IAI
Un'analisi preoccupata

Difesa: Italia, spese in gestione confusionale, allarme rosso

23 Apr 2019 - Michele Nones - Michele Nones

La gestione governativa delle spese per la difesa sembra essere ormai precipitata in uno stato confusionale. La brutta, ma limitata, abitudine italiana di non rispettare nessuna scadenza (e nessun impegno) si è estesa e radicata al punto dal non provocare quasi nessuna reazione, nemmeno fisiologica.

Il “decreto missioni” con cui si definiscono gli interventi militari all’estero è scaduto a fine anno scorso e, quindi, tutte le attività si svolgono formalmente in regime di proroga senza copertura finanziaria.

Il “decreto per l’industria aeronautica” che determina i finanziamenti per la ricerca tecnologica civile previsti dalla legge 808/85 è stato annunciato dal ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio il 19 febbraio, ma se ne sono perse le tracce. Così come di quello per i programmi militari, preannunciato nella stessa occasione come prossimo all’emanazione.

Il “fondo per gli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese”, istituito dalla legge di bilancio 2017 e finanziato nel 2018 con 36 miliardi di euro in sedici anni, sembra finito nel “porto delle nebbie”, insieme agli altri finanziamenti del Ministero dello Sviluppo economico con i quali si stanno acquistando i principali sistemi d’arma delle Forze Armate (leggi 321/96, 266/97, 266/05, 147/13).

Il “Dpp – documento programmatico pluriennale 2018-2020” è stato presentato dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta a ottobre e ha rappresentato un vero e proprio ‘libro dei sogni’, visto che non ha tenuto conto dei tagli preannunciati dal Governo fin dal suo insediamento e poi precisati nella legge di bilancio 2019 presentata contemporaneamente e poi approvata a fine anno. Teoricamente il nuovo Dpp 2019-2021 dovrebbe essere presentato alla fine di questo mese di aprile e là, forse, si capirà qualcosa di più su cosa davvero vuole fare quest’anno il Governo.

Il ritardo italiano
Nel frattempo, negli incontri internazionali (quelli bilaterali con il governo americano e quelli Nato), si cerca di nascondere non solo i mancati passi avanti italiani verso l’obiettivo del 2% del Pil per le spese di difesa entro il 2024, ma anche i passi indietro. Così il ministro della Difesa Trenta ha proposto di includervi anche le spese per la sicurezza cibernetica e per quella delle infrastrutture civili utilizzabili a fini militari.

Con un duplice brillate risultato nell’improbabile caso venisse condiviso: dover alzare l’asticella (annacquando, inoltre, le spese militari e svalutando la loro specificità ed essenzialità) e mantenere, se non aumentare, il distacco italiano (perché di sicuro non siamo ‘virtuosi’ nemmeno in questi campi).

In ogni caso siamo riusciti a perdere un ulteriore pezzetto di credibilità: chi non rispetta gli impegni ed è rimasto alla casella di partenza non è certamente nella migliore condizione per proporre nuove regole del gioco a metà partita. Difficile non far pensare che si stia sollevando un po’ di fumo per nascondere le proprie inadempienze. Se si pensa che dopo cinque anni dalla decisione assunta da tutti i Paesi Nato e a cinque dalla scadenza, le spese italiane per la difesa sono ufficialmente all’1,15% (ma in realtà all’1,02%), dovremmo quasi raddoppiarle, aumentandole in media del 15% all’anno. Considerando la situazione economica e finanziaria italiana, questo obiettivo è semplicemente ridicolo, a meno che, mantenendo costanti le spese e perseguendo la ‘decrescita felice’, si punti a far diminuire il denominatore invece che aumentare il numeratore.

I programmi di investimento
Il fatto che analoga confusione e incertezza coinvolga l’intera attività o inattività governativa non consola. Forse in altri settori le conseguenze possono avere un impatto negativo più limitato. Ma quando è in gioco la difesa e la sicurezza e l’immagine internazionale del nostro Paese, bisogna essere seriamente preoccupati.

I programmi per sviluppare e acquisire nuovi più moderni ed efficienti equipaggiamenti militari hanno una vita media di venti anni (e di altrettanti per il mantenimento e l’aggiornamento). Questo vuol dire che i ‘salti generazionali’ dei sistemi d’arma lo sono anche per quanti li dovranno utilizzare. Le scelte di oggi riguardano soprattutto i giovani cittadini e militari di oggi: i decisori di oggi hanno devono chiarire se vogliono lasciar loro in eredità un Paese più sicuro o no. E non lo sarà se alleati e potenziali avversari avranno a disposizione mezzi tecnologicamente superiori.

Oltre che preoccuparsi per la ‘sovranità’ sul piano politico, ci si dovrebbe preoccupare anche per quella sul piano tecnologico. Non ci può essere nemmeno un minimo di autonomia se si dipende completamente dagli altri Paesi più avanzati. L’Italia ha fino ad ora mantenuto solo alcune capacità tecnologiche e industriali nei settori avanzati, fra cui alcune parti dell’aerospazio, sicurezza e difesa. Se non si garantisce la stabilità e la visibilità dei finanziamenti, rischiamo di perderle.

Tanto più quando, come ormai avviene in quasi tutti i programmi militari più importanti, possiamo portarli avanti solo attraverso collaborazioni internazionali: il potere prendere impegni e saperli mantenere è una condizione indispensabile. I programmi in fase di avvio a livello europeo, grazie ai co-finanziamenti dell’Unione Europea, richiedono la messa a disposizione di nuovi fondi nazionali nel quadro di una chiara politica industriale nel campo della difesa. Se no, si resta inevitabilmente fuori. Quando poi non si rispettano nemmeno gli impegni già presi e si rimettono in discussione i programmi internazionali avviati (come continua ad avvenire per il velivolo F35 e per il sistema missilistico Camm-Er), la frittata è completa.

E così si rischia di compromettere anche il futuro di migliaia di giovani ingegneri e tecnici che, invece, potrebbero contribuire a mantenere l’Italia fra i Paesi tecnologicamente e industrialmente avanzati.

Tutto questo, oltre tutto, in contrasto con l’apparente volontà del Governo di rilanciare gli investimenti per porre riparo all’evidente raffreddamento dello sviluppo, se non alla crisi. Non si vede come le imprese del settore possano realizzare nuovi investimenti ed assunzioni senza avere la minima certezza sui programmi della Difesa. Altro che legge sessennale per gli investimenti della Difesa: qui non abbiamo nemmeno una programmazione semestrale.

La trasparenza
Un’ultima osservazione va fatta sulla sempre maggiore mancanza di trasparenza dei dati sulla spesa militare italiana e, in particolare, sugli investimenti. A quattro mesi dall’inizio dell’anno nessuno sembra sapere, o, nel caso peggiore, dire quanto spenderemo realmente nel 2019 e come saranno ripartite le spese.

A rileggere le critiche mosse in passato da alcuni degli attuali esponenti governativi sull’opacità delle spese per la difesa viene da sorridere. Nessuno sembra in grado di rispondere alle più semplici domande sull’impiego delle risorse pubbliche: quanto, dove, quando, come?

Sarebbe bene che le Commissioni Difesa ribadiscano che un compito primario e costituzionale del Parlamento è quello di controllare l’azione del Governo. Sarebbe, quindi, auspicabile che venissero convocati i ministri responsabili perché chiariscano e spieghino al Parlamento e all’opinione pubblica cosa sta succedendo e cosa stanno combinando.