridefinizione delle loro competenze o dovranno essere tutelate socialmente. Anche se può apparire un paradosso: un’innovativa zona euro avrà bisogno di tutele sociali e spese molto più estese ed efficaci di quanto si è soliti sottolineare e, da questo punto di vista, forme di tassazione che recuperano elusioni fiscali possono svolgere un ruolo importante. Non possono essere la soluzione di questo ridisegno dello stato sociale ma possono essere una componente di copertura finanziaria importante.