Isis: la fine del Califfato del terrore e i ‘foreign fighters’
L’Isis ha perso la sua ultima roccaforte in Siria, stando a quanto riportano vari documenti. Tuttavia, le sue fonti finanziarie non sono esaurite e questo consentirebbe all’organizzazione terroristica di operare in varie parti del globo, senza bisogno di avere uno stabile dominio territoriale. Nell’immediato si pone il problema di cosa fare nei confronti degli jihadisti sconfitti e, in particolare, di coloro che sono andati a combattere nel Califfato, i cosiddetti foreign fighters, i combattenti stranieri, provenienti da varie aree del mondo, tra cui l’Europa.
Il 16 febbraio scorso il presidente Usa Donald Trump ha sollecitato gli europei a riprendersi 800 jihadisti catturati dagli americani. Le forze di opposizione siriane (Sfd) hanno dichiarato di avere 57.000 jihadisti prigionieri provenienti da 48 Paesi. Gli europei sono restii a consentire il ritorno degli jihadisti partiti dai loro territori. Il Regno Unito ha privato della cittadinanza britannica una jihadista di 15 anni che si era trasferita in Siria. La revoca della cittadinanza per motivi di terrorismo, a individui cui sia stata attribuita la cittadinanza per naturalizzazione, è ormai ammissibile anche secondo la nostra legge, in virtù di una modifica operata nel 2018.
La questione dei foreign fighters e della sconfitta dell’Isis solleva tre ordini di problemi. Il primo di natura umanitaria: il secondo di carattere repressivo; il terzo di ordine distintivo tra foreign fighters arruolati dall’Isis e foreign fighters che hanno combattuto l’Isis.
Il profilo umanitario
Tale profilo concerne in primo luogo le donne (spose o “schiave”) che hanno raggiunto il Califfato e lì partorito i loro figli. E’ ammissibile che a queste persone sia impedito il ritorno ai luoghi di origine? Il discorso vale a maggior ragione per i bambini, tutti in tenera età e privi di documenti. Tra l’altro, taluni di questi potrebbero aver assunto automaticamente la nazionalità del genitore per nascita e la revoca della cittadinanza sarebbe inammissibile nei loro confronti.
Oltre a un profilo umanitario, ve n’è anche uno utilitaristico. I bambini più grandi hanno ricevuto un’educazione radicale e possono esportate l’ideologia cui sono stati indottrinati, qualora non siano recuperati. Taluni Paesi hanno allo studio programmi ad hoc. Della questione si è occupato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il 21 dicembre 2017 è stata adottata la risoluzione 2396 che contiene un’intera sezione dedicata non solo alla repressione, ma anche alla riabilitazione delle donne e dei fanciulli, da considerare non tanto come fiancheggiatori dei terroristi, quanto loro vittime.
Una politica di totale respingimento dei foreign fighters (e in particolare delle loro famiglie), nel timore che questi possano contribuire alla radicalizzazione delle nostre società, è quindi inammissibile o, quanto meno, inopportuna. Occorre trovare strumenti adeguati.
I foreign fighters e la repressione delle attività terroristiche
Esistono una serie di convenzioni internazionali settoriali, ma non esiste una definizione condivisa di terrorismo internazionale di natura generale. Occorre quindi muovere dalla risoluzione del CdS 2178 (2014) avente di mira proprio il fenomeno dell’Isis e la prassi di combattenti stranieri che raggiungevano le formazioni jihadiste, prassi già consolidata nel 2014. La risoluzione non proibisce un trasferimento qualsiasi di persone per combattere in un conflitto armato, ma proibisce il trasferimento di persone che vanno a combattere per un’organizzazione terroristica.
Cioè la risoluzione non proibisce il trasferimento di foreign fighters, bensì quello di foreign terrorist fighters. Alla risoluzione, che contiene obblighi giuridicamente vincolanti, gli Stati devono dare esecuzione con disposizioni ad hoc. L’Italia lo ha fatto con adeguate modifiche del codice penale. I “viaggi a fini terroristici” sono altresì proibiti dalla direttiva dell’ Unione Europea 2017/541. Deve essere impedito il semplice trasferimento del foreign terrorist fighter, il quale potrà poi commettere crimini più efferati, quali i crimini di guerra e/o contro l’umanità. La loro prova e l’attribuzione della condotta resta più difficile.
Il discorso si potrebbe allargare a tutte le attività criminose commesse in Siria, comprese quelle attribuibili al regime. Ma qui si apre un discorso particolarmente complesso . La Siria non è parte dello Statuto della Corte penale internazionale e il tentativo, nel 2014, di adottare una risoluzione del CdS per attribuire competenza alla Corte andò a vuoto per il veto di Cina e Russia.
D’altra parte, il Procuratore della Corte ha più volte dichiarato che questa non può interessarsi dei singoli crimini commessi da foreign fighters cittadini di uno Stato parte dello Statuto della Corte, data la scarsa rilevanza sotto il profilo penale internazionale. Sono quindi stati istituiti una serie di meccanismi che dovrebbero promuovere la repressione dei crimini commessi in Siria. L’ultimo nato, grazie ad una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (dicembre 2016), è il Meccanismo internazionale imparziale e indipendente di sostegno alle indagini e messa in stato d’accusa delle persone responsabili dei più gravi crimini internazionali commessi in Siria dal 2011. Ma al personale del Meccanismo è inibito l’ingresso in Siria.
Foreign Fighters e Foreign Terrorist Fighters
La distinzione è tornata rilevante, ma non so quanto sia stata percepita, avendo riguardo a noti fatti di cronaca relativi a volontari che combattevano a favore dei curdi contro l’Isis. La risoluzione del CdS 2178, così come la successiva 2322 del 2016, ha per oggetto i foreign terrorist fighters e non i foreign fighters che hanno impugnato le armi a favore di un’entità oggetto di un attacco armato.
Lo stesso dicasi per quanto riguarda sia la Direttiva dell’Ue, sopra citata, sia le norme del codice penale che reprimono le attività di sostegno al terrorismo internazionale. Tra l’altro, il mero arruolamento a favore di un movimento che si batte contro un’entità terroristica non può definirsi come attività di mercenariato, poiché il mercenario è motivato da fini di lucro e non da scopi ideali (art. 47, I Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1949). E’ possibile che il foreign fighter, nel partecipare alle ostilità, commetta un crimine internazionale. In tal caso egli dovrà essere punito per quella specifica azione.
Conclusione
Sbarrare la strada al ritorno di coloro che sono partiti dai nostri territori per raggiungere lo stato islamico è ingiusto e pericoloso. E’ ingiusto nei confronti delle donne e soprattutto dei fanciulli che non hanno ovviamente operato una scelta volontaria. Essi, come precisato dal CdS, devono essere reintegrati. Pericoloso, poiché lasciare allo sbando coloro che hanno combattuto per l’Isis significa consentire la possibilità di continuare a svolgere l’attività criminale. Quanto all’assunzione di prove, è da ricordare che il semplice arruolamento è di per sé criminoso: un fatto non difficile da provare.
Occorre poi distinguere tra foreign fighters e foreign terrorist fighters, poiché il CdS impone la repressione dell’attività dei secondi e non dei primi.
Infine, un discorso più ampio meriterebbe la questione della punizione di tutti coloro che abbiano commesso dei crimini in Siria e l’individuazione di meccanismi appropriati, inclusa l’istituzione di un tribunale ad hoc. Ma qui si entra in un terreno politicamente scivoloso!