IAI
Osservatorio IAI/ISPI

Elezioni europee: euroscettici, opposizione fuori dall’ordinario

24 Mag 2019 - Matteo Villa - Matteo Villa

Si è parlato molto del fatto che queste elezioni europee costringeranno la ‘grande coalizione’ moderata ed europeista, formata da popolari e socialdemocratici, ad allargare la propria base ai liberal-democratici. Si è anche spiegato estesamente che il gruppo dei partiti euroscettici si rafforzerà, ma anche che sarà ancora ben lontano dal raggiungere una maggioranza. Meno si è scritto, invece, sulle dinamiche interne alla possibile ‘coalizione euroscettica’ e su quelle ancora più specifiche ai tre gruppi parlamentari euroscettici che probabilmente si verranno a comporre da giugno: i Conservatori e riformisti europei (Ecr, di cui fa parte Fratelli d’Italia), l’Alleanza europea dei popoli e delle nazioni (Eapn, fino a oggi conosciuta come Europa delle nazioni e della libertà, Efn, e in Italia rappresentata dalla Lega) e il gruppo, ancora senza nome, che potrebbe rinascere dalle ceneri dell’Europa della libertà e della democrazia diretta (Efdd, a cui appartiene il Movimento 5 Stelle).

Euro-scettici e nazionalisti: una storia di divisioni
Storicamente, proprio le formazioni euroscettiche e nazionaliste sono state quelle meno coese all’interno del Parlamento europeo per almeno tre ragioni. La prima è strutturale: fino al 2009, gli euroscettici costituivano solo uno sparuto gruppo di deputati, e piuttosto sparpagliato in tanti Paesi europei. Non era perciò semplice per loro raggiungere le dimensioni e la rappresentatività geografica necessarie, secondo le regole del Parlamento europeo, per potere formare un gruppo politico e dunque presentarsi, quantomeno nominalmente, come uniti sotto una stessa sigla.

A oggi, per poter costituire un gruppo parlamentare è infatti necessario mettere insieme almeno 25 eurodeputati da almeno sette Paesi dell’Unione europea (Ue) differenti. Impresa semplice per i gruppi maggiori, come i popolari, i socialisti, i liberal-democratici. Ma non banale per gruppi che, come gli euroscettici, spesso ruotavano attorno a un singolo partito con voti già quasi sufficienti per superare la soglia, ma che hanno bisogno di soddisfare il requisito geografico. La presenza di una numerosa squadra di eurodeputati provenienti dallo stesso partito (com’era il caso, per esempio, del Front National francese), tende infatti a scoraggiare tutti quei partiti che, rappresentati da un numero di eurodeputati molto basso, temono che il loro ingresso nel gruppo determini la totale supremazia del partito maggiore, senza significativi benefici per loro stessi.

La contraddizione dei sovranisti
La seconda ragione, quasi scontata ma importante, è che chi fa campagna per una riduzione dei poteri dell’Ue e a favore di un ‘rimpatrio’ delle competenze verso gli Stati nazionali è giocoforza più ostile a una cooperazione e a un compromesso a livello europeo, anche con partiti che condividono l’obiettivo ideologico di fondo. Proprio per questo, per le formazioni euroscettiche è sempre stato più semplice fare opposizione dura e pura, dicendo “no” alle proposte europee senza tuttavia formulare precisi programmi alternativi.

Ancora oggi, le differenze nel campo euroscettico restano tante, e scorrono spesso lungo linee di faglia nazionali. Basti pensare ai rapporti con Mosca, via via più ostili mano a mano che ci si avvicina ai confini russi (con la singolare eccezione di Viktor Orbán in Ungheria, vicino a Vladimir Putin). O alle preferenze nei confronti delle politiche economiche, con gli euroscettici del centro-est europeo molto più vicini a politiche di rigore e austerity, osteggiate invece da italiani, francesi e greci. O, infine, al fatto che gli euroscettici lontani dalle frontiere sud dell’Europa possano permettersi di rimettere controlli alle frontiere interne dell’area Schengen in modo da limitare il passaggio dei migranti, lasciando dunque che il problema sbarchi sia affrontato dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (Italia, Grecia e Spagna).

L’ostacolo del senso di appartenenza
La terza e ultima ragione va rintracciata nell’ideologia e nel senso di appartenenza e identità dei singoli gruppi. Tra euroscettici è stato spesso difficile cooperare anche perché Ecr, il gruppo creato dai conservatori britannici, ha di fatto continuato a intrattenere rapporti non ostili con il gruppo moderato e pro-Ue dei popolari, mentre Efn ed Efdd hanno sempre utilizzato toni molto più critici verso i partiti di maggioranza nel Parlamento europeo.

Anche tra Efn ed Efdd, inoltre, non corre buon sangue, dal momento che il primo raggruppa partiti di destra, mentre il secondo include anche partiti e movimenti nati dalla sinistra extraparlamentare o che comunque adottano una narrazione più populista che nazionalista. Anche al di fuori dei tre gruppi ufficiali, infine, tra i parlamentari indipendenti (i cosiddetti ‘non iscritti’) più radicali e i gruppi euroscettici i rapporti sono spesso stati tesi. Basti pensare al fatto che alcuni partiti percepiti come di estrema destra (per esempio il greco Alba dorata e l’ungherese Jobbik) sono sempre stati esclusi – o si sono auto-esclusi – dalla partecipazione in uno dei gruppi parlamentari euroscettici.

Difficoltà destinate a non essere superate
Nessuno di questi tre ostacoli sarà superato grazie al probabile rafforzamento del fronte euroscettico. Prova ne é la difficoltà con cui è stato lanciato l’Eapn  e le tensioni che proprio questo lancio ha generato anche all’interno della maggioranza di governo italiana. Proprio l’Italia è un buon esempio di come, tra partiti euroscettici, i margini di cooperazione e quelli di competizione non sono mai chiari e spesso anzi si sovrappongono.

Il tutto, almeno nei primi mesi dopo il voto del 26 maggio, sarà ulteriormente complicato dalla Brexit – o, meglio, dall’assenza di Brexit. La permanenza britannica nell’Ue potrebbe infatti complicare lo scenario nel breve periodo, soprattutto nel caso in cui il Brexit Party avrà molto successo e continuerà a voler restare nel gruppo ex-Efdd. Questo potrebbe rendere proprio il Brexit Party il partito maggiore e forse persino determinante per raggiungere non tanto la soglia dimensionale quanto quella geografica (al momento i partiti Efdd che ci si attende saranno rappresentati nel Pe provengono da soli quattro Paesi sui sette necessari).

Quello di quest’anno sarà dunque un voto storico, ma lo stesso si può dire di tutti i voti. A essere determinante sarà la capacità o meno di gruppi poco coesi e spesso in competizione tra loro a fare massa critica, ma anche a presentare politiche alternative comuni che non siano in semplice opposizione rispetto ai programmi dei partiti maggiori. Chiarire quali e quante competenze andrebbero ‘riportate a casa’ sarebbe cruciale per diventare un’opposizione matura in un Parlamento europeo che si va via via sempre più politicizzando. Il che, anche per i cittadini europei che criticano non senza ragioni l’Ue per il suo eccesso di burocrazia e tecnicismi, potrebbe non essere un male.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana.