Xi a Roma: intesa Italia-Cina e immunità dalla giurisdizione
Non è certo la prima volta che il governo italiano sottoscrive un accordo bilaterale con la Cina. Nel maggio 2004, presso la commissione Esteri della Camera dei deputati si concludeva ad esempio la discussione in sede referente dell’atto 4811 “Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il ministero della Difesa della Repubblica italiana e il ministero della Difesa della Repubblica popolare cinese nel campo della tecnologia e degli equipaggiamenti militari, fatto a Roma il 26 febbraio 1999”.
Il testo, recante una vasta cooperazione nel settore della transazione di armamenti e tecnologie, però, non arrivò mai in Aula e non fu conseguentemente mai approvato.
Analogo accordo con connotati più operativi era stato firmato nello stesso anno tra le Difese dei due Paesi ed ebbe lo stesso esito del precedente.
A distanza di molti anni, i due accordi, sebbene calendarizzati anche in successive legislature, non hanno mai potuto concludere l’iter approvativo.
All’origine dello stallo delle ratifiche
Le ragioni emerse dai relativi dibattiti parlamentari sono asseritamente riconducibili all’embargo sulle armi vigente con la Cina sin dai tempi dei fatti di piazza Tienammen o alla questione della mancata osservanza dei diritti umani che periodicamente viene ribadita per i primati che il Paese tuttora mantiene nel settore.
Il vero problema è in realtà un altro ed è molto tecnico. L’accordo sottoscritto nel 1999 prevedeva l’istituzione di un Comitato misto, con funzioni di vigilanza sull’applicazione del testo, che si sarebbe dovuto incontrare periodicamente sia in Italia sia in Cina, Paese in cui vige la pena di morte e non solo per reati terribili come omicidio, banda armata, terrorismo o strage ma anche per fattispecie di minor pericolosità sociale quali corruzione, frode, truffa ai danni dello Stato, furto aggravato ed altri, ad esempio, nel campo della pirateria informatica.
Il numero annuale di esecuzioni è un dato non facilmente reperibile poiché coperto da segreto ma pare si aggiri intorno a diecimila unità l’anno. L’ultima modifica al codice penale ha aumentato le fattispecie punibili con la pena capitale ed ha introdotto l’esecuzione mediante iniezione letale considerata più umana rispetto alla fucilazione, procedura però mantenuta in alternativa.
La clausola di esclusione
Il nostro Paese, al pari degli altri Stati europei, all’interno degli accordi che prevedano l’invio di personale in un Paese in cui vige la pena capitale, è obbligato ad inserire una clausola che ne escluda l’applicazione ai propri cittadini qualora si rendessero responsabili di reati commessi sia nel contesto delle funzioni che al di fuori di esse.
Di fatto si tratta di una rinuncia alla sovranità giurisdizionale che alcuni Stati non accettano, anche perché una clausola di quel tipo non può avere il carattere della reciprocità, tipica degli accordi bilaterali, per ovvi motivi.
Solitamente in questo tipo di accordi si riesce ad ottenere una formula in base alla quale lo Stato inviante si avoca la giurisdizione per i crimini eventualmente commessi dai suoi funzionari sul territorio dello Stato di soggiorno, ma con la Cina non si è arrivati neppure a questo compromesso.
In anni più recenti, negoziazioni di accordi nel campo dell’aeronautica non sono potuti giungere neppure alla firma in quanto la posizione di quelle autorità non è cambiata. Al massimo vengono proposte formule che rimandano a soluzioni diplomatiche successive nel caso un nostro militare incorra in reati che prevedano la massima pena ma non è accettata alcuna deroga alla giurisdizione neppure per reati commessi in attività di servizio.
Una soluzione per il MoU sulla Nuova Via della Seta
È argomento di questi giorni la firma di un Memorandum of Understanding (MoU) recante una collaborazione tra i due Paesi in svariati settori nell’ambito della Nuova Via della Seta di Pechino, che inevitabilmente comporteranno anche scambi di personale. Per sua natura tecnica, un Memorandum non può però contenere clausole giurisdizionali poiché il testo entrerà in vigore alla firma e non verrà sottoposto a legge di autorizzazione parlamentare alla ratifica, obbligatoria quando si parla di giustizia.
Non si sa se le posizioni tenute sino ad ora nei confronti dei Paesi che mantengono in vigore la pena capitale nei loro ordinamenti siano improvvisamente mutate o se, più semplicemente, pur nell’imminenza della sottoscrizione del Memorandum il problema non sia stato ancora stato valutato. In ogni caso, per poter dare esecuzione ai contenuti del MoU l’unica soluzione consisterà nel munire il personale inviato in Cina per motivi istituzionali di passaporto diplomatico o di servizio e iscriverlo in lista diplomatica per garantirgli l’immunità dalla giurisdizione di quel Paese ai sensi della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche.
Foto di copertina © Ahmed Gomaa/Xinhua via ZUMA Wire