Parlamento europeo: elezioni, l’Italia roccaforte del populismo
Le elezioni per il Parlamento europeo si avvicinano rapidamente. In questi giorni, nell’Unione è un fiorire di sondaggi e analisi sui possibili risultati elettorali. Fra gli altri, un gruppo di giornalisti del giornale tedesco Der Spiegel ha prodotto un’analisi dal titolo: 2019 l’anno del populismo. In effetti i partiti populisti e di estrema destra in Europa sono usciti dall’ombra. Oggi sono diffusi in quasi tutti i paesi dell’Ue. In alcuni casi governano, come nell’Ungheria di Orbàn o nella Polonia di Kaczynski, in altri sostengono governi di coalizione, come il neofascista Heinz-Christian Strache nell’Austria di Sebastian Kurz, leader del partito popolare e primo ministro.
I sondaggi e il contributo dell’Italia all’euroscetticicmo
I sondaggi sulle intenzioni di voto, condotti con scadenza bimensile dallo stesso Parlamento europeo, segnalano in effetti la concreta possibilità che i partiti euroscettici raggiungano all’incirca i 250 seggi in un’Assemblea che sarà composta da 705 rappresentanti nazionali. Insomma, un terzo dei deputati dell’emiciclo di Strasburgo potrà essere di orientamento anti-Ue.
A questa inusuale e preoccupante percentuale l’Italia darà un sostanzioso contributo: la Lega di Salvini è data in netta crescita, dagli attuali 6 seggi a 28, il M5S da 14 a 21. Mentre il Pd che nel 2014 aveva stupito l’Europa con ben 31 seggi è dato oggi in calo a 14. Stesso destino per Forza Italia, dagli attuali 13 rappresentanti a 8. Per i due partiti di governo è però di fondamentale importanza costruire alleanze con analoghe forze politiche europee per riuscire ad incidere all’interno del Parlamento europeo e per meglio controllare la ‘odiatissima” Commissione’. Ma anche in questa particolare vicenda i destini di M5S e della Lega divaricano nettamente.
M5S, strada in salita. Più facile per Salvini
Per gli uomini di Di Maio la strada è davvero in salita. Oggi i 5 Stelle fanno parte di un gruppo pomposamente chiamato Europa della Libertà e della Democrazia Diretta (Efdd), che è stato però fondato da Nigel Farage, il promotore dell’uscita della Gran Bretagna dalla Ue (oggi ben 17 seggi) e che al proprio interno ha anche un rappresentante del partito neo-nazista tedesco AfD, dato oggi in crescita a 12 seggi.
Compagnia davvero poco raccomandabile e senza vera prospettiva, anche perché a seguito della Brexit gli inglesi non ci saranno più. Di qui la disperata ricerca da parte di Di Maio di futuri alleati, magari un po’ più presentabili. Peccato che in questa ansiosa ricerca il leader dei 5 Stelle abbia addirittura rischiato la rottura dei rapporti diplomatici con la Francia, andando ad incontrare i rappresentanti dell’ala più violenta dei Gilet Gialli. Rapida retromarcia e quindi nuovo tentativo di trovare alleati in quattro piccolissimi partiti di Croazia, Polonia, Finlandia e Grecia, tanto per fare una “foto di famiglia”. Davvero troppo poco, almeno per ora, dal momento che per formare un gruppo all’interno del Parlamento europeo ci voglio 25 membri da almeno 7 diversi paesi.
Più facile sembrerebbe la via che sta seguendo Matteo Salvini. Oltre alla ormai consolidata amicizia con Marie Le Pen, la leader dell’estrema destra francese, Salvini sta muovendosi a tutto campo per costruire il grande fronte dei partiti di ultra-destra europei, dall’austriaco Strache all’olandese Wilders. In ciò Salvini, a differenza di Di Maio, è facilitato dalla sua lunga esperienza di parlamentare europeo e dalla conoscenza diretta di molti leader continentali della destra. Così egli punta al bersaglio grosso, cioè a quegli interlocutori di destra che oggi governano: il primo ministro ungherese, Viktor Orbàn, e il capo del partito polacco di governo (PiS), Jaroslaw Kaczynski. Di qui le visite a Budapest e a Varsavia per creare un solido legame con l’obiettivo di cambiare l’Unione e cacciare a casa l’attuale Commissione. In realtà le cose non sono così semplici.
Strategie dei populisti dell’Unione
La strategia dell’antidemocratico Orbàn, che paradossalmente è ancora membro del Partito Popolare Europeo (Ppe), il Partito europeo in cui siede anche la Merkel, non è di abbandonare il Ppe per una nuova formazione, ma di trascinarlo sempre più a destra. In ciò Orbàn, malgrado i recenti tentativi di estrometterlo, trova silenziosi ma solidi alleati nei cristiano-democratici della Baviera, nel premier austriaco Kurz, anche lui nel Ppe, oltre che nei partiti di centro in Croazia, Slovenia e perfino in Forza Italia. Insomma, difficile che Orbàn voglia fare un salto nell’ignoto assieme a Salvini.
Similmente in Polonia il partito di Kaczynki, che nel Parlamento europeo è membro del gruppo dei Conservatori e Riformisti, vede la possibilità, con l’uscita degli inglesi dal medesimo gruppo, di divenire il leader assoluto dei futuri conservatori europei. Anche in questo caso, quindi, è difficile che le probabili fortune elettorali della Lega possano intersecarsi con quelle del leader polacco.
Certo, le forze di estrema destra e i populisti riusciranno, come sopra ricordato, ad avere una notevole affermazione nella futura Assemblea di Strasburgo e a cercare tutte le possibili strade per rovesciare in senso nazionalistico la natura sovranazionale dell’Ue. Anche se poi, nella realtà, le politiche concrete di questo variegato e fino ad oggi frammentato fronte non sono per nulla condivise, a cominciare dall’immigrazione con il rifiuto dei partner di Salvini di accogliere anche un solo immigrato nei loro rispettivi Paesi.
L’Italia un elemento di punta del populismo
Comunque vadano le cose, va constatato come l’Italia di oggi venga considerata in Europa elemento di punta nella schiera dei populisti e dell’estrema destra. Un primato davvero stupefacente e anche un po’ sconvolgente per un Paese che dal dopoguerra in poi ha contribuito con grande generosità allo sviluppo del processo di integrazione europea. Soprattutto fa specie l’allontanamento progressivo dai nostri tradizionali partner, Francia e Germania, con cui abbiamo sempre condiviso il progetto di Unione. Oggi si può davvero parlare di una specie di “Italexit politica” dal gruppo dei paesi che ancora considerano l’Ue come un valore e un obiettivo irrinunciabile.
Magari qualcuno può credere che così facendo l’Italia conti oggi di più in Europa. Ma l’isolamento in cui si trova il Paese dice esattamente il contrario. Le conseguenze non sono solo quelle di non partecipare più ai progetti per il futuro dell’Ue, ma anche di scontare conseguenze negative sia nel campo economico che in quello della nostra politica estera. Non è nel Dna originario del nostro Paese il rifiuto del progetto europeo e non è neppure nei nostri interessi. Ma sembra che il governo di oggi non sia di questo avviso.