IAI
Big e outsiders ai nastri di partenza

Usa 2020: Partito democratico, una corsa molto affollata

23 Apr 2019 - Lucio Martino - Lucio Martino

Il grande numero di candidati del Partito democratico alla nomination 2020 per la Casa Bianca è un riflesso della profonda avversione provata nei confronti di Donald Trump e della diffusa convinzione che la persona giusta potrebbe davvero sconfiggere il presidente in carica. Di conseguenza, il processo che condurrà alla scelta del candidato democratico si annuncia come il più lungo, il più affollato e il più costoso di sempre.

Il partito democratico si è spostato molto a sinistra dai tempi dell’Amministrazione Obama: le tensioni tra il senatore Bernie Sanders e dei quadri di partito fedeli ai Clinton sono ancora particolarmente forti, tanto più che questi ultimi non credono che Sanders potrà mai battere il presidente Trump.

Le regole stabilite dal Comitato nazionale democratico creano una soglia di requisiti minimi per partecipare ai dibattiti televisivi del prossimo autunno, che solo una manciata di democratici, sui 19 già scesi in lizza – altri stanno per farlo – sono finora in grado di soddisfare.

Sanders e la Warren, la sinistra ‘stagionata’ l’uno contro l’altra armati
Il senatore Sanders rispetta da subito tutti i requisiti, combinando volontari  e finanziamenti. Tuttavia, Sanders non è più solo a sinistra. Molti altri candidati hanno fatto propria la sua proposta politica. Inoltre, i giovani che nel 2016 erano alla ricerca di un’alternativa alla Clinton sembrano averlo abbandonato. Per vincere, Sanders ha bisogno che tornino a sostenerlo, cosa che potrebbe accadere solo se il numero dei contendenti si restringesse di molto e se il suo rivale principale fosse Joe Biden, l’ex vice di Barack Obama. Il Partito democratico è poi sempre molto titubante nei suoi confronti, persino i sindacati sono riluttanti a sostenerne la candidatura.

La senatrice Elizabeth Warren non ha finora raccolto tanti contributi elettorali quanto gli altri candidati di alto livello, ma va bene nei sondaggi. La Warren dovrà superare dei problemi in qualche modo simili a quelli di Sanders nella sua corsa verso la nomination democratica, incluso il doversi costruire una relazione con le minoranze. In prospettiva, la candidatura della Warren sembra però più forte di quella di Sanders, perché è più probabile il sostegno dei quadri di partito. Inoltre, la Warren è il primo ‘grande nome’ ad aver organizzato la propria campagna elettorale, il che dovrebbe assicurarle un vantaggio nelle fasi iniziali delle primarie. Tuttavia, per andare davvero avanti, la Warren ha probabilmente bisogno che la candidatura di Sanders collassi.

O’Rourke e i senatori, la pattuglia d’assalto
L’ex deputato Robert O’Rourke ha facilmente superato i requisiti di donazioni e popolarità richiesti dal partito. Dopo una lunga esitazione, O’Rourke è finalmente sceso in campo convinto di poter ottenere il sostegno dei più giovani, dei fedelissimi del partito e degli ispanici, con una visione strategica relativamente meglio definita rispetto a quella dei suoi concorrenti. Il Partito democratico ha incoraggiato O’Rourke a correre, presumibilmente perché lo considera eleggibile e potenzialmente in grado di raccogliere somme di denaro ingenti. Le sue opinioni politiche sono però a volte deboli e indefinite, ma questo potrebbe rivelarsi un vantaggio perché lo stesso si poteva dire di Obama nel 2008 e di Trump nel 2016.

La senatrice Kamala Harris registra valori piuttosto elevati nei sondaggi e dall’ufficializzazione della sua candidatura è stata letteralmente sommersa da un fiume di piccole donazioni. Scavalcando il suo partito, Harris ha adottato una piattaforma che, rispondendo direttamente alle passioni della base, abbraccia quel Green New Deal che sembra anche escogitato al fine di disinnescare qualsiasi concorrenza da parte dei Verdi. Inoltre, le minoranze si rispecchiano in una Harris nata da genitori Tamil e giamaicani, cosa questa che ne potenzia le prospettive: la sua notevole popolarità sui social media implica un buon livello di consenso tra una gioventù che apprezza la diversità etnica.

Il senatore Cory Booker si caratterizza come uno dei più convinti liberal di questi tempi. La sua agenda pone l’accento su temi quali la legalizzazione della marijuana e la riforma dell’intero sistema giudiziario penale. Eppure, Booker ha dimostrato e dimostra non poche difficoltà a guadagnarsi le simpatie della sinistra del partito, soprattutto per via dei suoi legami con Wall Street e dell’appoggio sempre offerto all’industria farmaceutica.

Se i democratici stanno cercando un candidato completamente simmetrico a Trump, la senatrice Amy Klobuchar è una scelta quasi perfetta. La sua moderazione la rende altamente eleggibile,  come provato dal suo recente grande successo elettorale in uno Stato, il Minnesota, in cui Trump aveva quasi sconfitto la Clinton. Ma il Minnesota è uno Stato sostanzialmente bianco: la Klobuchar quindi non ha molta pratica nel fare appello a un elettorato democratico nero, ispanico e asiatico che sembra determinante per superare la convenzione del partito fissata nel Wisconsin a luglio 2020. Inoltre, la sua moderazione non la rende molto popolare a sinistra, mentre su i giovani non sembra esercitare un particolare fascino.

Outsiders e wild cards
John Hickenlooper è un altro degli aspiranti alla candidatura democratica ad avere rapidamente  raggiunto i requisiti di partito. Come la Klobuchar, l’ex governatore del Colorado si presenta come un centrista in grado di fare costruttivamente convergere interessi anche opposti. Con una mossa volta anche a spaccare il fronte repubblicano, qualora riuscisse a ottenere la nomination del suo partito, Hickenlooper pare intenzionato a sparigliare le carte scegliendo come suo vicepresidente il repubblicano John Kasich, ex governatore dell’Ohio.

La wild card del momento è il sindaco di South Bend, nell’Indiana, Pete Buttigieg. Apertamente gay, Buttigieg è in cima ai sondaggi e ai contributi elettorali grazie al suo impressionante curriculum accademico, politico e militare, e anche a una visione vicina alla sinistra del partito. Forte anche dell’appoggio dei giovani, delle minoranze e dell’universo Lgbt, Buttigieg potrebbe rappresentare in queste elezioni quello che Sanders ha rappresentato nel 2016. Del resto, a soli 37 anni, Buttigieg ha già più esperienza amministrativa e militare di quasi tutti i suoi rivali.

Le esitazioni di Biden e un punto della situazione
L’ex vicepresidente Joe Biden non ha ancora annunciato la sua candidatura, ma se e quando deciderà di farlo non ci sono dubbi che sarà in grado di rispettare i requisiti del Partito democratico. Biden offre una narrativa apparentemente accattivante: il completo rifiuto dell’odierna polarizzazione politica. Se i democratici non si innamorano di una nuova speranza, potrebbero finire con il sostenerlo.

Tuttavia, la nostalgia di Biden per un approccio bipartisan sembra fuori dal mondo. L’ex vice di Obama gode delle simpatie dei quadri di partito e di buona parte dell’elettorato nero che lo ricorda come il leale partner del primo presidente nero, ma la sua visione politica è molto lontana da quella della sinistra, per non parlare poi della sua scarsa presa sulle donne e sulle altre minoranze.

Finora la candidatura della Klobuchar è stata forse sottovalutata, perché le sue chance dipendono più dalla forza dei vertici di partito che dalle opinioni dei militanti. D’altra parte, il candidato che ha maggiori possibilità di conquistare la nomina democratica è la Harris perché almeno teoricamente vicina a quasi tutte le diverse componenti del partito. Le maggiori perplessità sulla sua candidatura arrivano da una sinistra da sempre prevalentemente bianca e spesso misogina.

Booker sembra altrettanto forte. In effetti, ha ottenuto degli ottimi risultati nei sondaggi preliminari fatti nello stato dello Iowa da sempre rilevante per l’esito delle primarie. Detto questo, sotto un paio di aspetti la candidatura di Booker sembra più debole di quella della Harris: Booker è nero ma non è né asiatico né ispanico, a differenza della Harris. E se la sinistra del partito ha qualche problema con la Harris, ne ha molti più con Booker. Conquistare la candidatura democratica è sicuramente possibile per Booker, ma è meno probabile di quanto non lo sia per la Harris.

Infine, Klobuchar e Biden rappresentano meglio di chiunque altro il paradosso in cui è sprofondato il Partito democratico. A differenze di tutti gli altri candidati, Klobuchar e Biden sembrano molto più in grado di vincere le elezioni presidenziali dei loro diretti rivali, ma non sembrano in grado di vincere le primarie del proprio partito.