Ue/Ungheria: il Ppe decide il destino del Fidesz di Orbán
Il premier ungherese Viktor Orbán fa mostra di non volere rinunciare alle sue battaglie nel confronto con il Partito popolare europeo, il Ppe. Orban si scusa per l’appellativo “utili idioti” da lui utilizzato in un’intervista rilasciata di recente alla Welt am Sonntag, riferendosi agli esponenti del Ppe favorevoli all’espulsione del suo partito Fidesz. Il premier spiega di avere fatto ricorso a una citazione di Lenin per criticare una certa politica e non certi politici.
Scuse non sufficienti e divergenze persistenti
Le scuse, quindi, ci sono state, ma non appaiono sufficienti a smorzare le tensioni esistenti tra Ppe e Fidesz, che rischia l’espulsione dal novero dei popolari europei per la politica portata avanti dal governo ungherese di cui è partito guida. Orban riconosce che le divergenze esistenti su temi come migranti, preservazione della cultura cristiana e futuro dell’Europa non sono un mistero. Divergenze che non sembrano facilmente superabili, anche per ammissione del candidato del Ppe alla presidenza della Commissione europea, il tedesco bavarese Manfred Weber, che, pure, non considera le scuse del premier ungherese sufficienti a ripristinare la fiducia verso il Fidesz e i suoi dirigenti.
Europeismo vs sovranismo e punti di attrito
Il Ppe deve prendere una decisione mercoledì 20 marzo sulla posizione del partito leader dell’esecutivo magiaro: i popolari europei chiedono a Orbán di stabilire quale direzione prendere a titolo definitivo, se compatibile con i valori condivisi dai popolari europei o in senso contrario. L’europeismo del Ppe e il cosiddetto sovranismo di Fidesz appaiono due agende inconciliabili; finora le parti sono riuscite a stabilire dei compromessi ma da un po’ di tempo a questa parte la convivenza è diventata particolarmente problematica.
I popolari europei avevano posto tre condizioni: le scuse; la fine della campagna anti-europea con i manifesti recanti i volti di George Soros e Jean-Claude Juncker in giro per città e strade del Paese; e la permanenza a Budapest della Central European University, la Ceu, di Soros. Qualcosa sembra si sia ottenuto rispetto ai primi due punti; sul terzo, Weber ha offerto una sponda menzionando la possibilità che la Baviera ospiti alcuni corsi della Ceu.
Margini di incertezza e possibili alternative
Al di là di tutto questo, però, la situazione del Fidesz nel Ppe appare precaria. Non è comunque detta l’ultima parola. Bisogna, infatti, fare i conti con le dinamiche che si inseriranno in questi giorni nel dibattito interno ai popolari europei o l’insorgere di possibili tendenze atte a evitare situazioni divisorie, anche nella prospettiva delle elezioni europee del prossimo maggio.
Orbán sottolinea, dal canto suo, le differenze esistenti fra il Ppe e il suo partito, ma non bisogna dimenticare l’opportunismo politico che lo caratterizza. Il sogno da lui accarezzato sarebbe quello di riformare il Partito popolare europeo in senso conservatore e nazionalista, ma il suo intuito di uomo politico attento alle convenienze dovrebbe consentirgli di verificare la fattibilità di tale operazione che sembrerebbe attualmente tutt’altro che semplice.
Ci sono comunque voci secondo le quali Orbán starebbe riflettendo anche su collocazioni alternative al Ppe per il suo Fidesz e sarebbe propenso a discutere con il partito governativo polacco Diritto e Giustizia (PiS), in caso di espulsione dai popolari europei. Per sua ammissione, il premier preferirebbe restare nel Ppe, ma se ciò non fosse possibile troverebbe nel PiS, sempre secondo le sue affermazioni, l’interlocutore preferenziale.