Elezioni europee: Pd e Forza Italia alla ricerca del riscatto
I partiti tradizionali hanno gravemente risentito dell’emergere di quelle forze che, a vario titolo, vengono definite come nazionaliste e populiste. Nel caso italiano, sia il Partito democratico (Pd) che Forza Italia (Fi) hanno subito l’avanzata dei due partiti che hanno dato vita alla coalizione giallo-verde, il Movimento 5 Stelle (M5S) e la Lega. Sin dalle elezioni del marzo 2018, Pd e Fi hanno faticosamente cercato di definire una strategia e un’agenda politica che permettesse loro di ritrovare una collocazione in uno spazio politico nazionale profondamente mutato. All’interno di questa strategia, il rapporto con l’Unione europea ha avuto un ruolo significativo, sia perché le elezioni europee potrebbero rappresentare la prima occasione di “riscatto”, sia perché l’Ue è divenuta sempre più il clivage della politica italiana.
I dem e l’orizzonte progressista europeo
Il Partito democratico arriva all’appuntamento elettorale del 26 maggio con una nuova leadership ma con molti problemi interni ancora da risolvere, che si aggiungono a quelli derivanti dalla crisi complessiva della socialdemocrazia in Europa.
Il programma elettorale del Pd del nuovo segretario Nicola Zingaretti si ispira ai valori della tradizione progressista, con una forte attenzione all’Europa sociale – marcata dalle proposte per un’indennità europea di disoccupazione finanziata da risorse comunitarie, un salario minimo europeo, un piano europeo per il diritto allo studio e la lotta alla povertà infantile; e politiche orientate alla crescita – attraverso un piano straordinario di investimenti per la ricerca, le infrastrutture, le energie rinnovabili e le politiche sociali. Tra le politiche europee da tutelare e rafforzare, il Pd punta in primo luogo su quella della concorrenza, proponendo l’introduzione di un’aliquota minima del 18% per le imprese contro la concorrenza fiscale sleale; quella agricola, mantenendo un bilancio europeo almeno pari a quello attuale e tutelando i produttori e consumatori insieme alle tipicità dei territori; e non da ultima quella di migrazione e asilo, attraverso la riforma del regolamento di Dublino, la gestione comune della frontiere europee e politiche comuni di integrazione. Trovano poi spazio le tematiche ambientali e quelle di genere, sia in termini di eguaglianza salariale tra uomo e donna sia di contrasto alla violenza di genere.
Resta da vedere se la galassia progressista che emergerà dalle elezioni sarà in grado di accogliere e promuovere queste istanze a livello europeo, superando le divergenze interne e le cautele che imbrigliano le forze politiche nazionali.
Occorrerà poi affrontare la questione delle alleanze. Il tentativo di costituire un fronte progressista ampio “da Macron a Tsipras” in grado di opporsi efficacemente alle forze nazionaliste ed euroscettiche sembra essersi arenato per mancanza di un carattere genuinamente transnazionale dei suoi promotori e delle sue proposte. Allo stesso tempo, se gli ultimi sondaggi fossero confermati, il gruppo S&D – dove il Pd siede al Parlamento europeo – non potrà̀ fare affidamento solo su un’alleanza con il Partito popolare europeo (Ppe) all’interno della prossima Assemblea di Strasburgo, ma dovrà cercare la sponda anche di altre famiglie politiche, tra le quali i liberali dell’Alde e i Verdi. Questo rischia di annacquare l’agenda proposta dal Pd, ridurre la sua spinta riformista e porre una pesante ipoteca sulla possibilità di trovare un accordo tra le forze S&D su questioni cruciali come quelle del welfare, della crescita e della migrazione, che occupano un posto importante nelle preoccupazioni e nelle richieste dei cittadini elettori delle forze progressiste in Europa.
La svolta europea di Berlusconi
Forza Italia ha subito un forte ridimensionamento alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, elezioni che hanno di fatto segnato il passaggio della leadership del centro-destra nelle mani della Lega di Matteo Salvini. È interessante rilevare come fin dalla formazione del governo giallo-verde Silvio Berlusconi abbia utilizzato proprio l’approccio verso l’Ue per distinguere Fi dai partiti populisti e in particolare dal Movimento 5 Stelle, opponendo la sua lunga esperienza di politico impegnato nelle relazioni internazionali e nei vertici europei al comportamento dei “dilettanti” al governo. Questo espediente appare tanto più sorprendente se si considera che il rapporto con l’Europa era stato uno degli aspetti più problematici dell’ultima fase del governo Berlusconi nel 2011.
Il programma per le elezioni europee elaborato da Forza Italia rappresenta un tentativo di trovare un compromesso tra l’aspirazione a una linea autonoma e il riferimento a un elettorato di centro-destra sempre più sensibile alle tematiche legate alla sicurezza. Questa seconda priorità spiega la sostanziale aderenza del programma di Fi a quello della Lega su un tema come quello dell’immigrazione. Convergenze tra i due partiti del centro-destra sono da registrare più in generale su questioni di sicurezza e difesa, come anche su alcuni dossier internazionali: le sanzioni alla Russia e il rapporto con la Cina, verso la quale un’eccessiva apertura potrebbe avere ripercussioni negative sul rapporto con gli Stati Uniti. Quest’ultimo punto è di particolare importanza per Fi, che continua a declinare la politica nazionale ed europea come sincrona rispetto a quella con gli Stati Uniti. A differenza della Lega, Fi ha voluto marcare però una maggiore moderazione nei rapporti con la Commissione europea, soprattutto sui dossier economici. Berlusconi ha chiaramente sostenuto la necessità di evitare uno scontro frontale.
Particolarmente interessante è la linea di Forza Italia in tema di alleanze europee. Il partito è rimasto sempre aderente alla linea del Ppe, ritenuto la propria collocazione naturale, in contrapposizione al nascente raggruppamento sovranista. Berlusconi ha però più volte auspicato che il Ppe rappresenti il luogo di convergenza anche delle forze nazionaliste che avrebbe dovuto accogliere e, in un certo senso, “governare”. Lo si è visto nel caso della “controversia Orbán”, rispetto alla quale Berlusconi ha sempre mantenuto un atteggiamento moderato e di inclusione. Questo atteggiamento è stato in netto contrasto rispetto a quello di altri leader europei, prima fra tutti la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Argine italiano ai sovranisti
Le elezioni del 26 maggio saranno la cartina di tornasole sia per il Pd, che cerca una conferma della strategia di consolidamento interno e di apertura appena avviata dal nuovo segretario, che per Fi, che punta a mantenere uno zoccolo duro di elettori e un ruolo significativo, sebbene ridimensionato, nel centro-destra.
Poi arriveranno al pettine i nodi programmatici e di alleanza all’interno delle rispettive famiglie politiche europee, ma per ora molti in Europa guardano al Pd e a Fi come l’unico possibile argine alla valanga sovranista ed euroscettica in Italia.
Questo articolo è stato realizzato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana.