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Ambizioni ridimensionate

Macron: da Sorbona a Manifesto per rinascimento europeo

15 Apr 2019 - Giovan Battista Verderame, Maurizio Melani - Giovan Battista Verderame, Maurizio Melani

A poche settimane dalla firma ad Aquisgrana del Trattato che ha rivitalizzato e aggiornato la collaborazione franco-tedesca frutto della storica riconciliazione fra i due Paesi, il presidente francese Emmanuel Macron è tornato sulla scena con il Manifesto “per un Rinascimento europeo”. Sul sito dell’Eliseo esso è significativamente accostato al discorso alla Sorbona, quasi a sottolineare la continuità dell’impegno europeista. E tuttavia i due documenti  riflettono momenti diversi. Il primo impregnato di idealismo europeista e di una visione ‘alta’ del futuro del processo di integrazione. Il secondo più influenzato dagli sviluppi prodottisi nel frattempo con il rafforzarsi delle tendenze anti-europeiste e dei sovranismi che ne sono l’espressione più rilevante.

Dalla prospettiva al contingente
Il discorso della Sorbona sosteneva lo sviluppo di una forte identità europea e che la soluzione dei problemi dell’Europa è nel consolidamento dell’integrazione, con l’accento posto sul concetto di “sovranità europea” costruita dal basso con la partecipazione dei cittadini. Anche il Manifesto parte dalla riaffermazione di quanto oggi più che mai l’Europa sia necessaria “per rispondere alle esigenze di protezione dei popoli di fronte alle grandi crisi del mondo contemporaneo” e riprende l’argomento, oggi svalutato da molti, del lungo periodo seguito alla “riconciliazione che ha trasformato un continente devastato in un inedito progetto di pace, prosperità e libertà”. Ma l’ottica sembra aver perso quella profondità prospettica, anche sul piano istituzionale, che caratterizzava il discorso della Sorbona. 

Oggi il primo problema è per Macron “l’insidia della menzogna e dell’irresponsabilità” che rischia di distruggere l’Unione, esplicatasi con il referendum sulla Brexit, caratterizzato da slogan di facile presa ma che nulla dicevano ai britannici sui problemi che la separazione dall’Europa avrebbe provocato anche nella loro vita quotidiana. Una sottovalutazione della realtà che ha portato il paese nel vicolo cieco, originata dal senso di insicurezza provocato nelle opinioni pubbliche da un panorama internazionale percorso da tensioni crescenti, dall’acutizzarsi del fenomeno migratorio, dalle incertezze sulle strutture sulle quali abbiamo fatto affidamento per la nostra sicurezza e dalla insufficiente azione per uno sviluppo economico e sociale armonico ed equilibrato. Stato d’animo collettivo che induce al ripiegamento e alla chiusura esponendo ancor più l’Europa al rischio di diventare il teatro di influenze e interventi manipolatori provenienti dall’esterno. In aggiunta vi è la progressiva perdita di consapevolezza, dice Macron, del ruolo di avanguardia esercitato dall’Europa nella definizione  delle ”norme del progresso” in campo sociale e nella risposta alle sfide principali del nostro tempo, dal cambiamento climatico alla rivoluzione tecnologica.   

Ambizioni ridimensionate
Nel Manifesto sembra ridimensionata
l’ambizione di una proposta complessiva d’Europa capace di chiarire nell’attuale fase di disorientamento i fini ultimi del processo di integrazione e, conseguentemente, su come articolarlo. Viene recuperato il senso della frontiera come simbolo di sicurezza sul quale si fonda il senso di appartenenza, facendone discendere la necessità di “rivedere lo spazio Schengen” nella duplice direzione della responsabilità di ciascuno stato membro nel controllo delle frontiere e della solidarietà nella gestione di una comune politica dell’asilo.

Ma nulla è detto su come realizzarlo in un quadro europeo nel quale la dimensione intergovernativa rende sempre più difficile il contemperamento degli interessi contrapposti. La rivendicazione del Consiglio europeo dello scorso giugno di avere l’ultima parola, ovviamente all’unanimità, sulla riforma del sistema di Dublino, che in base al Trattato potrebbe essere a maggioranza, rivela la profondità della deriva intergovernativo prodottasi negli ultimi tempi nell’equilibrio fra le Istituzioni europee. Su quale base fondare allora la “sovranità europea”, obiettivo del discorso della Sorbona non più espressamente richiamata nel Manifesto?

Il tema della difesa
In materia di difesa, la prospettiva fuoriesce dall’attuale quadro istituzionale con l’evocazione di un nuovo Trattato che definisca gli “indispensabili” obblighi reciproci, in collegamento con la Nato e con l’associazione della Gran Bretagna. E’ difficile vedere dove si situi, in questo contesto, la Pesc/Pesd/PSsdc e la lunga evoluzione che secondo gli sviluppi delineati dai Trattati di Maastricht, Amsterdam, Nizza e Lisbona ha prodotto istituzioni, procedure e strumenti che hanno consentito interventi anche militari di gestione delle crisi seppure limitati e senza una capacità di pianificazione e conduzione in grado di inverare quella autonomia strategica affermata negli ultimi documenti dell’Alta Rappresentante e del Consiglio europeo.

Del resto, proprio da Parigi è venuta la proposta di una Iniziativa europea di Intervento tesa a rafforzare i legami fra le Forze armate degli Stati aderenti (al momento 11 con la recente adesione della Finlandia) e la loro capacità di risposta rapida e coordinata negli scenari di crisi rilevanti per la sicurezza dell’Europa, di cui la Francia guiderebbe un segretariato permanente. Sarà questa la nuova direzione per la cooperazione europea del XXI secolo dopo il trauma della Brexit e la divaricazione crescente tra gli stati dell’Unione che anche in questo settore ne condiziona i progressi? E quale sarà il rapporto fra queste cooperazioni e le Istituzioni europee? Anche Schengen era nato fuori dal quadro nel quale è poi confluito, arricchendo il patrimonio delle conquiste comuni.

La partecipazione di Paesi con diverse visioni della difesa europea come la Germania, oscillante negli anni tra adesioni alle suggestioni francesi di autonomia strategica prima che il concetto fosse più ampiamente recepito e il continuo richiamo alla Nato, il Regno Unito sempre frenante rispetto ad una maggiore integrazione e in uscita dall’Ue, la Danimarca che aveva effettuato l’opting out dagli aspetti militari della Pesd, e la Finlandia neutrale, indica l’ambiguità dello strumento e della stessa iniziativa francese.

Una Conferenza per l’Europa
Il Manifesto si chiude con l’appello alla convocazione di una Conferenza per l’Europa che proponga “tutti i cambiamenti necessari al nostro progetto politico senza tabù, neanche quello della revisione dei Trattati”, ipotesi peraltro assai difficile e anche pericolosa, diversamente da quella di un nuovo Trattato in aggiunta ai precedenti per definire una ‘road map’ verso progressi  “talvolta anche a ritmi diversi”. Che i “ritmi diversi” siano ormai obbligati anche in questa prospettiva non ci sono più dubbi.

Meno chiaro è come sarà possibile ricostruire una visione sovranazionale del futuro dell’Europa che il risorgere degli egoismi nazionali ha progressivamente lacerato: interrogativo che il Manifesto di Macron non scioglie del tutto. E forse, in questa fase pre-elettorale, nemmeno vuole farlo, consapevole di non poter elevare troppo il livello delle ambizioni di fronte ad una Germania più prudente nell’interlocuzione più recente tra i due Paesi. Come in altri momenti di crisi o di stallo del processo di integrazione sarebbe questo il momento di un ruolo credibilmente propositivo e di stimolo dell’Italia.