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L'intervista - Parla direttore Oim

Migranti: Soda, spero in approccio Ue più equilibrato

26 Apr 2019 - Francesca Caruso - Francesca Caruso

“La mia speranza è che in Europa ci sarà un approccio più equilibrato sulle questioni migratorie. Che non vuol dire frontiere aperte e libera circolazione, ma più solidarietà. Temo però che, a causa del clima politico e delle questioni di sicurezza, come quella legate all’instabilità della Libia o alla minaccia globale del terrorismo, ci sarà un’ulteriore chiusura”. Federico Soda è direttore dell’ufficio di coordinamento per il Mediterraneo e capo missione in Italia e a Malta dell’organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), la principale organizzazione inter-governativa in ambito migratorio, legata alle Nazioni Unite dal 2016.

Direttore Soda, a un mese dalle elezioni europee l’immigrazione non è più il tema dominante dei dibattiti. Che cosa è successo? Qualche anno fa sarebbe stato impensabile.
Da quindici mesi c’è stato un notevole cambiamento dei flussi nel Mediterraneo e questo è, in parte, il frutto del nuovo approccio che il governo Gentiloni, con l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, ha inaugurato nel 2017 inquadrando la strategia europea sulla Libia.

Fino a qualche settimana, quando la situazione libica è diventata complicatissima, gran parte delle politiche europee si basavano sui pilastri stabiliti dall’Italia. Inoltre, c’è stata una notevole riduzione degli spostamenti secondari, ovvero dei transiti dei migranti che, dopo essere arrivati in Sicilia, cercavano di andare a Milan,o e poi oltre, nel giro di qualche giorno. Infine, in questo periodo c’è anche stata una chiusura delle frontiere alpine, ovvero in Francia, Svizzera e Austria.

Questi tre elementi hanno avuto un impatto molto diretto sui Paesi europei a Nord delle Alpi dove, avendo avuto meno arrivi, c’è stata la possibilità di calmare un po’ le anime. Italia, Grecia e Spagna sono da sempre soggetti ai flussi irregolari e, conseguentemente, alla strumentalizzazione politica. Gli altri Paesi, per motivi geografici, sono più tutelati. La crisi è scoppiata tra il 2014 e il 2015, quando gli europei si sono resi conto che quel che stava succedendo in Italia e nel Mediterraneo arrivava anche a loro.

Le previsioni indicano che alle prossime elezioni le destre aumenteranno i loro voti. Lei, direttore Soda, che cosa si aspetta dall’Europa post-elezioni? Il rischio di un approccio ancor più securitario, piuttosto che umanitario e solidale, per le questioni migratorie c’è.
La mia speranza è per un approccio più equilibrato, che non vuole dire frontiere aperte e libera circolazione delle persone, ma più solidarietà che, per ora, non c’è. Temo infatti che, a causa del clima politico e delle questioni di sicurezza, come quella che riguarda l’instabilità in Libia o la minaccia globale del terrorismo, ci sarà un’ulteriore chiusura su questi temi. E questo perché rischiamo di considerare il rapporto tra migrazione e sicurezza più stretto di quel che è.

In Italia, ancora oggi, nonostante ci siano degli spostamenti assolutamente irrilevanti, si dice che i migranti vanno respinti per questioni di sicurezza. Ci si dimentica che, invece, molto spesso i migranti, a prescindere del fatto che siano rifugiati o meno, sono persone che cercano condizioni migliori per loro e le loro famiglie. E che vogliono scappare da condizioni di instabilità e, soprattutto, di mancanza di sicurezza personale.

Parlando di solidarietà europea, lei, direttore Soda, crede che sia ancora possibile una riforma del regolamento Dublino?
È difficile dirlo prima dei risultati elettorali. Detto ciò, non posso credere che non sia possibile. È troppo importante per tutte le questioni che riguardano la mobilità inter-europea e la gestione delle frontiere comuni. Inoltre, è necessaria per iniziare a sviluppare politiche migratorie e di asilo europee che sono fondamentali per poter dialogare in un modo più efficace con i Paesi di transito e d’origine e per sviluppare politiche europee nei confronti di quei Paesi, non solo da un punto di vista migratorio ma anche per ciò che riguarda i contesti socio-economici, il cambiamento climatico. Per fare tutto questo, non dico che il regolamento Dublino vada risolto, ma quanto meno sviluppato.

Ritornando alla sicurezza, nel 2015 l’Europa ha risposto alla crisi del Mediterraneo con l’Operazione militare Sofia il cui mandato si è concluso il 31 marzo. Considerando che il Nord Africa è ancora instabile, quanto è importante, secondo lei, direttore Soda, che il prossimo Parlamento europeo faccia pressione sul Consiglio per rifinanziare Sofia o un’analoga missione militare?
Ogni opportunità che abbiamo per avere un approccio multilaterale va esaminata e sfruttata al meglio. Soprattutto perché oggi realizzare i soccorsi è sempre più difficile: nel Mediterraneo non si sa quali siano i porti sicuri e i luoghi di sbarco. Nel giro di quattro anni siamo passati da un approccio olistico e pro-attivo (e qui mi riferisco all’operazione Mare Nostrum), con molti attori quali la guardia costiera, le Ong, le navi militari, a una situazione dove praticamente non c’è più una presenza stabile di nessuno per realizzare i soccorsi. È tutto fermo e non ci sono gli strumenti e la volontà politica per evitare disastri. Anche se io credo che oggi nel Mediterraneo non ci siano più le condizioni del 2015, che hanno fatto sì che nel giro di così poco tempo si spostassero così tante persone, il naufragio di un barcone con 400 o 500 persone a bordo purtroppo non ci sorprenderebbe.

Secondo lei, direttore Soda, che tipo di migrazione dovrà affrontare l’Europa nei prossimi cinque anni? E quali sono gli strumenti indispensabili di cui si deve dotare?
Ci sono ancora contesti molto fragili in regioni e Paesi molto vicini all’Europa e quindi penso che continueranno ad esserci queste pressioni sui confini esterni europei. Si tratta dei cosiddetti flussi misti, ovvero di persone che hanno diritto alla protezione internazionale e altri che non hanno ovviamente diritto a questo tipo di protezione. Fare la distinzione diventerà sempre più difficile e ciò porrà dei problemi ai sistemi giuridici internazionali e nazionali e, ovviamente, si tratta di questioni che nessun singolo Paese europeo può o dovrebbe affrontare da solo. Quindi torniamo alla questione della solidarietà e della necessità di gestire insieme non solo i confini ma anche cosa succede dentro l’Unione. Si tratta di una distribuzione delle responsabilità. Inoltre, le politiche estere dovranno essere in grado di anticipare le crisi e di cercare di fare in modo che queste non si realizzino.

In un modo o nell’altro la fluidità delle persone continuerà e aumenterà. La questione è quindi se continueremo a cercare di resistere a questo fenomeno o sceglieremo di impegnarci insieme per cercare di ridurre i rischi e massimizzare i benefici. Ma per ora mi sembra difficile. L’atmosfera è molto tesa e l’elettorato è sempre più polarizzato. Non riusciamo a fare nessun passo avanti nemmeno per cercare di creare un’immigrazione regolare, nonostante la realtà demografica dell’Europa. E siamo arrivati al punto che quando si tratta di distribuire lo sbarco di 49 persone intervengono sette Nazioni.