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Elezioni anticipate il 9 aprile

Israele: verso voto, accuse a Netanyahu pro centristi

7 Mar 2019 - Leone Radiconcini - Leone Radiconcini

Il 28 febbraio, a meno di due mesi dalle elezioni in Israele, il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato formalmente accusato dal procuratore generale di corruzione, frode e abuso di fiducia. Questi capi d’accusa potrebbero compromettere sia la carriera politica che la libertà personale del leader del Likud.

Il 9 aprile, infatti, si terranno in Israele le elezioni anticipate con cui verrà rinnovata interamente la Knesset e questo risvolto potrebbe ostacolare in modo decisivo la corsa del premier al suo quinto mandato.

Ai problemi giudiziari si aggiungono quelli politici. Benny Gantz e Yair Lapid hanno deciso di unire i rispettivi partiti in un’unica entità politica. Insieme a loro saranno candidati nelle liste della nuova formazione Kachol-Lavan (‘Blu e bianco’) anche l’ex capo delle forze di difesa israeliane (Idf) Gabi Ashkenazi e l’ex vice primo ministro di Netanyahu Moshe Ya’alon, due candidature non scontate, ma in parte già previste. A oggi i sondaggi vedono Kachol-Lavan capace di ottenere 35-36 seggi sui 120 della Knesset, mentre il Likud si fermerebbe tra i 26 ed i 32.

Il successo che sembra investire la nuova compagine partitica centrista è attribuito dagli analisti, come vedremo, a una serie di motivi collegati fra di loro, ma di diversa origine.

Un elettorato stanco di Netanyahu ma finora privo di alternative
L’attuale primo ministro ha rappresentato per anni il principale garante della stabilità e della sicurezza dello Stato di Israele per l’elettorato di centro e di destra. Ciò è dovuto al fatto che il partito laburista e la compagine di centro-sinistra in generale non sono riusciti a offrire una prospettiva alternativa a quella proposta dal leader del Likud, nonostante gli scandali giudiziari e le accuse di corruzione che hanno colpito Netanyahu e la sua famiglia.

Con la fine di Unione sionista – la coalizione di centro-sinistra – e il ritiro dalla campagna elettorale di uno dei due leader di questo schieramento, Tzipi Livni, Gantz e i suoi alleati sembrano avere la possibilità di ottenere un gran numero di voti fra la componente centrista sia di destra che di sinistra. Gli ultimi sondaggi appaiono premiare Kachol-Lavan con un numero di seggi maggiore di quelli prospettati per il Likud, anche se non sarebbe sufficiente a costituire la maggioranza necessaria per la formazione dell’esecutivo.

Appare però chiaro che la popolazione israeliana è in cerca di un’alternativa valida rispetto al premier uscente e che Kachol-Lavan, con la candidatura di molte figure di spicco del settore militare israeliano, sta dimostrando di poter mantenere e promuovere la sicurezza all’interno dei confini israeliani proprio grazie alle competenze dei suoi membri, ma con una modalità meno aggressiva di quella promossa dal governo nell’ultima legislatura.

Un approccio diverso nei rapporti israelo-palestinesi
Sebbene Tzipi Livni fosse l’unica leader promotrice della soluzione dei due Stati, è comunque vero che il centrismo di Gantz si differenzia da quello di Netanyahu e dei suoi alleati. Questi ultimi hanno portato avanti un progetto politico fortemente connotato da una prospettiva etnica della definizione dello Stato di Israele, considerando anche la potenziale annessione completa della Cisgiordania all’interno dei confini israeliani.

Questa idea è infatti sempre più diffusa non soltanto fra i partiti di estrema destra, ma anche all’interno dello stesso Likud. I suoi membri, infatti, si sono impegnati a promuovere una serie di politiche che comprendono l’annessione di un’area della Cisgiordania a maggioranza ebraica e l’applicazione della giurisdizione israeliana nelle aree in cui sono presenti insediamenti israeliani.

Gantz ha avuto posizioni nette nei confronti di Hamas e delle sue azioni nella striscia di Gaza, avendo guidato le azioni dell’Idf durante la guerra del 2014. Nonostante ciò, appare contrario al mantenimento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e favorevole sia alla modifica della legge dello Stato-nazione sia alla ricerca di un potenziale dialogo con la controparte palestinese.

Con un background nella gestione della sicurezza, questo tentativo di elaborare una politica che quantomeno consideri la possibilità di stabilire nuovamente dei rapporti minimi con i palestinesi sembra essere un altro fattore favorevole a livello elettorale per Gantz, che si differenzia in maniera netta dalle politiche proposte dal Likud.

Inoltre, l’avversione dell’ex generale alla legge dello Stato-nazione ha accattivato anche le simpatie della componente drusa della popolazione di Israele, da sempre schierata con lo Stato ebraico ma che adesso si ritrova potenzialmente esclusa dal godimento di alcuni diritti poiché non ebrea.

Lo spostamento a destra del governo israeliano
Netanyahu ha fatto pressione su alcuni partiti di estrema destra affinché si presentassero in un’unica lista, di modo da superare la soglia di sbarramento presente per l’accesso alla Knesset (3,25%). Tale scelta è dovuta alla paura del primo ministro di non riuscire a ottenere il numero di seggi necessari per poter costituire una maggioranza in grado di sostenere il suo quinto mandato.

Sarebbe quindi necessario per il leader del Likud farsi sostenere da forze estremiste e di conseguenza spostare ancora più a destra l’agenda politica di un’eventuale maggioranza così costituita. Sebbene questa strategia non sia nuova per gli elettori di Netanyahu, quelli tra loro favorevoli a una politica incentrata sulla sicurezza, ma non necessariamente propensa alla guerra, potrebbero virare la propria scelta verso Kachol-Lavan.

Sebbene la crescita nei sondaggi della nuova formazione centrista rappresenti un dato interessante, esiste però uno scenario più probabile della sostituzione di Netanyahu come primo ministro. Se infatti Kachol-Lavan ottenesse più seggi del Likud, ma non abbastanza da formare una maggioranza – fatto assai probabile –, il primo ministro uscente potrebbe mantenere il proprio ruolo perdendo però la forte supremazia sugli alleati di governo.

Si tratterebbe però di una situazione politico-giudiziaria molto rischiosa, nella quale il primo ministro sarebbe forse disposto a concedere di più agli alleati pur di mantenere la carica e tutte le garanzie a essa collegata. Se Netanyahu dovesse adeguare le proprie posizioni, già di per sè non propriamente moderate, a quelle delle fazioni più estremiste e intransigenti della Knesset, ciò potrebbe compromettere la democrazia e lo Stato di diritto in Israele.