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L'anniversario della fondazione

Consiglio d’Europa: 70 anni tra successi e sfide

5 Mag 2019 - Matteo Angioli - Matteo Angioli

Era il 19 settembre 1946 quando Winston Churchill, vittorioso contro la tirannia nazista, senza perder tempo ad adagiarsi sugli allori, tracciò la via da seguire per mettere al sicuro quei valori di libertà e democrazia che avevano rischiato di soccombere. “Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa. Il primo passo è formare un Consiglio d’Europa”, disse a Zurigo, auspicando invano, pochi mesi dopo, che anche la Germania partecipasse da subito a quel progetto. L’idea era evitare di ripetere l’approccio eccessivamente punitivo nei confronti dei tedeschi, come avvenne nel post Prima guerra mondiale, propiziando l’affermazione della follia hitleriana.

70 anni fa, quel progetto vide la luce nella Londra che Sir Winston aveva difeso con memorabile tenacia e intelligenza nel corso della guerra. Era il 5 maggio 1949 quando i rappresentanti di Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia firmarono il Trattato di Londra che istituiva il Consiglio d’Europa, con sede a Strasburgo e con l’obiettivo di favorire un’unione sempre più stretta tra i membri e “tutelare e promuovere gli ideali e i principi” fondanti lo stato di diritto e la democrazia. Il Consiglio generò rapidamente la Convenzione europea per i diritti dell’uomo, sottoscritta il 4 novembre 1950 a Roma, che generò a sua volta la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), organo giurisdizionale indipendente che giudica le violazioni al Trattato i cui primi giudici furono eletti per la prima volta il 21 gennaio 1959 dall’allora Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa.

Oggi i membri del Consiglio d’Europa sono 47 Stati, per una rappresentanza di circa 820 milioni di cittadini, ai quali si aggiungono, come membri osservatori, Canada, Giappone, Israele, Messico, Santa Sede e Stati Uniti.

Scetticismo britannico, sospensione russa
Mentre l’azione giuridica di questo organo sovranazionale ha costituito un vero e proprio argine ad abusi e derive nazionalistico-autoritarie, che la dimensione nazionale fatica a contenere, essa è stata anche all’origine di attacchi volti a depotenziarne la portata. Persino la patria della Magna Carta, il Regno Unito, sull’onda anti-europea ha minacciato più volte di uscire dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo per ridimensionare il Consiglio d’Europa a mero organo consultivo. Così come la Russia, frequentemente condannata dalla Corte di Strasburgo, per esempio per l’incompiuta giustizia rispetto all’omicidio di Anna Politkovskaja, la giornalista che stava indagando sui crimini russi commessi durante la guerra in Cecenia, nel 2006.

Proprio Mosca è stata al centro dell’ultima sessione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa dove si è tenuto un dibattito su una modifica regolamentare accolta con 108 voti favorevoli, 37 contrari e 12 astenuti. Il tentativo è quello di coordinare l’azione dell’Assemblea parlamentare con quella dei governi in materia di atti sanzionatori verso i membri. È una fase delicata per la tenuta del Consiglio. È in gioco la permanenza della Russia, la cui delegazione non siede in Assemblea da quando quest’ultima sanzionò l’invasione della Crimea con la privazione per i parlamentari russi del diritto di voto in Assemblea.

Il ritiro della Russia provocherebbe la perdita di un interlocutore e di un punto di riferimento rilevante al quale i cittadini russi possono appellarsi per denunciare gravi violazioni. Il Consiglio resta tuttavia determinato a proteggere i cittadini russi nonostante le sentenze di Strasburgo siano ormai superate dalle leggi di Mosca che hanno la precedenza sulle pronunce della Corte, così come stabilito recentemente dalla Duma.

Dalla stampa alle carceri: le sentenze di Strasburgo
La Turchia è un altro dei Paesi più interessati dalle sentenze della Corte causate in particolare dalla chiusura di molti organi di stampa e la radiazione o l’arresto di moltissimi professionisti a seguito del tentato colpo di Stato del 2016 e del giro di vite che il presidente Erdogan ha inferto al Paese.

La Corte ha inoltre accolto ricorsi sull’irragionevole durata dei processi in Italia e sui trattamenti inumani e degradanti subiti da persone detenute, in violazione degli articoli 3 e 6 della Convenzione. Storica è la sentenza Torreggiani presa all’unanimità l’8 gennaio 2013, a seguito di una battaglia condotta da Marco Pannella, con cui la Corte ha condannato l’Italia evidenziando che la carcerazione non comporta la rimozione dei diritti sanciti dalla Convenzione. La persona privata temporaneamente della libertà può necessitare di “una maggiore tutela proprio per la vulnerabilità della sua situazione e per il fatto di trovarsi totalmente sotto la responsabilità dello Stato.”

Anche in campo ambientale, il 24 gennaio 2019, la stessa Corte ha emesso una decisione sulla situazione dell’impianto Ilva di Taranto, in cui i giudici, avendo accertato “la permanenza di una situazione di inquinamento ambientale atta a mettere in pericolo la salute dei ricorrenti”, hanno stabilito che “lo Stato italiano non ha messo in atto le misure atte a proteggere il diritto al rispetto della vita privata dei cittadini, né ha fornito agli stessi un rimedio interno efficace per la difesa di tale diritto, violando con la propria condotta gli artt. 8 e 13 della Convenzione.”

Infine, il 3 maggio scorso, Giornata Mondiale per la Libertà di Stampa, il Consiglio ha pubblicato un Rapporto, con il contributo del relatore Lord Foulkes, sulla libertà di stampa che fa registrare passi indietro. Dai tagli alla stampa in Danimarca e Serbia, all’uccisione di giornalisti in Slovacchia e in Irlanda del Nord, dalle critiche alla Lituania per il conflitto di interessi nel principale canale televisivo statale, e quelle all’Italia – della quale il Consiglio d’Europa scrive che “il vicepremier e leader del M5S (Luigi Di Maio) ha chiesto alle aziende statali di bloccare la pubblicità sui giornali e ha annunciato piani per ‘una riduzione dei contributi pubblici indiretti’ ai media nel bilancio 2019. Nel novembre 2018, aveva pubblicato un post su un social media contenente linguaggio offensivo nei confronti dei giornalisti italiani e aveva auspicato nuove restrizioni legali sull’editoria” -.

Le battaglie per gli anni a venire
È indubbio che il contributo fornito da 70 anni dal Consiglio d’Europa alle istituzioni preposte al rispetto dei diritti fondamentali sia risultato in un’accresciuta consapevolezza popolare circa l’importanza di questo strumento sovranazionale di giustizia. Ma non basta.

I suoi successi attirano anche attacchi e minacce. Perciò è fondamentale onorarne la storia e proteggerlo soprattutto da chi, seguendo logiche nazionalistiche e protezionistiche, vuole sminuirlo o azzerarlo.

In un’epoca priva di Churchill, Adenauer o De Gasperi serve lottare per lo stato di diritto democratico, federalista, laico.

Foto di copertina © Dirk Waem/Belga/ZUMAPRESS.com