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Trent'anni al potere

Kazakhstan: fine era Nazarbayev non porta la democrazia

27 Mar 2019 - Eleonora Febbe - Eleonora Febbe

L’ultimo leader sovietico è in pensione da una settimana, ma ha già una capitale che porta il suo nome. Accade in Kazakhstan, dove Nursultan Nazarbayev si è dimesso da presidente il 19 marzo, affidando la guida del Paese al presidente del Senato, Kassim-Jomart Tokayev, che ha assunto la carica di presidente ad interim fino alle prossime elezioni previste per aprile 2020. La prima azione da presidente di Tokayev è stata proprio l’annuncio del cambio di nome della capitale, da Astana a Nur-Sultan.

Da Astana a Nur-Sultan: l’omaggio al Primo Presidente
Il gesto di Tokayev rappresenta il culmine del culto della personalità di Nazarbayev, il padre della nazione. Astana, costruita negli Anni Novanta sulla cittadina sovietica di Tselinograd, è una vera e propria cattedrale del deserto, con futuristici grattacieli che svettano nel nulla della steppa. Soprattutto, è il simbolo di Nazarbayev e del livello di sviluppo raggiunto dal Kazakhstan, il Paese più prosperoso dell’Asia Centrale, durante i trent’anni della sua presidenza.

Nato da una famiglia poverissima nel 1940, Nazarbayev aveva scalato i vertici del partito comunista locale fino a essere nominato primo ministro della Repubblica Socialista Sovietica del Kazakhstan nel 1984 e poi presidente nel 1990. Fu riconfermato anche dopo l’indipendenza del Paese, ottenendo uno schiacciante 98% dei voti alle elezioni del 1991.

L’ipotesi che Nazarbayev, ormai 78enne, si dimettesse per lasciare campo a un successore a lui fedele e assicurare una continuità di governo era nell’aria da tempo: se ne parlava dalla morte del presidente uzbeko Islam Karimov nel 2016. Ciononostante, la notizia ha comunque colpito il Kazakhstan, un Paese in cui il 40% della popolazione ha meno di 25 anni e non ha mai vissuto sotto un altro presidente.

Nazarbayev: la stabilità viene prima della democrazia
Sono però i più anziani a provare timore e incertezza: ricordano bene la guerra civile e la povertà estrema nel vicino Tajikistan negli Anni Novanta. Due problemi che Nazarbayev era riuscito a evitare, tenendo a bada le tensioni interetniche tra russi e kazaki e sfruttando le ingenti risorse petrolifere del Paese per facilitare il passaggio a un’economia capitalista e assicurare al popolo un discreto livello di prosperità, soprattutto rispetto ai Paesi vicini.

Nazarbayev è pure riuscito a mantenere un certo equilibrio nelle relazioni con le varie potenze regionali e mondiali. Si è avvicinato a Mosca, entrando a far parte dell’Unione economica eurasiatica, ma anche alla Cina, che ha coinvolto Astana nella Nuova Via della Seta. Il tutto mantenendo buone relazioni anche con l’Occidente: nel 2015 fu firmato un accordo rafforzato di cooperazione e partenariato con l’Ue, nonostante le continue violazioni dei diritti umani.

Stabilità e ricchezza, infatti, hanno un prezzo; la libertà di stampa è pressoché inesistente – Reporters without borders classifica il Kazakhstan al 158° posto su 180 –, le elezioni non sono libere e ogni espressione di dissenso viene duramente pagata: è il caso di Maks Bokayev, un attivista che sta scontando una pena di cinque anni per avere partecipato a proteste pacifiche, nonostante gli appelli delle organizzazioni internazionali per il suo rilascio.

In questo contesto autoritario, la popolazione era diventata apatica e disinteressata alla politica. Almeno fino a che le dimissioni di Nazarbayev non hanno risvegliato un interesse nei più giovani, che per la prima volta hanno l’occasione di dibattere del futuro del Paese, anche attraverso i social media. Ed è proprio sui social che alcuni hanno espresso la loro indignazione per la decisione di cambiare il nome della capitale; una decisione che – anche per chi non ha mai conosciuto un altro presidente – rappresenta un eccesso nel culto della personalità.

Il futuro: quale Kazakhstan dopo Nazarbayev?
Le dimissioni di Nazarbayev porteranno a un sistema democratico nel Paese? E’ legittimo pensare che siano state attentamente pianificate per preservare il sistema politico attuale e salvaguardare la stabilità tanto cara al Primo Presidente. La scelta di Tokayev come successore – ha alle spalle una lunga carriera diplomatica ed è stato direttore generale dell’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra dal 2011 al 2013 – è un modo per acquisire rispettabilità agli occhi del mondo, così come lo è lo stretto rispetto della legge in questa successione.

Secondo la costituzione, infatti, è il presidente del Senato – la carica occupata precedentemente da Tokayev – ad assumere la guida del Paese in caso di dimissioni del presidente. E non a caso, una volta liberatasi la poltrona di Tokayev, al suo posto è stata eletta all’unanimità Dariga Nazarbayeva, figlia del presidente e da tempo considerata come la persona che più probabilmente gli succederà.

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” è un adagio perfettamente applicabile alla situazione in Kazakhstan, dove il cambio di leadership non ha significato maggiore tolleranza del dissenso. E infatti le persone che hanno manifestato ad Astana e ad Almaty il 21 e 22 marzo – in mezzo alle celebrazioni del Nauryz, il nuovo anno persiano -, protestando contro il cambio di nome della capitale e la corruzione endemica nel Paese, se ne sono immediatamente accorte. La polizia è intervenuta arrestando i manifestanti e anche gente che, a dire degli agenti, avrebbe potuto prendere parte alle proteste. L’era del post-Nazarbayev per ora pare identica ai trent’anni precedenti.