Ue/Cina: più integrazione europea a difesa sovranità tecnologica
Un altro fantasma si aggira per l’Europa, quello della sua sovranità tecnologica, a partire dal campo della difesa e della sicurezza, ma è rimasto fino ad ora sullo sfondo, con qualche rara e fugace apparizione soprattutto quando si affrontava il tema dell’innovazione tecnologica. Per anni i suoi contorni sono stati poco chiari, confusi e mascherati dall’uso strumentale in chiave anti-americana: è così sembrato che il termine “sovranità” fosse utilizzato solo per addolcire quello di “autonomia”.,
In realtà “sovranità tecnologica” è molto di più di “autonomia”. Implica, infatti, non un generico controllo delle tecnologie di processo e di prodotto, ma la capacità di esercitarlo nelle Ksa-Key Strategic Activities, le attività strategiche chiave attraverso cui un Paese o, nel caso europeo, un’Unione di Paesi garantiscono la propria collocazione internazionale nel breve, medio e lungo periodo e, insieme, la propria difesa e sicurezza.
Globalizzazione e rivoluzione tecnologica
In un mondo sempre più globalizzato, il confronto non è più solo con il principale alleato americano e con il potenziale nemico russo, ma su scala mondiale, e l’attenzione non è solo sull’attuale posizionamento tecnologico, ma anche su quello prospettico. Qui il fattore determinante è quello della velocità e intensità dell’innovazione tecnologica, dove tutti corrono (vecchi e nuovi concorrenti) e così dovremmo fare noi europei al fine di mantenere e, se possibile, aumentare il nostro vantaggio tecnologico nei settori strategici.
Per ogni paese non è facile individuare le Ksa (anche perché bisogna farlo guardando avanti di decenni) e lo è ancora meno per l’Unione europea (data la forte competenza dei singoli Stati membri e la sua debolezza politica e istituzionale). Per i nostri competitori extra-europei è, infatti, chiara l’identità nazionale e, quindi, sono individuabili i relativi interessi da tutelare, mentre per l’Ue vale costantemente la commistione, spesso ambigua, fra identità dei singoli Stati membri e identità europea e la conseguente solo parziale sovrapposizione degli interessi nazionali ed europei.
In questo contesto interviene anche la nuova rivoluzione industriale 4.0 che è destinata a rafforzare la nuova gerarchia dello sviluppo tecnologico che si sta creando, consentendo forme di controllo e condizionamento tecnologico completamente sconosciute fino ad ora. La digitalizzazione di tutte le attività ha soprattutto due aspetti che la collegano al tema della sovranità tecnologica: l’interconnessione che tende ad abbattere i confini nazionali e la standardizzazione che, al di là delle barriere (regole, normative, tradizioni, cultura, lingua, ecc.), tende a favorire una maggiore globalizzazione del sistema industriale.
Tutto questo coinvolge anche per il settore della difesa e sicurezza che non è l’unico a contenere le Ksa, ma che è sicuramente il principale. E questo non è secondario se si vuole comprendere le ragioni del nuovo impegno europeo nel sostenerne lo sviluppo tecnologico.
Le decisioni europee
L’Unione europea deve dare un’efficace risposta all’esigenza di controllare autonomamente le tecnologie chiave che condizionano la crescita nei settori più avanzati. Controllarle significa possederle o svilupparle e poi mantenerle nel tempo: da una parte, quindi, devono essere rese disponibili, dall’altra devono essere preservate.
Il varo dell’Edf (European Defence Fund), con i suoi 13 miliardi di euro dal 2021 al 2027, rappresenta un elemento importante della nuova strategia di rafforzamento dell’innovazione tecnologica nel campo della difesa (sempre che, ovviamente, si punti sulle Ksa).
Tutelare meglio la sovranità tecnologica significa, però, anche affrontare la questione dei trasferimenti tecnologici verso i Paesi terzi clienti che chiedono crescentemente di essere coinvolti sul piano tecnologico e industriale. Fino ad ora il tema è stato affrontato solo nella dimensione nazionale o multinazionale per i programmi di collaborazione nel campo della difesa. Ma se si vuole rafforzare la sovranità tecnologica in chiave europea, dovrà essere considerato anche nei programmi finanziati con fondi europei, garantendo meglio che i trasferimenti di tecnologia non minaccino dall’interno la sovranità tecnologica europea.
Il fattore cinese
Ci ha pensato in queste settimane il dragone cinese a far rientrare in scena il fantasma della sovranità tecnologica e a richiamare l’attenzione sulla necessità di una strategia comune europea per garantirla. È avvenuto su tre terreni particolarmente delicati: finanziario, trasferimenti tecnologici e comunicazioni.
Sul primo si dovrà affrontare con opportuni accordi politici e strumenti normativi un duplice rischio: un eccessivo indebitamento dei singoli Stati membri verso Pechino per evitare che questo sia poi eccessivamente “influenzabile” e l’acquisizione del controllo di imprese ritenute strategiche in chiave europea (un primo passo per costruire una posizione comune è stato compiuto con il documento della Commissione europea del 13 marzo sugli investimenti stranieri diretti nell’Ue).
Anche sul secondo fronte, serve un accordo politico e una strumentazione di controllo per evitare trasferimenti di Ksa in un quadro di competizione inter-europea che rafforzerebbero il competitore cinese e comprometterebbero il vantaggio tecnologico europeo.
Sul terzo, si dovrebbe mitigare a livello europeo la dipendenza da fornitori cinesi. Va tenuto, infatti, presente che le comunicazioni sono per definizione uno dei settori più integrati e sensibili (una caratteristica non limitabile alle comunicazioni militari o istituzionali, perché bisogna includervi quelle finanziarie, economiche, industriali e tecnologiche). Oltre ad uno stretto controllo sulla loro attività, bisogna domandarsi se l’Unione europea non dovrebbe in questo specifico caso favorire la costituzione di alternative europee, sul modello di quanto nel 1987 si fece nel campo dei semiconduttori.
La risposta, quindi, non può che essere a livello europeo sia per evitare che attraverso le relazioni bilaterali si finisca con il rafforzare il potere contrattuale cinese (i 27 nani di fronte al gigante), sia perché, dato il livello di integrazione europea, gli interessi nazionali nel campo della sovranità tecnologica non sono separabili da quelli europei.