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Osservatorio IAI/ISPI

Elezioni europee: equilibri istituzionali al tempo dei sovranisti

24 Mag 2019 - Eleonora Poli - Eleonora Poli

Negli ultimi decenni, il Parlamento europeo ha visto perlopiù alternarsi alla sua guida il Partito popolare europeo (Ppe) del centro-destra e i socialisti e democratici (S&D) del centro-sinistra. Questo ordine, già messo parzialmente in discussione nel 2014, verrà ulteriormente sovvertito dal voto del 26 maggio e dall’attesa affermazione dello schieramento dei partiti sovranisti. L’avanzata dei sovranisti rappresenta un ulteriore passo in avanti nella crescente rilevanza dei partiti di destra, populisti e anti-immigrazione in Europa. La loro accresciuta presenza renderà necessaria la formazione di ampie coalizioni tra gruppi considerati “tradizionali” per formare una maggioranza per eleggere il presidente della Commissione europea e approvare i futuri commissari. L’equilibrio di forze nelle istituzioni europee dipenderà proprio dalla capacità dei partiti tradizionali e di quelli sovranisti di “fare blocco” tra loro in modo da influenzare più efficacemente l’assetto istituzionale dell’Unione.

Gruppi tradizionali e nuove leve
Secondo i sondaggi di Politico Europe (proiezioni aggiornate al 10 maggio scorso), con circa 170 seggi su 751 (46 in meno rispetto al 2014), il Ppe sarà il primo gruppo politico nell’Assemblea di Strasburgo. Per avere la maggioranza dovrà però necessariamente coalizzarsi con i Socialisti (S&D) che avranno probabilmente 141 seggi (33 in meno del 2014), e con i liberali dell’Alde, formazione che, grazie anche al sostegno del partito del presidente francese Emmanuel Macron, La République En Marche (accreditata di circa 20 eletti), arriverà approssimativamente a 103 seggi (35 in più rispetto al 2014).

All’estrema destra, il gruppo guidato dalla Lega di Matteo Salvini (26 seggi circa e primo partito in Italia), l’Alleanza europea dei Popoli e delle Nazioni (Eapn), che comprenderà anche il Rassemblement National di Marine Le Pen (21 seggi) e Alternative für Deutschland (AfD, 11 seggi), dovrebbe raggiungere 76 seggi ed essere quindi il quarto gruppo politico nel Parlamento. Il gruppo dei Conservatori e riformisti (Ecr, di cui fanno parte i Tories britannici e Fratelli d’Italia), con 59 seggi, potrebbe diventare un alleato chiave per Salvini.

Dopo lo sfaldamento dell’Europa della Libertà e della Democrazia Diretta (Efdd), dovuta alla dipartita del partito anti-Ue britannico Ukip, il Movimento 5 Stelle non ha un gruppo di riferimento. I grillini, che potrebbe raggiungere quota 18 seggi, avranno un peso politico rilevante e per questo risulterebbero ingombrante e difficilmente assimilabile all’interno di gruppi più piccoli, come quello dei Verdi (55 seggi), con cui pur condivide alcune cause. Il M5S potrebbe quindi cercare di creare un nuovo gruppo trovando il sostegno di altri partiti, a patto che rappresentino almeno sette Paesi membri.

La scelta del successore di Juncker primo banco di prova
La maggioranza all’interno del nuovo Parlamento europeo sarà nelle mani dei partiti tradizionali, ovvero Ppe, S&D e Alde. Tuttavia, la sostenibilità della coalizione dipenderà dalla capacità dei gruppi di accordarsi sulla nomina del presidente della Commissione. Lo Spitzenkandidat – ovvero il ‘candidato di punta’ – del Ppe alla Commissione, Manfred Weber, potrebbe non ricevere il sostegno da parte degli altri due gruppi. Anche se il Ppe sarà il primo partito, potrebbe dover cedere di fronte alle pressioni di S&D e Alde e accordarsi su un altro candidato, come lo Spitzenkandidat dei socialisti, l’olandese Frans Timmermans, vicepresidente uscente della Commissione o uno di quelli proposti dai liberali, fra cui spiccano la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, l’ex premier belga Guy Verhofstadt e l’ex ministra italiana Emma Bonino. Non sono poi da sottovalutare le candidature sostenute dai capi di governo, come quella di Michel Barnier, ex ministro francese e commissario europeo, ora a capo dei negoziati sulla Brexit.

Le chance che si formi una coalizione tra i sovranisti e i conservatori di Ecr, che non vedono di buon occhio le posizioni pro-russe di Salvini e di altri dello schieramento sovranista, sono minime. Anche se i due dovessero trovare un accordo, difficilmente avrebbero i numeri per esprimere il prossimo presidente della Commissione. Rimane in dubbio anche la possibilità per il gruppo stesso di Salvini di cooperare nel lungo periodo. I partiti che comporranno Eapn hanno identità politiche simili, caratterizzate da una forte vocazione sovranista, scetticismo verso le istituzioni sovranazionali e l’integrazione europea, e ostilità all’immigrazione. Tuttavia su altre questioni, soprattutto di natura economica, i partiti di Eapn troveranno difficile un accordo, riflettendo nelle loro posizioni gli egoismi nazionali più che l’interesse comune. Le forze di stampo sovranista degli Stati membri Ue più in difficoltà dal punto di vista economico si dichiarano contrari alle politiche di austerità, ma quelli dell’Europa del Nord, come l’AfD, sono contrarissime a caricarsi oneri fiscali di altri Paesi.

L’avvento dei commissari sovranisti
Nonostante le diversità interne, i partiti sovranisti, euroscettici e anti-establishment che sono attualmente al governo – come la Lega e il M5S in Italia, il Partito di diritto e giustizia (PiS, gruppo Ecr) in Polonia, l’Unione democratica croata (Hdz, gruppo Ppe) in Croazia o Fidesz (gruppo Ppe) in Ungheria – avranno comunque la possibilità di nominare uno dei 28 commissari. La prevedibile opposizione dei governi formati da partiti tradizionali non permetterà loro di esprimere l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, o di accedere a posizioni ambite all’interno della Commissione come la responsabilità degli Affari Economici e Finanziari o quella della Concorrenza. Tuttavia, la nomina dei membri della Commissione vedrà un gioco negoziale importante sia a livello del Consiglio sia all’interno del Parlamento che dovrà, una volta designato il presidente della Commissione, avallare il team di commissari proposto.

Proprio questa necessità di trovare accordi tra gruppi più frammentati rispetto al 2014 trasformerà le dinamiche all’interno dell’emiciclo, “nazionalizzando” la politica europea. Gli stessi giochi e accordi politici che caratterizzano tutti i Parlamenti nazionali saranno più visibili anche a livello europeo. Se da un lato questo processo potrebbe avvicinare e in qualche modo “normalizzare” un’istituzione spesso vista come distante dal demos europeo, dall’altro l’estrema polarizzazione del dibattito rischia di rallentare la creazione di una nuova Commissione e la formulazione di politiche chiare in grado di rispondere in maniera efficace alle esigenze dei cittadini.

Secondo uno studio della Bertelsmann-Stiftung, dal 2015 ad oggi, nonostante le diversità nazionali, ciò che accomuna la maggioranza degli europei è l’idea che l’Ue dovrebbe avere come priorità la protezione dei cittadini: dalla lotta al terrorismo alla creazione di welfare e sicurezza sociale, alla gestione del problema dell’immigrazione. In questo frangente, un’impasse politica nel Pe e nelle istituzioni europee intorno a temi vitali per i cittadini potrebbe minare le basi per il necessario rilancio del progetto europeo.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana.