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Firma della Dichiarazione di Santiago

Prosur: nuovo modello di integrazione per l’America Latina

29 Mar 2019 - Emanuele Torre - Emanuele Torre

Il 22 marzo scorso nel palazzo presidenziale cileno della Moneda è stata firmata la Dichiarazione di Santiago che ha sancito la nascita del Foro para el progreso de America del Sur, il Prosur. I Paesi fondatori del nuovo organismo sono Argentina, Cile, Brasile, Colombia, Ecuador, Perù, Paraguay e Guyana, i cui presidenti hanno aderito alla dichiarazione proposta nella capitale cilena. Il presidente cileno Sebastian Piñera, che è stato anfitrione in occasione della riunione costitutiva del Prosur, è stato designato come primo presidente pro tempore dell’organizzazione. Alla prima presidenza – che durerà dodici mesi – seguirà quella paraguayana.

Bolivia, Uruguay e Suriname, pur avendo partecipato alla redazione della Dichiarazione di Santiago, non hanno firmato il documento. I tre Paesi astenutisi sono intervenuti all’incontro rappresentati non dai rispettivi presidenti, ma da alti funzionari.

Il presidente Piñera ha dichiarato due dei principi fondamentali del nuovo organismo internazionale, la “flessibilità” in termini strutturali e “l’assenza di ideologia” in termini politici. L’obiettivo è quello di promuovere uno “spazio regionale di coordinamento e cooperazione” per creare un’integrazione più forte in America del Sud. La stessa dichiarazione stilata il 22 marzo afferma la gradualità e la progressività nello sviluppo del nuovo organismo, che si propone di garantire dei meccanismi decisionali agili e rapidi.

Uno spazio regionale per succedere all’Unasur
Il Prosur, nelle intenzioni dei membri fondatori dovrebbe sostituire l’Unione delle nazioni sudamericane, la Unasur, fondata nel maggio del 2008 su iniziativa degli allora presidenti di Venezuela e Argentina, Hugo Chávez e Nestor Kirchner. Il proposito non sarà facile da realizzare, se si considera che la Unasur alla sua creazione era forte della partecipazione di dodici Stati fondatori, firmatari del Trattato costitutivo di Brasilia.

Nello specifico, il Prosur si propone di munirsi di una struttura più flessibile della Unasur. Quest’ultima infatti consta oltre che di un presidente in carica annualmente, anche di un Parlamento e di un segretario generale il cui mandato dura due anni e che rappresenta la figura esecutiva dell’Unione. In questa fase, la creazione del Prosur approfitta proprio della crisi che la Unasur sta soffrendo dal gennaio del 2017, dovuta alla mancanza di consenso sulla nomina del diplomatico argentino José Octavio Bordón alla segreteria generale.

L’Unione delle nazioni sudamericane riunisce inoltre entrambe le organizzazioni doganali regionali, il Mercosur e la Comunità Andina (Can). E proprio la Dichiarazione di Santiago si propone di ridimensionare, o almeno di modificare, il mercato comune del Sudamerica (di cui sono parte tutti i Paesi promotori del Prosur meno la Guyana).  Da un lato già durante la riunione bilaterale tenutasi a gennaio a Brasilia i leader argentino e brasiliano Macri e Bolsonaro avevano deciso di lavorare insieme per modernizzare il Mercosur e promuovere la creazione di uno spazio d’integrazione regionale che fosse “più adatto alle sfide del ventunesimo secolo”.

Dall’altro, la presidenza boliviana ha comunicato, poco prima lo svolgimento della riunione di Santiago, che la Unasur continua ad essere vigente nonostante i problemi e che nel caso l’Ecuador valutasse un cambio della sede di Quito, la stessa Bolivia offrirebbe come sede del Parlamento dell’Unasur la città di Cochabamba. La nuova organizzazione contribuisce dunque a determinare una sovrapposizione di organismi regionali. Con il tempo si vedrà effettivamente quali saranno destinati a perdurare e a influire sul panorama politico-economico in America del sud.

Sullo sfondo, la disputa sul Venezuela
Nonostante la dichiarazione di neutralità ideologica affermata da Piñera e ribadita dal presidente colombiano Iván Duque, è molto difficile non vedere nella fondazione del Prosur un nuovo capitolo della disputa ideologica che attraversa l’America del Sud. Sette degli otto paesi firmatari la dichiarazione di Santiago fanno parte del Gruppo di Lima, che si è apertamente dichiarato oppositore del governo di Nicolás Maduro in Venezuela e che a febbraio ha accolto il governo dell’autoproclamato presidente dell’Assemblea nazionale Juan Guaidó.

Bolivia e Uruguay, che hanno partecipato alla redazione della Dichiarazione di Santiago ma si sono astenuti dal firmarla, non solo non fanno parte del Gruppo di Lima ma differiscono quanto alla linea da seguire in relazione alla crisi venezuelana. La Bolivia  conserva una posizione favorevole a Maduro e l’Uruguay, insieme al Messico, ha sempre optato per una politica del dialogo nei confronti del governo di Caracas.

Un forum per la svolta a destra
La Dichiarazione di Santiago ripropone dunque la polarizzazione che si è definita in relazione alla questione venezuelana. Lo stesso presidente Piñera il 22 febbraio si era recato a Cúcuta, alla frontiera tra Colombia e Venezuela, per esprimere il proprio appoggio a Guaidó, dichiarando che Maduro aveva i giorni contati. Sembra improbabile, dunque, che fino a quando la crisi in Venezuela non si sarà conclusa le relazioni internazionali in America Latina possano non avere una matrice politico-ideologica. Anche se la partecipazione di Uruguay e Bolivia alla riunione di Santiago del Cile rappresenta comunque un’apertura, probabilmente anche in previsione delle nuove sfide elettorali del 2019.

La rinuncia a firmare la dichiarazione fondamentale del Prosur da parte di Bolivia ed Uruguay, almeno per il momento, va riconosciuta come una chiara decisione politica. La Bolivia di Evo Morales e l’Uruguay del Frente Amplio restano infatti gli ultimi due Paesi rappresentanti di quello che potremmo definire come il ciclo progressista di inizio ventunesimo secolo a resistere ancora. E proprio nei due Paesi, oltre che in Argentina, questo 2019 si svolgeranno le elezioni presidenziali che potrebbero cambiare almeno in parte la fisionomia geopolitica dell’America del Sud. Se la situazione politica dovesse restare la stessa a La Paz e Montevideo, e Macri dovesse perdere le elezioni a Buenos Aires, il Prosur rischierebbe di vedersi delegittimato dal mancato apporto di questi Paesi all’organizzazione. In caso contrario, potrebbe davvero trasformarsi in un importante strumento della diplomazia multilaterale dei governi di destra nella regione.