Israele: elezioni; Noura Erakat, palestinesi vivono in apartheid
“I cittadini palestinesi hanno detto chiaramente che oramai vivono in una condizione di apartheid. Con l’approvazione della legge ‘Israele Stato-Nazione degli Ebrei’, la rielezione di Netanyahu e la formazione di una coalizione di destra è chiaro che questo governo farà di tutto per creare uno Stato dove i cittadini si distinguono a seconda della loro religione e nazionalità”: lo dice ad Affarinternazionali Noura Erakat, attivista palestinese e avvocato per i diritti umani, parlando da Washington, dove insegna. La Erakat, autrice del libro ‘Giustizia per pochi: la legge e la questione palestinese’, ha lavorato come consigliere legale della Camera statunitense e come avvocato dei diritti dei rifugiati palestinesi alle Nazioni Unite.
Dopo aver vinto le elezioni, il premier Benjamin Netanyahu si prepara a guidare un governo di coalizione spostato nettamente a destra. Che impatto avrà tutto questo sui palestinesi?
Erakat – Per i palestinesi, che sono stati emarginati da qualsiasi decisione politica, non cambia molto. I palestinesi vivono in una vera e propria apartheid e questo nuovo governo è solo il proseguimento di quello che è stato fatto fino ad adesso. C’è chi dice che questo governo sarà peggio. È uscito, per esempio, che Netanyahu, per garantirsi l’applicazione della legge che seppellirebbe, una volta per tutte, le accuse di corruzione di cui è incriminato, avrebbe promesso a Bezalel Smotrich, presidente dell’Unione Nazionale di partiti di destra, che garantirà l’applicazione dell’ ‘accordo del secolo’ di Trump. Accordo che dichiarerebbe la sovranità di Israele sui territori occupati e la garanzia che nessun colono sarà evacuato. Ma, facendolo, Netanyahu non perde nulla: sono politiche totalmente in linea con il suo governo precedente. E d’altronte, durante la campagna elettorale, è stato molto chiaro: ha promesso che annetterà alcune aree della Cisgiordania, che non rimuoverà gli insediamenti, e che non ci sarà mai uno Stato palestinese.
Si può quindi dire che oramai la soluzione dei due Stati è impossibile da realizzare?
Erakat – La soluzione dei due Stati è morta da tempo. Ed è pazzesco che Israele possa fare qualsiasi cosa e che si continui a parlare della soluzione dei due Stati. E questo perché nessuno è pronto ad ammettere che dal Mediterraneo al Giordano c’è un unico sovrano che è Israele, che governa tutti sotto un’unica giurisdizione che esclude circa sei milioni di palestinesi dalla possibilità di votare ma include la possibilità di controllare la loro vita. Tutti coloro che fanno finta che la soluzione dei due Stati possa ancora essere possibile sono complici di questa farsa e di questa apartheid che è ammessa solo perché si tratta di Israele.
La campagna elettorale è stata molto violenta, con toni spesso razzisti da parte dei gruppi di destra. Inoltre, ci sono stati molti avvenimenti recenti significativi, come il varo della legge ‘Israele Stato-Nazione degli Ebrei’, il riconoscimento da parte degli Usa di Gerusalemme come capitale di Israele, etc… Nonostante tutto, il tasso di partecipazione degli arabi alle elezioni è diminuito. Come lo spiega?
Erakat – Con la sfiducia e la consapevolezza che il loro voto non conta. Da una parte l’opzione di un governo guidato da Gantz non è mai sembrata una vera alternativa perché in definitiva non avrebbe cambiato le sorti dei palestinesi, nonostante sia un guerrafondaio meno radicale rispetto a Netanyahu.
Dall’altra parte c’è stato un vero e proprio boicottaggio del voto che è stato frutto di una decisione molto discussa in Israele nella comunità di votanti arabi. Per alcuni si trattava di boicottare il voto perché delusi dalla scissione tra i partiti arabi, che invece si erano presentati insieme nel 2015 nella Lista Comune. Altri hanno deciso di non votare per esprimere il loro dissenso e la loro consapevolezza che tanto il loro voto non conta assolutamente nulla e la cosa più significativa che posso fare è non votare.
Con l’esito di queste elezioni il messaggio dei cittadini israeliani è molto chiaro. Inoltre, con Trump e l’ascesa dei partiti di estrema destra in Europa, il futuro dei palestinesi sembra privo di qualsiasi possibilità di riscatto. Lei invece crede che nonostante tutto ci sia ancora qualche speranza e opportunità di creare un’alternativa o una contro-rivoluzione in Israele?
Erakat – No. Per i palestinesi l’unico aiuto può venire solo dall’esterno. I cittadini palestinesi hanno detto chiaramente che oramai vivono in una condizione di apartheid. Con l’approvazione della legge “Israele Stato-Nazione degli Ebrei”, la rielezione di Netanyahu e una coalizione di governo di destra è chiaro che questo governo farà di tutto per creare uno stato dove i cittadini si distinguono a seconda della loro religione e nazionalità. Secondo gli israeliani l’uguaglianza non esiste: Israele appartiene solo a loro. L’unico aiuto può venire dall’esterno: i palestinesi sanno che da soli non possono cambiare le cose. E infatti non è un caso che subito dopo le elezioni, la difesa dei diritti dei palestinesi è venuta da fuori, ovvero da una serie personalità straniere che chiedono a Madonna di boicottare il contest Eurovision che si terrà a Tel Aviv.
Negli ultimi anni, il conflitto Israele-Palestinese è passato in secondo piano nel mondo arabo. Si può dire lo stesso degli Stati Uniti?
Erakat – La cosa interessante è che quello che negli Stati Uniti è successo esattamente il contrario. Il dibattito non è mai stato così acceso. Il fatto che Trump sostenga le politiche di destra di Netanyahu, ha reso il dibattito molto più acceso rispetto rispetto a quello che poteva esserci durante la presidenza Obama. Storicamente si trattava di una questione bipartisan; oggi invece è molto più probabile che se sei un democratico non sostieni Israele, mentre se sei un repubblicano sì.
Le statistiche lo dimostrano: il 70% dei repubblicani sostiene Israele, mentre solo il 27% dei democratici lo sostiene. Questo è solo uno degli esempi che ci dimostra che l’alleanza Trump-Netanyahu, rispetto a quello che potrà succedere in Israele, avrà un impatto molto più profondo negli Stati Uniti.