IAI
Verso un Mou sulla Nuova Via della Seta

Xi a Roma: il globalismo cinese fa tappa in Italia

19 Mar 2019 - Lorenzo Mariani - Lorenzo Mariani

Mancano pochi giorni alla firma del Memorandum d’intesa fra Italia e Cina, pietra dello scandalo che ha portato nelle scorse settimane Roma al centro del dibattito internazionale. Un endorsement ufficiale al progetto della Nuova Via della Seta che agli occhi degli osservatori internazionali andrebbe controcorrente rispetto agli interessi europei ed euro-atlantici. Diversi esponenti del governo italiano hanno tentato di rassicurare gli alleati circa la natura puramente commerciale del documento. Tuttavia, la Nuova Via della Seta a cui il governo fa riferimento, quella delle infrastrutture e degli accordi commerciali, ha da tempo lasciato il campo ad un vastissimo progetto cui si lega a doppio nodo l’intera politica estera di Pechino.

Non c’è più la Via della Seta di una volta
In principio erano la “Economic Belt along the Road” e la “21st century maritime silk road”, poi fu la volta della “One Belt One Road” (Obor) e della “New Silk Road”, infine fu il turno della “Belt and Road Initiative” (Bri). Dal momento in cui la visione del presidente cinese Xi Jinping per il rilancio internazionale della Cina è stata svelata al mondo sul finire del 2013, quella che oggi nel dibattito italiano viene identificata semplicemente come Nuova Via della Seta è stata al contempo tantissime cose ed una sola: un topos narrativo costruito da Pechino sotto cui far rientrare qualsiasi sua proiezione al di fuori dei confini nazionali. Nato come uno strumento di diplomazia periferica in ottica regionale, il progetto è stato dapprima esteso al supercontinente euroasiatico e in seguito a tutto il mondo finendo per diventare il simbolo del nuovo globalismo cinese. Un simbolo da contrapporre al recente protezionismo statunitense.

Quella che doveva essere una rivisitazione in chiave moderna della via carovaniera che collegava Oriente ed Occidente è oggi un progetto globale che dall’Africa si estende fino all’America latina, passando per i poli (Via della Seta Polare), senza risparmiare neanche il web (Via della Seta Digitale). Definire dunque la Nuova Via della Seta come un semplice progetto infrastrutturale o commerciale significa voler raccontare solo una parte della storia. Si tratta piuttosto di un progetto fluido, una piattaforma – come oggi preferisce descriverla Pechino – che si presta ad essere adattata in base al Paese a cui viene chiesto di partecipare o alla tematica che viene affrontata.

Una questione di comunicazione
Come diverse altre strategie politiche emanate dal governo centrale, la Belt and Road Initiative è di per sé un marchio con il quale Pechino promuove determinate iniziative economiche, politiche e sociali. La comunicazione politica cinese è infatti caratterizzata dall’utilizzo di slogan che servono da strumento al governo centrale per spiegare e veicolare ai cittadini un progetto politico: indicare la direzione verso la quale si intende portare il Paese senza soffermarsi sui dettagli. Non è una questione di mera propaganda ma un metodo comunicativo che riflette l’attribuzione dei ruoli nel processo di policy-making del Paese. Mentre gli alti rappresentanti della gerarchia politica nazionale indicano superficialmente la linea politica della Cina ed i suoi obiettivi, spetta ai quadri locali e alle imprese di stato sviluppare gli strumenti per convertire all’atto pratico tali precetti. Come spesso accade questa divisione di compiti porta alla creazione di più interpretazioni, a volte in contraddizione tra loro. Nel caso della Bri, subito dopo il lancio del progetto, la mancanza di una direzione centralizzata ha permesso alle amministrazioni provinciali cinesi di reinterpretare le linee guida del governo centrale per favorire i propri interessi locali. Un problema, questo, che Pechino è riuscita solo in parte ad arginare.

Ma il carattere vago della Bri e le diverse narrazioni che la circondano non hanno generato problemi soltanto all’interno del Paese. Un progetto infrastrutturale connettivo di questa portata, oltre a soddisfare i bisogni dell’economia cinese sarebbe potuto diventare uno strumento perfetto per proiettare un’immagine positiva della Cina nel mondo. Eppure, il risultato è stato esattamente l’opposto.

Gli sforzi di Pechino volti ad ammantare di un’aura positiva la Bri non sono riusciti ad impedire la diffusione di un forte scetticismo nei confronti dell’iniziativa. Come dimostra un recente studio pubblicato dal think tank Bruegel, persino nei Paesi in cui progetti legati alla “Belt and Road Initiative” sono già stati avviati, l’iniziativa cinese è vista positivamente solamente nella sua veste di veicolo per l’arrivo di capitali cinesi. La Cina non riesce a scrollarsi di dosso la sua doppia natura di ambìto partner elargitore di investimenti e al contempo di temuto competitor commerciale. Così come non riesce a far cadere i dubbi sul possibile utilizzo, in un futuro ancora lontano, delle infrastrutture realizzate in giro per il mondo come basi logistiche per il proprio esercito.

A peggiorare ulteriormente la situazione si aggiungono infine diverse esperienze fallimentari che hanno finito per fornire ai detrattori della Bri le prove dei rischi associati alla partecipazione all’iniziativa cinese. Ne è un esempio il caso di “trappola del debito” che ha coinvolto lo Sri Lanka, con il governo di Colombo che si è visto costretto a dare in concessione alla China Merchants Port il porto di Hambantota per 99 anni a causa dell’impossibilità di sostenere il debito contratto per la sua stessa realizzazione.

Un approccio razionale ai rapporti con Pechino
La Nuova Via della Seta non gode certo di un’ottima fama, ma il sostegno formale dell’Italia fornirà a Xi una vittoria simbolica da poter sfruttare nel 21° vertice Unione europea-Cina e nel prossimo incontro con il presidente statunitense Donald Trump, due eventi di rilievo in programma per il prossimo aprile. Archiviata la visita di Xi e la firma dell’intesa, ormai inevitabili, l’Italia farebbe bene a dimenticare per un attimo la retorica cinese di un grande revival della Via della Seta e pensare a sviluppare una politica estera di lungo periodo che miri a stabilire il futuro dei rapporti con la Cina in ambito sia bilaterale sia multilaterale.

La tensione tra Washington e Pechino al momento distorce fortemente la discussione in merito a quale approccio avere nei confronti della Cina, e nel caso italiano il dibattito tende ad essere influenzato anche  delle diverse fratture che compongono lo scenario politico del Paese. Scegliere in concerto con i propri alleati le giuste modalità con cui interagire politicamente ed economicamente con Pechino presenta numerose sfide; tuttavia questo non deve per forza ridursi in uno scontro tra fazioni.

Foto di copertina © Xinhua via ZUMA Wire