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Il voto di martedì 9 aprile

Israele: elezioni, il Likud pareggia, Netanyahu vince

11 Apr 2019 - Luca Ciampi - Luca Ciampi

Il 9 aprile si sono svolte in Israele le elezioni politiche anticipate cui hanno partecipato circa il 64,6% degli aventi diritto, con un’affluenza di circa l’ 1,1% in meno rispetto alla precedente tornata elettorale del 2015. Il popolo israeliano è stato chiamato alle urne per scegliere i partiti che formeranno il 35° esecutivo della storia dello Stato di Israele. Il governo uscente era formato da una coalizione di centrodestra, a guida del Likud, partito che fa capo all’attuale primo ministro Netanyahu e che raggruppa gran parte delle forze nazionaliste, ultra-nazionaliste e religiose ortodosse.

Partiti e coalizioni: i risultati
Israele si è avvicinato alle urne nell’incertezza se confermare l’attuale leadership oppure decidere per un cambiamento radicale, scegliendo la figura emersa in campagna elettorale alla guida del nuovo movimento centrista Blu e Bianco (l’ex capo dell’esercito nazionale, Gantz). Il clima di indeterminatezza ha trovato piene conferme nell’esito finale del voto che ha visto i due partiti principali, Likud e Blu e Bianco, conquistare 35 seggi a testa, su un totale di 120, assorbendo complessivamente circa il 59% dei voti.

Clamorosa la sconfitta della Nuova Destra di Bennet e Shaked che non è riuscito a superare la soglia di sbarramento (segno inequivocabile che la decisione di presentarsi come nuovo movimento laico nazionalista e non più religioso ha fatto perdere consensi), così come Gesher e Zehut. Anche il laburista Gabbay paga pesantemente la decisione di separarsi da Livni, perdendo 13 seggi rispetto alle precedenti elezioni.

In ottica coalizioni, quella guidata dall’attuale premier Netanyahu ha ottenuto la maggioranza con 65 seggi, mentre quella cui fa capo Gantz 45. Chiudono le due liste arabe che, nonostante il boicottaggio delle urne da parte dell’elettorato arabo, che ha fatto registrare solo il 40% di affluenza, si posizioneranno all’opposizione con 10 seggi.

Infine, sono solo 29 le donne che accederanno alla Knesset, dato che evidenzia uno scenario politico ancora marcatamente maschile.

Strategie e sfide future
Il risultato elettorale è lo specchio dell’espressione ideologica di un Paese a maggioranza ebraica dove la differenza l’hanno fatta i partiti a forte connotazione religiosa che rappresentano circa il 23% dell’elettorato. Il popolo israeliano ha scelto optando per la continuità ed affidandosi all’esperienza di un premier che è stato capace, nell’arco dei suoi mandati, di garantire un elevato livello di sicurezza abbinato ad un crescente benessere e ad un’eccellente abilità diplomatica, dimostrata dalle relazioni con attori statuali importanti, quali Stati Uniti e Federazione Russa.

Chiusi gli scrutini, il presidente della Repubblica, Rivlin, ha a disposizione 42 giorni per avviare le consultazioni con i leader che hanno superato la soglia di sbarramento ed assegnare l’incarico di formare il nuovo esecutivo, salvo clamorosi colpi di scena, a Netanyahu, in virtù del supporto garantito dal maggior numero di partiti che hanno guadagnato l’accesso alla Knesset.

La conferma del premier fornisce importanti indicazioni sulle strategie future che verranno adottate per affrontare le sfide che attendono Israele nel breve-medio termine. Ad iniziare dalle relazioni diplomatiche, dove sarà fondamentale cercare di mantenere il sostegno di quei Paesi che condividono la visione israeliana sull’Iran.

Contemporaneamente, sarà importante rispondere alle accuse di crimini di guerra delle Nazioni Unite ed alle pressioni esercitate dalla comunità internazionale per la riapertura dei colloqui di pace con la Palestina, ai quali Israele dovrà avvicinarsi in una condizione di vantaggio su temi connessi ai territori occupati (alla vigilia del voto Netanyahu ha annunciato l’intenzione di annettere parte degli insediamenti ebraici della West Bank) e Gerusalemme.

Un segnale importante in tal senso giunge da Brasile e Bulgaria che hanno annunciato la volontà di spostare le rispettive ambasciate nella Città Santa. La scelta segue quella degli Stati Uniti, partner sempre più fondamentale delle strategie israeliane alla luce delle dichiarazioni sull’annessione delle alture del Golan e della recente decisione di inserire la guardia rivoluzionaria iraniana nelle liste delle organizzazioni terroristiche.

In campo militare, saranno fatti decisi interventi di ammodernamento dei principali equipaggiamenti e sarà incrementato il dispositivo di difesa antiaerea, attraverso lo schieramento del nuovo sistema missilistico “Magic Wand – David’s Sling” (espressione dell’evoluzione tecnologica made in Israel, recentemente testato con successo) che garantirà una maggiore copertura del territorio, resasi necessaria dopo i recenti lanci di razzi provenienti dalla Striscia di Gaza e diretti contro la capitale.

Per l’economia, si punterà a mantenere costante la crescita del Paese, che da anni fa registrare un aumento del Pil al 3% su base annua, provando anche ad accrescere gli investimenti e gli accordi commerciali verso Paesi terzi, con particolare riferimento a quelli asiatici e del Centrafrica. Senza dimenticare i progetti per lo sfruttamento dei giacimenti off shore che renderanno Israele uno dei maggiori competitor nel campo dell’esportazione di materia prima energetica dell’area mediterranea.

Per gli affari interni, invece, la larga componente religiosa all’interno della maggioranza condizionerà inevitabilmente le scelte future. Sarà, pertanto, importante comprendere gli sviluppi in merito alla legge sulla connotazione ebraica dello Stato di Israele, provvedimento già approvato da tempo ma che non è stato reso ancora esecutivo. Parallelamente, continuerà l’espansione nei settlement in Cisgiordania mentre andranno valutate le intenzioni del premier sui benefici concessi agli ebrei ortodossi, così duramente contestati dagli elettori laici ma necessari per tener salda l’alleanza.

Tuttavia, il successo elettorale ottenuto da Netanyahu, giunto al quinto mandato (quarto consecutivo), potrebbe essere ribaltato dal giudizio che la corte prenderà in merito alle note vicende giudiziarie a suo carico. Una condanna del premier, infatti, modificherebbe inevitabilmente lo scenario politico e potrebbe portare alla nascita di una nuova maggioranza, molto probabilmente formata da partiti più moderati, che potrebbe modificare l’agenda di governo soprattutto in termini di politica interna, in ragione della maggior connotazione laica che assumerebbe la nuova alleanza, e difesa, dove verrebbe privilegiato un impiego più chirurgico dello strumento militare, specie nella lotta contro Hamas.