Elezioni europee: dopo il voto, stallo sui dossier aperti?
Quello che ci verrà consegnato dal voto europeo di domenica sarà un Parlamento europeo (Pe) più frammentato in cui i partiti tradizionalmente europeisti dovranno allargare la coalizione popolari-socialisti per avere la maggioranza e in cui gli euroscettici vedranno crescere il loro peso. A partire da questi punti fermi, è cruciale interrogarsi su cosa ne sarà dei più importanti dossier aperti all’indomani del voto. È anzitutto lecito attendersi un inasprimento dei rapporti tra un Parlamento in maggioranza non euroscettico e un Consiglio dei Ministri dell’Ue in cui non mancano voci nazional-populiste.
La Commissione europea e il suo presidente primi banchi di prova
Primo banco di prova sarà necessariamente la nomina dei membri della Commissione europea. Spetta infatti al governo di ciascun Paese membro designare il proprio commissario. Ma spetta al Pe approvare l’intera Commissione, dopo l’audizione di ciascun Commissario designato. Come già avvenuto in passato, il Pe può minacciare di non votare a favore dell’intera Commissione se alcuni nomi designati dai governi non verranno sostituiti. Nell’attuale contesto politico è ancora più probabile che uno scontro di questo tipo avvenga, e che sia anche più duro che in passato. Dal punto di vista dell’Italia, per puntare a un portafoglio di peso bisognerà non solo fare le giuste alleanze con le cancellerie europee, ma anche presentare un candidato di comprovata esperienza che minimizzi le possibili critiche del Pe.
All’interno della Commissione la nomina più importante è certamente quella del presidente. Dal 2014 il Pe spinge per seguire la logica dello Spitzenkandidat. Andrebbe quindi scelto il nome del candidato indicato dal gruppo politico che arriverà primo alle elezioni europee. Se il Partito popolare europeo (Ppe) si confermerà primo (anche se con voti in calo), la carica di presidente della Commissione dovrebbe spettare al tedesco Manfred Weber, che è proprio lo Spitzenkandidat del Ppe.
Ma non è escluso che nella disperata ricerca di un compromesso alla fine emerga un nome diverso: sempre in area popolare, si è fatto ad esempio il nome del capo negoziatore della Brexit da parte dell’Ue, ovvero il francese Michel Barnier. L’allargamento della coalizione ai liberali – da sempre contrari al metodo Spitzenkandidat – potrebbe però costringere tanto Weber quanto Frans Timmermans (candidato del gruppo socialista) a fare un passo indietro a favore di una figura terza.
Il risiko delle altre nomine
Ipotizzare un nome in questo momento è difficile, anzi quasi impossibile, perché il compromesso dovrà tenere conto sia dell’allargamento della maggioranza in seno al Pe, sia della nazionalità del presidente. Quest’ultima infatti influirà inevitabilmente anche sull’identificazione delle altre alte cariche europee, tra cui l’Alto Rappresentante della politica estera e di sicurezza e il presidente del Consiglio europeo.
A ottobre, inoltre, bisognerà scegliere il sostituto di Mario Draghi alla guida della Bce. Al momento per la poltrona più importante dell’Eurotower i candidati più forti sembrano essere quelli della Francia (il governatore della Banque de France, François Villeroy de Galhau) e della Finlandia (l’ex presidente della banca centrale finlandese Erkki Liikanen), entrambi piuttosto favorevoli – seppur con alcuni distinguo – alle principali decisioni di politica monetaria prese da Mario Draghi. Più incerta appare invece la sorte di Jens Weidmann, governatore della Bundesbank tedesca e deciso oppositore degli stimoli monetari messi in campo da Francoforte in risposta alla crisi finanziaria.
Conti, moneta e banche
Si tratterà di un passaggio importante per l’Italia per evitare che prevalgano le visioni ‘rigoriste’ del Nord Europa. Una scelta, quella del presidente della Bce, peraltro strettamente legata anche al dossier ancora aperto sul rafforzamento della moneta unica che è al centro dello scontro tra i Paesi del nord e del sud dell’Eurozona. Rimane infatti da capire come contemperare la richiesta di maggiore condivisione dei rischi da parte dei Paesi del sud con quella di un preliminare abbassamento dei rischi stessi da parte di quelli del nord.
Il Consiglio europeo ha già assunto una posizione favorevole nei confronti dell’approvazione del pacchetto sul completamento dell’Unione bancaria – con una garanzia comune per i depositi bancari – e sul rafforzamento del “fondo salva-Stati” (Meccanismo europeo di stabilità). Ma di fronte ai veti incrociati dei ‘rigoristi’ del nord e delle ‘colombe’ del sud il rischio è che tutto si traduca in un nulla di fatto da cui né gli uni né gli altri potranno trarre beneficio. Così come si rischia il fallimento – o il drastico ridimensionamento – della proposta del presidente francese Emmanuel Macron di creare un budget per l’Eurozona (per stimolare gli investimenti e, almeno in parte, con finalità distributive). La cancelleria tedesca Angela Merkel ha già chiarito da tempo che al massimo si tratterà di qualche decina di miliardi di euro entro una linea di bilancio dedicata dell’intero bilancio Ue. Difficilmente si tratterà quindi di un game-changer.
Il Quadro finanziario pluriennale
Sorvolando sulla questione delle migrazioni (su cui è difficile prospettare a breve significativi passi avanti), un altro dossier che rischia di gettare l’Ue in una lunga impasse è quello del Quadro finanziario pluriennale (Qfp) che definisce i tetti di entrate/spese per i bilanci Ue 2021-2027. Qui lo strappo potrebbe avvenire soprattutto con i Paesi del gruppo di Visegrád. La Commissione ha già presentato una bozza di Qfp che, peraltro, favorisce complessivamente l’Italia attraverso una riduzione delle spese della politica di coesione verso i Paesi centro-orientali (che negli ultimi anni hanno registrato una crescita sostenuta) proprio a favore dell’area mediterranea (+8% per la Grecia, +5% per la Spagna e +6,4% per l’Italia). Questa bozza va incontro alle esigenze italiane anche perché aumenta le spese per la gestione dei confini esterni dell’Ue (da 12 a 30 miliardi). Motivo in più per l’Italia per sostenere la proposta della Commissione e cercare una sponda con gli altri Paesi che maggiormente potrebbero beneficiare del nuovo Qfp.
Ce ne è abbastanza per comprendere che le occasioni di scontro tra le istituzioni europee e tra i Paesi membri non mancheranno già nelle settimane e mesi dopo il voto. In un clima di crescenti divisioni, il rischio di un continuo stallo e del rinvio delle decisioni su dossier cruciali appare molto alto. Una situazione che non farebbe altro che indebolire ulteriormente l’Ue. Sarebbe un costo molto elevato per i cittadini europei e un ulteriore (e immeritato) regalo alle potenze mondiali, vecchie e nuove, che non vedono l’ora di approfittare dello stallo europeo.
Questo articolo è stato realizzato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana.