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Osservatorio IAI/ISPI

Clima: la finestra è stretta e l’ambizione è poca

25 Mar 2019 - Margherita Bianchi - Margherita Bianchi

Nel 2018 abbiamo assistito a eventi meteorologici estremi – piccolo assaggio della forza distruttiva del cambiamento climatico – ma anche a vecchie e nuove tensioni geopolitiche che hanno indebolito gli strumenti a disposizione per combatterlo, Accordi di Parigi in primis. Evidentemente il multilateralismo non gode oggi di grande sostegno ma, checché ne pensi il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, resta passo obbligato nella lotta al riscaldamento globale.

Spiragli di luce arrivano almeno dal cambio di rotta in positivo di alcuni Paesi “grandi emettitori”, dalle promettenti tendenze del mercato energetico, dalle riforme per una finanza (pubblica e privata) sostenibile e anche dal lento ma percettibile adattamento nelle agende dei decisori politici.

Ultima in ordine di tempo quella del Consiglio europeo del 21-22 marzo scorsi, pochi giorni dopo l’accorato appello della società civile e dal voto del Parlamento europeo che a larga maggioranza ha chiesto di alzare l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 55% al 2030. Sebbene non abbiano chiarito alcun dettaglio della strategia di lungo termine per la neutralità climatica, le conclusioni hanno perlomeno indicato nel prossimo giugno la data utile per uno (speriamo più risolutivo) appuntamento sul tema.

Una questione di sicurezza nazionale
L’Italia si trova in una delle aree più esposte agli impatti del riscaldamento globale, maggiore del 25% rispetto al trend mondiale. Senza la stabilità del clima sarà impossibile garantire anche quella economica, sociale e politica nel nostro Paese, volente o nolente anche al centro degli enormi flussi migratori che il cambiamento climatico metterà sempre di più in moto.

Solo per l’anno scorso, Legambiente ha calcolato in Italia 32 vittime, 148 eventi estremi, 23 stop a infrastrutture, 66 allagamenti, 20 esondazioni fluviali, 41 danni da trombe d’aria. Il clima è tema cruciale e appare paradossale, con un governo che non manca di discutere di sicurezza e migrazione, che non costituisca uno degli assi portanti della nostra azione. A livello nazionale molto si potrebbe fare ma non si è ancora fatto: si è fermi sulla legge sul consumo del suolo e manca un piano generale dei trasporti e della logistica, per citare solo un paio di esempi. In linea con questa tendenza, nei tavoli europei e internazionali in cui si definiscono gli obiettivi di decarbonizzazione, l’Italia gioca al ribasso.

Poca ambizione in Europa e nel mondo
Come Stato membro dell’Ue, partecipiamo al contributo dell’Unione presentato alla Cop21 (il cosiddetto Nationally Determined Contribution). La comunità scientifica ci ha avvertiti lo scorso ottobre della necessità di ridurre le emissioni globali di Co2 del 45% entro il 2030 e l’obiettivo di ogni Paese è quindi quello di adoperarsi per una più rapida transizione energetica in linea con questo scopo.

Nell’ambito delle regole europee, l’Italia ha sì presentato una bozza di Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) con i suoi obiettivi al 2030, ma che, benché modificabile, ad oggi è tutto fuorché ambizioso. Si nota una certa continuità rispetto alla strada intrapresa negli ultimi anni su questi temi, ma con target troppo bassi e un livello di dettaglio insufficiente sugli strumenti; la conferma del ritiro del carbone al 2025 manca ad esempio di misure o scadenzari chiari. Il mix energetico non cambia in modo sufficientemente drastico rispetto al 2016; con il petrolio che diminuisce dal 36% al 31%, il gas che rimane invariato e le rinnovabili che arrivano soltanto al 30%.

Passi incerti su gas e elettricità
L’ambizione di terminare l’utilizzo dei combustibili fossili in Europa in tre decadi pone la necessità di pianificarne l’uscita in modo rapido ma ordinato. Benché fossile e inquinante, il gas è riconosciuto come sostegno verso la transizione (il punto del contendere riguarda casomai quantità e tempi di utilizzo), supportando il crescente utilizzo delle rinnovabili nel settore elettrico. Nel settore del riscaldamento, la domanda di gas potrà peraltro progressivamente diminuire tramite l’efficienza energetica e attraverso l’elettrificazione, il teleriscaldamento e il riutilizzo del calore di scarto delle centrali termiche e degli impianti industriali. Le tecnologie sono mature, ma mancano politiche di pianificazione e regolamentari.

L’Italia guarda al gas e, in linea con la Strategia di sicurezza energetica europea, a diversificare i fornitori. Da una parte il nostro Paese è (comprensibilmente) schierato sul fronte del “no” insieme a Polonia e Stati Uniti sul raddoppio del gasdotto Nord Stream (che peraltro pone problemi di competitività nei confronti del nostro maggiore competitor manifatturiero, la Germania). Dall’altra il governo si è rivelato alquanto confuso su altri fronti: basti guardare al gasdotto Tap (infine sostenuto), a EastMed (al quale, nonostante la classificazione come “progetto d’interesse comune” da parte della Commissione, ha ritirato il supporto) e al gas russo che transita per TurkStream, con Bulgaria e Serbia che spingono per la rotta balcanica anziché quella della Grecia e dell’Italia.

Va detto che l’Italia, al contrario di altri Paesi in cui governano forze populiste, non si è mai opposta apertamente alla causa ecologica. Alla Cop24 di Katowice il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha annunciato l’adesione alla Coalizione “Per ambizioni più alte’, la candidatura ad ospitare la Cop26, il contributo al Fondo per la finanza per il clima e il sostegno ad iniziative come “il centro per lo sviluppo sostenibile per l’Africa” deciso nel 2017.

Banco di prova per il governo
Le forze ora al governo non hanno mancato però di osteggiare gli sforzi comuni. La Lega ultimamente ha votato contro la quasi totalità delle politiche climatiche al Parlamento europeo (intorno al 92% dei voti tra 2014 e 2018). Tra le altre: le direttive per le rinnovabili e sull’efficienza energetica o quella sulle emissioni di Co2 delle automobili. Lo stesso vicepremier Matteo Salvini, nella precedente veste di eurodeputato, alzò cartellino rosso in Parlamento durante la ratifica degli accordi di Parigi. Anche il Movimento Cinque Stelle, che ha fatto dell’ambiente una delle colonne portanti della propria proposta elettorale, ha rinunciato alla carbon tax e prevede uno sviluppo del solare minore di quello delineato dal precedente governo.

Ad oggi l’Italia si trova, nel più ampio contesto europeo, tra un gruppo di Stati impegnati nella battaglia per il contenimento delle temperature entro 1.5C° (Francia, Spagna, Paesi scandinavi) ed altri che provano a rallentare gli sforzi collettivi (Polonia, Germania, Repubblica ceca). Le elezioni europee serviranno anche a definire con più chiarezza da quale parte penderà l’ago della bilancia italiana e di quella europea su questo tema cruciale.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito dell’Osservatorio ISPI-IAI sulla politica estera italiana