Elezioni europee: prenderle sul serio, al di là del paradosso
Affrontare il tema del Parlamento europeo e delle sue elezioni equivale a ragionare di un paradosso. Questa, che ad alcuni potrebbe sembrare una battuta, è invece una sconfortante realtà, dimostrabile con dati molto concreti. Basterà qualche esempio per chiarire il concetto.
Parlamento europeo: risultati salienti
Il 7 aprile 2017, l’Assemblea di Strasburgo ha approvato la relazione della britannica Vicky Ford (conservatori e riformisti europei), grazie alla quale l’Unione europea ha abolito ogni sovra-costo legato al roaming telefonico tra paesi dell’Ue, limitando i profitti ingiustificati delle holding della telefonia.
L’11 settembre 2018, l’Europarlamento, guidato dalla relatrice Judith Sargentini (olandese del Gruppo dei Verdi), ha avuto la forza ed il coraggio di dichiarare pubblicamente che l’Ungheria di Viktor Orban non sta rispettando i valori comuni dell’Unione: stato di diritto, democrazia e libertà fondamentali. Ed ha attivato la procedura che potrebbe portare l’Ungheria – uno Stato sovrano – a essere sospesa dall’Unione europea.
Il 26 marzo 2019, il Parlamento europeo ha dato il disco verde definitivo alla direttiva sul copyright (relazione presentata dal tedesco Axel Voss, Partito popolare europeo), con la quale si punta a “regolamentare” internet e le più grandi piattaforme social mondiali.
Infine, il 27 marzo 2019, gli europarlamentari hanno approvato la relazione di Miriam Dalli (maltese del Gruppo dei Socialisti e Democratici), con la quale l’Eurocamera ha reso le misure per ridurre le emissioni di gas serra di automobili e furgoni entro il 2030 più stringenti rispetto a quanto ipotizzato dalla Commissione europea e dal Consiglio dei Ministri dell’Ue.
Decisione importanti, attenzione inadeguata
Quelli indicati sono solo una piccola parte dei tanti atti che l’Aula di Strasburgo ha adottato nell’attuale legislatura e che dimostrano come essa sia in grado oggi di assumere delle posizioni e di emanare dei provvedimenti che i Parlamenti nazionali non sarebbero mai capaci di prendere. Perché legati a interessi – a volte di corto respiro – dei propri Stati, o perché troppo deboli per determinare un qualsiasi effetto rilevante.
Se quanto detto è vero, e lo è, sarebbe da aspettarsi che il voto europeo venisse seguito con enorme interesse da tutti i media nazionali ed internazionali. Che fosse considerato dai partiti e dai governi nazionali un evento politico sul quale impegnarsi a fondo, pensando alle importati e a volte decisive scelte, che il prossimo europarlamento sarà chiamato a prendere. E invece no.
Voto europeo ed effetti nazionali
Manca meno di una settimana alle elezioni e sui giornali, nelle televisioni, per radio e anche nei social-media, praticamente non c’è traccia di elezioni europee. O meglio, quel poco o tanto che se ne parla non riguarda il voto europeo in quanto tale, ma gli effetti che i suoi risultati determineranno sulla politica nazionale.
Una dimostrazione? Giovedì 2 maggio, su iniziativa dell’Istituto Universitario Europeo e del Financial Times, si è tenuto a Firenze un confronto tra i candidati di punta (Spitzenkandidaten) dei principali gruppi politici del Parlamento europeo alla carica di presidente della Commissione europea. Lo stesso confronto, ritrasmesso in eurovisione, si è ripetuto il 15 maggio a Bruxelles, nell’Aula dell’Europarlamento. Sono stati dibattuti temi importantissimi, quali disoccupazione giovanile e immigrazione, cambiamento climatico, difesa comune e politica estera, tassazione delle imprese, politiche sociali. A discuterne i potenziali futuri presidenti della Commissione europea: Manfred Weber, Ppe; Frans Timmermans, Pse; Ska Keller, Verdi; Margrethe Vestager, Alde; Nico Cué, Sinistra europea; Jan Zahradil, Cre).
Se si guarda su Internet si trovano tanti resoconti dei due incontri. Ma nei nostri media nazionali? Nei talkshow e nei salotti buoni della politica italiana, che seguito hanno avuto? Praticamente nulla. Nessuno se ne è accorto. Da noi, solo polemiche di basso livello e bisticci di bottega. E’ o non è un paradosso?
Un paradosso che può costarci caro
Da un lato c’è un Parlamento europeo, che esercita dei poteri straordinari; e dall’altro, un sostanziale disinteresse nazionale sui temi e sulla vera portata di queste elezioni. La cosa grave è che questo paradosso può costarci caro. Rischiamo di partecipare ad un’importantissima tornata elettorale senza saperne molto (per non dire niente), con buona pace dei principi della democrazia e della partecipazione popolare.
E l’interesse a partecipare in modo più consapevole ed informato riguarda tutti: tanto gli europeisti, quanto i nazionalisti.
Un Parlamento più forte potrebbe effettivamente prendere in mano le redini di un processo d’integrazione che, ormai appare evidente, ha bisogno di una svolta. In questo senso, d’altronde, si è pronunciata la stessa Commissione europea, che, con il Libro Bianco sul futuro dell’Europa del primo marzo 2017, ha prospettato cinque scenari immaginando l’Unione europea del 2025. In sostanza: avanti così, concentriamoci sul mercato, lasciamo fare ai più volenterosi, facciamo di meno, facciamo molto di più.
Tra le cinque opzioni, la meno convincente è sicuramente quella dell’immobilismo. L’Unione europea già fa tante cose importanti, e quelle che abbiamo ricordato in merito ai lavori del Parlamento europeo lo dimostrano. Quindi, la percezione diffusa che l’Unione conti, è presente nell’opinione pubblica. Quello che non si capisce, è come mai non intervenga con decisione, tempismo ed efficacia negli ambiti dove più ci si aspetterebbe. Politica estera, sicurezza sociale, tasse, imprese, occupazione, investimenti pubblici. Purtroppo, il fatto che non intervenga, o intervenga in misura ridotta semplicemente perché gli Stati non le consentono di fare di più è un particolare, sicuramente determinante, che sfugge ai più.
A questo riguardo, un Parlamento convinto del suo ruolo, potrebbe fare la differenza. Come noto, infatti, l’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea consente anche all’Assemblea di Strasburgo di proporre una revisione dei Trattati istitutivi. Sia nel senso di un’Unione più forte, sia di una meno presente. Se a chiedere la riforma fosse l’Europarlamento, legittimato dal voto di un popolo, quello europeo, cosciente della posta in gioco, allora più della metà dell’opera sarebbe già compiuta.
Ma viviamo nel paradosso di cui si è detto: un Parlamento europeo già forte e pronto a scompaginare le carte in tavola, ma percepito e trattato come marginale.
Tuttavia, un antidoto per uscire dall’impasse di questo paradosso, per quanto ridotto visti i tempi ristrettissimi, ci sarebbe. Ed è internet. Se si ha voglia di colmare la grandissima e gravissima lacuna dei nostri media e dei nostri politici sul voto europeo, le informazioni si possono trovare su Internet, privilegiando i siti ufficiali e attendibili, ovviamente.
Prima o poi, però, si dovrebbe trovare anche il tempo ed il modo per parlarne seriamente, di questo paradosso.