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Dopo la deposizione del dittatore

Sudan: un’attivista, “Sì militari nel governo, mai più Bashir”

19 Apr 2019 - Francesca Caruso - Francesca Caruso

“Il nostro obiettivo è che tutto il sistema di Bashir se ne vada. Su questo non c’è dubbio. Ma vogliamo anche che Bashir, e tutti coloro che hanno agito insieme a lui, sia processato per tutto quello che ha fatto. L’esercito ci ha dimostrato di essere dalla nostra parte. Ci ha protetto». Lana Haroun è una fotografa e attivista sudanese che vive a Karthoum.  L’8 aprile ha fotografato Alaa Salah, una sudanese di 22 anni, mentre, vestita di bianco con orecchini d’oro a forma di luna, guidava i canti nelle proteste anti-governative nella capitale. La sua fotografia è diventata virale e ha cambiato il volto delle proteste del Sudan. Oggi Alaa Salah, soprannominata ‘Kandaka’, ovvero regina nubiana, è diventata il simbolo delle proteste.

L’11 aprile Omar al-Bashir, il dittatore al potere da trent’anni, ricercato per genocidio dalla Corte penale internazionale per il suo ruolo nella conflitto del Darfur, è stato deposto da un colpo di Stato militare: al potere s’è insediato un Consiglio militare. Dopo essere stato agli arresti domiciliari per una settimana, Bashir è stato trasferito in una prigione del Paese insieme ai suoi fratelli. I manifestanti però continuano a protestare e chiedono il passaggio dal Consiglio militare a un governo formato da civili. L’Unione africana ha minacciato di espellere il Sudan se entro 15 giorni i militari non lasceranno il potere. Ma Egitto e Russia hanno invece riconosciuto il nuovo assetto di potere e l’Uganda ha offerto asilo politico all’ex dittatore.

L’ex presidente Omar al-Bashir è stato deposto da un colpo di Stato militare l’11 aprile. Ma il sistema che ha permesso a Bashir di governare per trent’anni è ancora in piedi. Che cosa bisogna cambiare?
Il nostro obiettivo è che tutto il sistema di Bashir se ne vada. Su questo non c’è dubbio. Ma vogliamo anche che Bashir, e tutti coloro che hanno agito insieme a lui, siano processati per tutto quello che hanno fatto. E in primis Bashir per il genocidio di cui è accusato in Darfur. La deposizione di Bashir non è quindi sufficiente a garantire un Paese più giusto. Molte figure dell’ex regime sono ancora al potere e sono i responsabili del malessere del Sudan. Loro non hanno fatto altro che rubare mentre qui la gente soffre. La nostra economia è a pezzi. Fino all’anno scorso un dollaro equivaleva a quattro pound sudanesi. Oggi equivale a 65 pound sudanesi. Non ci sono più soldi, e quelli che prima avevano qualcosa in banca non possono ritirarli. Oggi è diventato difficile comprare qualsiasi cosa: sia per i prezzi sia per la liquidità. Che è un problema enorme in un Paese dove ci sono pochi bancomat.

Con la deposizione di Bashir, il Consiglio militare ha preso le redini del Paese. Ma le manifestazioni continuano. Cosa vogliono i civili?
La situazione oggi in Sudan è molto critica, soprattutto da un punto di vista economico. E nessuno per il momento sembra in grado di gestirla. Noi vogliamo qualcuno che sia in grado di farlo. E se questo qualcuno dovesse provenire dall’esercito a noi va bene, purché non abbia nulla a che vedere con il sistema di Bashir. L’obiettivo finale è un sistema democratico, ma le elezioni adesso sono premature. Adesso ci vorrebbe una sorta di governo tecnico, in grado di guidare la transizione e che nel giro di un anno o due porti il Paese alle elezioni. I sudanesi sanno i nomi di chi potrebbe farne parte, ma non li posso dire. Ma soprattutto, i sudanesi sono anche disposti ad accettare che all’interno di questo governo ci sia qualcuno dell’esercito. L’esercito ci serve per la nostra sicurezza.

Una settimana prima la deposizione di Bashir, Abdelaziz Bouteflika, presidente dell’Algeria, aveva dato le sue dimissioni. In molti hanno tracciato dei paralleli tra le manifestazioni algerine e quelle sudanesi. In Sudan, come in Algeria, stupisce che, dopo che nel passato c’erano state molte ribellioni con gente armata, questa volta le manifestazioni sono del tutto pacifiche.
E io sono convinta che rimarranno pacifiche. L’11 aprile, quando Bashir è stato deposto, la gente era molto spaventata. Quel giorno ero in strada. C’erano molti spari per aria e molti lacrimogeni. Nessuno sapeva quello che sarebbe successo. Poi però le persone si sono radunate e hanno capito che questa volta il popolo è unito. E forse è anche merito dell’esercito se le persone hanno capito che siamo tutti molto uniti. E io sono convinta che le manifestazioni rimarranno pacifiche. L’esercito ci ha protetto e ci ha dimostrato che è con i cittadini e non con Bashir.

Bashir è rimasto al potere per trent’anni. Cos’è cambiato questa volta e perché il popolo è stato ascoltato?
Fino all’ultimo giorno nessuno se lo sarebbe mai immaginato. Anzi, lo stesso Bashir, qualche giorno prima, aveva dichiarato che avrebbe reagito con la forza e che non se ne sarebbe mai andato. Ma la gente non ha mollato. Fino al giorno della sua deposizione i sudanesi non hanno mai smesso di manifestare. Per trent’anni Bashir e il suo governo hanno fatto un lavaggio del cervello al popolo sudanese. Siamo un Paese musulmano e loro hanno sempre utilizzato il discorso religioso per legittimare il loro potere. In questo modo sono riusciti a tenere a bada la gente. In molti credevano in loro. Credevano che sarebbero stati in grado di migliorare il Paese. Ma col tempo, il regime di Bashir è diventato un cancro per il Paese. In ogni casa c’era qualcuno che lavorava per il regime. Ma dall’anno scorso la situazione è diventata troppo critica per mollare. La gente non può più comprare i beni di prima necessità.

L’8 aprile, tre giorni prima che Bashir fosse deposto, lei ha scattato una fotografia che è apparsa sui giornali di tutto il mondo. La sua fotografia ritraeva Alaah Salah, una giovane attivista di 22 anni, che vestita di bianco con orecchini d’oro a forma di luna, guidava i canti delle manifestazioni. Salah è diventata il volto delle proteste ma qual è il ruolo delle donne sudanesi più in generale?
Non mi sarei mai aspettata che la mia fotografia facesse il giro del mondo. Mentre ero lí che guardavo Salah tutti cercavano di starle il più vicino possibile per fotografarle il viso. Io invece ho iniziato ad indietreggiare e a un certo punto i miei occhi hanno visto la fotografia perfetta. C’era lei e tutti i manifestanti.

Ma Salah è solo un esempio di tutte le donne sudanesi che in questi giorni stanno manifestando. Nelle strade, la maggior parte delle persone sono donne. E questo per due motivi: il primo è numerico. In Sudan ci sono molte più donne. E il secondo è perché siamo tra le prime vittime, sia da un punto di vista culturale sia della sicurezza. Noi non possiamo mai andare in giro la notte da sole.

Ma questa volta le donne non si sono tirate indietro. E sono state fondamentali: non solo sono andate per strada, ma hanno anche aperto le loro case per dare da mangiare ai manifestanti e per dare rifugio alle persone che scappavano. Le donne sudanesi non hanno mai avuto nessuna intenzione di farsi indottrinare, solo che fino ad adesso nessuno lo sapeva.