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Elezioni anticipate il 9 aprile

Israele: verso voto, sono tutti contro Netanyahu

7 Mar 2019 - Luca Ciampi - Luca Ciampi

A un mese dalle prossime elezioni politiche anticipate, la campagna elettorale in Israele è entrata nel vivo, con grandi novità che interessano i diversi schieramenti. Tutti, o quasi, contro Benjamin Netanyahu, attuale leader con possibilità di una riconferma che lo lancerebbe verso il quinto mandato – il quarto consecutivo – in qualità di primo ministro.

Il suicidio della sinistra sionista, il rinnovamento del centrodestra
Il 1 gennaio, durante una conferenza stampa, il leader laburista Avi Gabbay ha annunciato a sorpresa la rottura con Tzipi Livni, ex agente del Mossad e capo del partito liberalsocialista HaTnuah (‘Il Movimento’), con il quale i laburisti formavano l’Unione sionista. In seguito all’inaspettata dichiarazione, Livni ha reso noto, lo scorso 18 febbraio, il proprio ritiro dalla scena politica nazionale, segno inequivocabile di un crollo delle forze politiche di sinistra.

Per gli schieramenti moderati, si segnala la nascita di nuovi partiti fra cui si evidenziano Telem (‘Movimento per il Rinnovamento Nazionale’), Gesher (‘Ponte’) e Hosen L’Yisrael (‘Resilienza per Israele’). In realtà, Telem e Gesher non appaiono per la prima volta sulla scena politica israeliana. Il primo, fondato da Moshe Dayan nel 1981, si divise due anni più tardi dando vita al Movimento per il rinnovamento del sionismo sociale e alla Lista nazionale. Viene riproposto da Moshe Ya’alon, ex ministro della Difesa esautorato dal premier nel 2016.

Il secondo è stato protagonista della politica israeliana dal 1996 al 2007 e sarà guidato da Orly Levy-Abekasis, che ha abbandonato Yisrael Beiteinu (‘Israele casa nostra’), partito nazionalista dell’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman, punto di riferimento per gli immigrati ebrei russi.

Mentre Hosen L’Yisrael nasce dall’idea di Benny Gantz, già ai vertici militari in qualità di capo di Stato maggiore delle forze di difesa israeliane dal 2011 al 2015, che, dopo aver rifiutato le avances di molti partiti, ha deciso di costruire lui stesso un nuovo movimento. Il 21 febbraio è stata annunciata la nascita di una nuova coalizione centrista, Kachol-Lavan (‘Blu e bianco’), il cui nome richiama inequivocabilmente i colori della bandiera israeliana e unisce il nuovo partito Hosen L’Yisrael con i centristi del Yesh Atid (‘C’è un futuro’), guidati dall’ambizioso Yair Lapid, e Telem.

La spaccatura della lega araba e le novità della destra nazionalista
Aria di crisi anche nella Lista Araba dove Haneen Zo’abi, nota sia per essere la prima donna araba della Knesset sia per la sua retorica anti-israeliana, ha annunciato il suo ritiro dalla scena politica. Al momento, i partiti arabi non hanno trovato un accordo comune, ma si sono divisi in due distinte liste: da una parte troviamo Ta’al (‘Movimento arabo per il rinnovamento’) e Hadash (‘Fronte democratico per la pace e l’uguaglianza’); dall’altra Ra’am (‘Lista araba unita’) correrà in solitaria, considerando che Balad (‘Assemblea nazionale democratica’) è stato estromesso dalla Commissione elettorale con l’accusa di “terrorismo e di volere eliminare Israele come Stato ebraico”. Pertanto, sembra annunciata la dispersione del voto tra gli elettori arabi israeliani, a conferma di un trend che nella storia della Knesset non ha mai visto un solo arabo israeliano rivestire il ruolo di ministro.

Infine, appare sempre più salda l’unione fra Naftali Bennett e Ayelet Shaked, che lo scorso 29 dicembre hanno annunciato la formazione di HaYamin HeHadash (‘Nuova Destra’), separandosi dalla Casa Ebraica. La grande novità, fortemente voluta da Shaked, è rappresentata dalla connotazione spiccatamente laica del partito, con un abbandono della concezione  rigidamente religiosa che caratterizzava il precedente schieramento. In prospettiva, il cambiamento mira ad attirare i consensi anche della società civile laica di ideologia sionista.

Verso un governo di coalizione di centrodestra
Nonostante il moderato aumento di consensi fatto registrare nelle ultime Amministrative del novembre 2018, la frattura nell’Unione sionista ha, con ogni probabilità, consegnato nuovamente il Paese alle forze di centrodestra.

Tutto lascerebbe presagire una corsa a due fra Netanyahu e la nascente coalizione Kachol-Lavan che raggruppa tutti i maggiori nemici politici dell’attuale primo ministro. Infatti, Gantz quando era a capo delle Forze armate, Lapid quando era ministro delle Finanze e Ya’alon in qualità di ministro della Difesa hanno tutti maturato contrasti con l’attuale premier.

Secondo i sondaggi, oggi Kachol-Lavan può contare su 37 seggi contro i 25 del partito di Netanyahu e, in caso di vittoria, non è da escludere una possibile alleanza con la componente interna del Likud distante dalle posizioni del primo ministro, garantendosi così una rassicurante maggioranza in Parlamento, fondamentale per evitare continui rimpasti come accaduto nel corso dell’ultima legislatura.

In questo caso, gli esponenti del Likud che potrebbero appoggiare la nuova maggioranza giustificherebbero tale atto come un’azione dovuta per il bene del Paese. Pertanto, il nuovo schieramento assumerebbe natura di coalizione nazionale di ampie vedute, collocandosi nel centrodestra moderato, distinguendosi dall’attuale leadership per un approccio meno reattivo sulla sicurezza.

Gli ultimi tentativi di Netanyahu per la rielezione
Contrasti decisivi si potrebbero, però, determinare in seno all’alleanza allargata per temi relativi all’espansionismo delle colonie nei territori occupati e per l’obbligatorietà del servizio di leva per gli ebrei ortodossi. A oggi, l’esenzione che questi ultimi hanno è al centro di numerose contestazioni proprio da parte di quell’elettorato che sostiene Lapid e che ha chiesto tagli ai benefici di cui godono storicamente i religiosi ortodossi.

Di contro, Netanyahu sa perfettamente che gli ultimi mesi di mandato rappresenteranno la migliore campagna elettorale possibile e non si può escludere che da qui al giorno delle elezioni possano verificarsi eventi tali da richiedere un deciso impiego dello strumento militare per garantire la sicurezza del Paese.

Pertanto, nonostante il premier sia stato inquisito ufficialmente il 28 febbraio dall’Avvocatura generale dello Stato per le note accuse di corruzione e frode e sebbene la scelta impopolare di accettare il sostegno della destra razzista Otzma Yehudit (‘Potere ebraico’) ne abbia eroso parte del consenso, le leve della paura di un elettorato a maggioranza ebraica potrebbero far dirottare le citate previsioni verso una nuova conferma dell’attuale leader. In tempi d’insicurezza e d’instabilità, difatti, la politica risoluta di Netanyahu si è rivelata la migliore medicina per curare i timori apparenti e reali di un Paese dove la componente ideologica resta prioritaria.