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Dopo il Grand Débat National

Francia: Macron, Savonarola e i gilet gialli

29 Apr 2019 - Giovanni Faleg - Giovanni Faleg

Firenze, 1494. A seguito della spedizione militare in Italia di Carlo VIII, una rivolta popolare ispirata dal frate domenicano Girolamo Savonarola caccia dalla città Piero de’ Medici – accusato di non aver opposto resistenza alla discesa del re francese – ed instaura una repubblica teocratica. L’esperimento repubblicano fu di breve durata: nel 1498, i nemici di Savonarola riuscirono a isolarlo e processarlo, anche a seguito della scomunica da parte di papa Alessandro VI, che accusò il frate di eresia. Il 23 maggio 1498, Savonarola fu condannato a morte e arso sul rogo in Piazza della Signoria. Nell’impossibilità per i Medici di recuperare il potere, il titolo di gonfaloniere fu allora affidato a Piero Soderini, che avrebbe guidato un governo più moderato al fine di cercare conciliazione fra le diverse fazioni cittadine.

L’operato di Savonarola giocò un ruolo fondamentale nella creazione della Repubblica fiorentina. I seguaci del frate, detti “piagnoni”, predicavano il ritorno ad una ferrea religiosità medievale, imponendo la necessità di fare penitenza e deplorando i vizi e la corruzione dei costumi. Si bruciavano allora libri ritenuti non in linea con l’ordine morale cristiano. Savonarola e i piagnoni erano sostanzialmente dei fanatici, schierati assieme ad altre fazioni fiorentine (quali gli arrabbiati e i compagnacci) contro i Medici. Il loro successo fu dovuto alla solidarietà nei confronti delle esigenze e sofferenze della parte più povera della popolazione, che abbracciò la rivolta del 1494.

Parigi, 2017. Emmanuel Macron viene eletto presidente della Repubblica in Francia, grazie ad una strabiliante ascesa politica con la creazione del movimento En Marche. Il 7 maggio 2017, al secondo turno delle elezioni presidenziali, Macron ottiene circa il 66% dei voti, battendo la candidata del Front National, Marine Le Pen (ferma al 33%). La Francia diventa il baluardo del liberalismo sociale e dell’europeismo, in un’Europa assediata da movimenti populisti e sovranisti. Il nuovo presidente ha 39 anni, il più giovane nella storia repubblicana. Ma la luna di miele con il popolo francese dura poco.

La rabbia e l’orgoglio
Nell’ottobre 2018, la proposta del governo di aumentare la Taxe intérieure de consommation sur les produits énergétiques (Ticpe) genera proteste, manifestazioni e blocchi stradali in tutta la Francia. I manifestanti si organizzano sui social media e utilizzano i giubbotti gialli di sicurezza come simbolo comune. Il primo atto del 17 novembre 2018, è e rimarrà quello con il più alto numero di manifestanti (288.000 secondo le stime del ministero dell’Interno). Ma il fenomeno gilets jaunes comincia presto a caratterizzarsi per regolarità (ogni sabato, senza eccezioni, salvo una breve pausa a seguito dell’incendio di Notre Dame del 15 aprile 2019) e per gli episodi di violenza.

La reazione delle autorità francesi è schizofrenica. In un primo momento, Macron si rifiuta di cedere ai ricatti della piazza, chiarendo che il governo non farà passi indietro sulla tassa sui carburanti. Ma il 4 dicembre, il premier Edouard Philippe annuncia una moratoria di 6 mesi sulla stessa tassa, a cui fa seguito l’Eliseo il giorno successivo eliminandola dal progetto di bilancio per il 2019. Il 10 dicembre, all’indomani del quarto week-end di protesta, Macron tiene un discorso alla nazione di 13 minuti, il più importante del suo mandato. Un tentativo di evitare l’atto V dei gilets jaunes, a fronte dell’intensificarsi di manifestazioni violente a Parigi, Bordeaux e Tolosa. Il discorso di Macron, seguito da 23 milioni di persone, prevede misure importanti per il potere d’acquisto, fra cui l’aumento del salario minimo (Smic) di 100 euro al mese dal 2019, ed il congelamento della contribution sociale generalisée (Cgs) per i pensionati più poveri.

Macron - Eliseo
Il presidente Macron all’Eliseo(© Julien Mattia/Le Pictorium Agency via ZUMA Press)

Viene inoltre proposto un grande dibattito nazionale su alcuni temi chiave (transizione ecologica, fisco, servizi pubblici e democrazia) con sindaci e rappresentanti dei territori. Il grand débat national viene ufficialmente lanciato il 15 gennaio scorso. Molti critici parlano di una mossa opportunista, che garantisce al presidente della Repubblica una formidabile vetrina in vista delle elezioni europee di maggio.

Ma la piazza non si placa. Gli Champs Elysées a Parigi diventano un campo di battaglia, teatro di una guerriglia urbana che non sembra fare sconti ai timidi tentativi dell’esecutivo di giungere a una tregua. Il 17 marzo, l’atto XVIII mette letteralmente a ferro e fuoco la capitale francese, mutilata e umiliata agli occhi del mondo. L’opposizione e la società civile denunciano l’incompetenza dell’esecutivo e chiedono misure di contenimento più efficaci. A peggiorare la situazione, il gioco diabolico delle percezioni: mentre Parigi veniva saccheggiata, Macron stava trascorrendo un weekend sugli sci a La Mongie, sui Pirenei. Con la pressione che aumenta, il presidente è costretto a cambiare approccio. Il conto, del resto, è salato: i danni ammontano a 170 milioni di euro dall’inizio delle proteste.

L’urlo dei disperati, lo scetticismo della maggioranza
Le manifestazioni in diversi quartieri delle città francesi, fra cui gli Champs Elysées, vengono proibite; il prefetto di Parigi viene sostituito; aumentano le multe per la partecipazioni a manifestazioni non autorizzate; le misure per il mantenimento dell’ordine vengono rafforzate. Crea un dibattito acceso, e una valanga di critiche, la mobilitazione delle Forze armate per proteggere alcuni siti sensibili. È la prima volta dal 1948 che i militari vengono dispiegati sul territorio francese, se si esclude l’Operation Sentinelle, attivata nel 2015 per la lotta contro il terrorismo.

Ed è qui che comincia a sgretolarsi la pace sociale francese. In piazza, il popolo dei dimenticati, delle classi lavoratrici e medie soffocate dalle riforme fiscali e dalle crisi economiche continua a scagliarsi contro il governo, esponendosi all’infiltrazione di elementi violenti e radicali. Un movimento eterogeneo, incontrollabile, rivoluzionario, la cui ala politica, Les Emergents, fondata da Jacline Mouraud, stenta a decollare e non si presenterà alle elezioni europee, rinviando la prima uscita alle elezioni municipali del 2020.

Nel resto del Paese, la maggioranza silenziosa, quella che non scende in piazza, si mostra perplessa ed insicura, scettica nei confronti di un presidente la cui visione liberale si contra con la dura realtà politica: a poco serve difendere la transizione energetica, quando il Rassemblement National (nuova etichetta del Front lepenista) cresce nei sondaggi e la Francia è messa a ferro e fuoco. In vista delle elezioni europee, la Renaissance annunciata da Macron e dai militanti di En Marche sembra un miraggio: la Francia è in pieno medioevo.

Le misure annunciate dell’Eliseo
Si arriva così al 25 aprile. Macron presenta i risultati del grand débat, nella speranza di festeggiare presto la liberazione dai gilets jaunes. Si propone, in particolare, l’inserimento del 20% di sistema proporzionale all’Assemblea nazionale; l’abbassamento a 1 milione di firme per indire il referendum à l’initiative du people (Rip); un nuovo atto di decentralizzazione e una profonda riorganizzazione della pubblica amministrazione, che il governo presenterà a maggio, fra cui la soppressione dell’Ecole Nationale d’Administration (Ena), organismo elitario di formazione della classe dirigente francese – fra cui la stragrande maggioranza dei presidenti della Repubblica -; 5 miliardi di abbassamento della tassa sul reddito; riforma della patrimoniale entro il 2020; pensione minima a 1000 euro.

E mentre i partner europei (tranne forse gli italiani) si mettono le mani nei capelli pensando al debito pubblico francese, arriva la stangata di Macron ai suoi concittadini: si chiede infatti di compensare l’abbassamento delle tasse con un aumento delle ore di lavoro, riassunto nello slogan travailler davantage. Non è la prima volta che la Francia rimette in discussione le 35 ore. D’altronde, la pace sociale ha un costo: se non si possono alzare le tasse, ed assumendo dei vincoli di debito, le due strade sono l’aumento del tempo di lavoro, o la riforma delle pensioni. Due argomenti esplosivi, praticamente come spegnere il fuoco con la benzina. Tutto questo avviene a meno di un mese dalle elezioni europee, nel Paese che viene considerato uno dei due motori del processo di integrazione europea.

Che futuro attende la Francia? L’esperienza della Repubblica di Savonarola ci insegna che la frustrazione popolare vuole cacciare il potere più che vedere realizzate le proprie rivendicazioni; e che il potere si cede o si perde, ma forse si può, in certe condizioni, condividere? I Medici persero il potere per effetto della rivolta popolare, recuperandolo indirettamente attraverso la nomina del Soderini, uomo imparziale che agli occhi della popolazione avrebbe agito nell’interesse di tutti, e non di una sola famiglia. Sono tempi difficili, ma in qualche modo bisognerà pure uscirne, cercando di limitare i danni.

Foto di copertina © Louai Barakat/IMAGESLIVE via ZUMA Wire